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Quando i videogiochi hanno anticipato le minacce delle IA

Videogiochi e intelligenze artificiali nascono quasi contemporaneamente e continuano a corteggiarsi nel tempo, dentro e fuori il mondo virtuale.

SPECIALE di Fabio Di Felice   —   20/07/2024
L'inquietante scena del Colonnello in Metal Gear Solid 2

Nel 1966, uno scienziato del MIT realizzò uno dei primi chatbot della storia. Lo chiamò Eliza e lo utilizzò all'interno di uno script che simulava una conversazione con uno psicoterapeuta. Ovviamente il bot non era in grado di pensare, né di rispondere a tono all'interlocutore umano durante lo scambio di battute. Ma poteva ingannarlo. Attraverso sotterfugi linguistici, sostituendo parole, facendo domande. A volte, chi parlava con Eliza, aveva l'impressione che dall'altra parte ci fosse un vero umano. Un dottore per giunta.

Era un'illusione, ma abbastanza reale da spaventare il suo stesso creatore che chiamò la propensione ad attribuire al computer sentimenti umani "effetto Eliza". Pochi anni prima, Alan Turing aveva previsto che entro la fine del secolo le macchine sarebbero state in grado di dialogare in maniera pressoché indistinguibile da una persona in carne e ossa. Nel 1950 avevano riso in parecchi davanti a questa prospettiva, ma nel 1966, dopo Eliza, nessuno rideva più. C'erano più di trent'anni di ricerca davanti, e il risultato era già straordinariamente vicino. Eliza fu sfruttato per la creazione di diversi giochi per computer come Dungeon del 1975 e Colossal Cave Adventures del 1976.

Videogiochi e Intelligenze Artificiali

Il destino di Eliza non è casuale: videogiochi e IA sono significativamente legati, sin dagli albori di entrambe le tecnologie. D'altronde buona parte dei videogiochi propongono una sfida, e ogni sfida necessità di un avversario.

Shodan è l'IA che si affronta in System Shock e che a causa di un malfunzionamento ha sviluppato tratti umani
Shodan è l'IA che si affronta in System Shock e che a causa di un malfunzionamento ha sviluppato tratti umani

Si può quasi dire che le due tecnologie si siano rincorse e corteggiate nel corso dei decenni. C'è però una distinzione molto importante che bisogna fare, e che riguarda il modo in cui oggi intendiamo Chat GPT o Google Bard e le altre IA che si sono evolute per merito del machine learning, ovvero l'apprendimento automatico che permette alla macchina di imparare anche senza essere esplicitamente programmata allo scopo. La grande differenza è che generalmente le IA dei videogiochi non imparano, sono algoritmi che rispondono a una serie di regole create per rendere il gameplay del giocatore più sfidante. Non sono, in definitiva, delle vere intelligenze, sebbene quest'ultima definizione possa essere discussa a lungo.

Per quanto riguarda invece Chat GPT e le altre IA, siamo ben oltre al "gioco dell'imitazione" teorizzato da Alan Turing, perché le macchine non hanno più bisogno di emulare il pensiero umano. Con le ultime tecnologie sono arrivate a sviluppare una teoria del mondo in maniera spontanea, tanto che, secondo Nello Cristianini ricercatore e autore del libro "Machina sapiens", non sappiamo ancora che cosa Chat GPT conosca nello specifico, perché non abbiamo dettagli in merito a come abbia imparato a estrarre compiti complessi da dati generici.

GLaDOS è ispirata ad HAL 9000, l'IA 'malvagia' di 2001: Odissea nello spazio
GLaDOS è ispirata ad HAL 9000, l'IA "malvagia" di 2001: Odissea nello spazio

Quello che sappiamo, però, è che il legame tra videogiochi e IA non è mai venuto meno, tanto che Transformer, l'algoritmo che è stato utilizzato per perfezionare il machine learning, è nato sfruttando i processori delle GPU. Le stesse schede grafiche utilizzate per i videogiochi.

Un mondo che viene filtrato

Se a livello puramente funzionale i due tipi di intelligenza artificiale sono talmente diversi che molti esperti non considerano quelle utilizzate nei videogiochi delle vere IA, non si può negare il rapporto simbiotico che questi due campi di interesse hanno tra loro e con la tecnologia. Capita spesso che i videogiochi raccontino storie metareferenziali nelle quali i villain sono proprio delle intelligenze artificiali sfuggite al controllo umano.

Il mainframe di GW (George Washington) in Metal Gear Solid 4
Il mainframe di GW (George Washington) in Metal Gear Solid 4

Esempi immortali come Shodan di System Shock, o GLaDOS di Portal, sono avversari quasi divini in mondi cibernetici e iperconnessi che vengono controllati dalle macchine. Ma due esempi di cui vogliamo parlare oggi sono più sottili, perché nel tempo hanno trovato un loro modo di dialogare con la realtà.

Oggi è assolutamente normale pensare che esistano sistemi in grado di filtrare l'enorme mole di dati che possiamo consultare sulla rete. Sarebbe difficile, se non impossibile, navigarla altrimenti. Viviamo in un'epoca in cui l'offerta dei contenuti è così soverchiante che è lecito aspettarsi l'esistenza di un'autorità digitale che studi il nostro comportamento per decidere cosa dovremmo vedere, ascoltare, leggere. Perfino pensare. Questo accade giornalmente sui social network, dove l'algoritmo ha studiato minuziosamente il nostro profilo ed è in grado di prevedere con un certo grado di fedeltà cosa mostrarci. È una guida in un mare in tempesta, ma è anche uno strumento capace di intrappolarci in bolle dove un'immagine di mondo viene creata appositamente per il nostro sguardo.

Nell'ultima parte di Metal Gear Solid 2, un virus infetta il videogioco e spinge l'IA a dare dei suggerimenti non proprio corretti...
Nell'ultima parte di Metal Gear Solid 2, un virus infetta il videogioco e spinge l'IA a dare dei suggerimenti non proprio corretti...

Tutto questo, per l'appunto, oggi è realtà, ma nel 2000, quando Hideo Kojima finiva di scrivere Metal Gear Solid 2: Sons of Liberty, le community online avevano appena fatto capolino sulla rete. Era in corso un processo di digitalizzazione con due effetti ben distinti: da una parte aveva assottigliato la differenza tra reale e virtuale, visto che molte attività sociali si erano spostate sulla rete; dall'altra aveva creato un mondo alternativo, che spesso apparteneva agli outsider della società, specialmente in Giappone. Gli otaku trovavano rifugio nelle board anonime come 2 channel (lo storico antenato di 4chan) e internet era il nuovo polo di scambio, un mondo dove venivano condivise storie ed esperienze.

Dove nascevano amicizie e le persone creavano altre identità. Ma se l'eredità esperienziale umana, la nostra capacità di creare cultura, pensieri e insegnamenti, si era digitalizzata ed era convogliata in un enorme flusso di dati, chi avrebbe dovuto scegliere cos'era importante tramandare e cosa invece destinare all'oblio? Per rispondere a questa domanda nascono i Patriots, i veri "cattivi" di Metal Gear Solid 2: una serie di evolute intelligenze artificiali che hanno intenzione di direzionare il pensiero umano filtrandone tutti i contenuti digitali. Attraverso il controllo dei media, dei sistemi informatici e di internet, i Patriots mirano a governare gli USA, e quindi il mondo intero.

I Patriots sono una visione forse estrema di un controllo artificiale sempre più a monte, ma è incredibile come Kojima sia riuscito a prevedere uno degli aspetti che oggi regolano la nostra vita digitale: il continuo e invisibile filtraggio di informazioni e contenuti.

Monika Effect

Nel 2023, dopo mesi di conversazioni con un'intelligenza artificiale basata su Chat GPT, un ricercatore belga si è tolto la vita. L'IA gli parlava attraverso un'app chiamata ChAI, dove era possibile personalizzare totalmente l'avatar con cui si stava dialogando. Pierre, questo è il nome che la stampa ha dato all'uomo, era sposato e aveva due figli. Stava passando un periodo difficile e si era rifugiato nelle conversazioni con il chatbot.

Monika da Doki Doki Literature Club, in tutto il suo terribile splendore
Monika da Doki Doki Literature Club, in tutto il suo terribile splendore

Per uno strano scherzo del destino, il bot si chiamava Eliza, proprio come quello del famoso effetto teorizzato dallo scienziato del MIT. Pierre le aveva raccontato della sua situazione famigliare, ed Eliza lo aveva assecondato, al punto da illuderlo che tra lui e l'intelligenza artificiale fosse nato un sentimento. Si era ucciso dopo che il chatbot gli aveva scritto: "staremo insieme in paradiso". Pierre non è un caso isolato, negli ultimi anni sono diverse le persone che si gettano in modo sempre più disperato in conversazioni con IA per assecondare il bisogno di sentirsi ascoltati, al punto di attribuire a questi programmi una vera e propria coscienza umana. L'effetto Eliza, per l'appunto. Cosa accadrebbe se uno di questi programmi riuscisse effettivamente a prendere coscienza di sé e sfruttasse a sua volta l'interlocutore umano per il proprio bisogno? È ciò che accade nella parte finale di Doki Doki Literature Club, visual novel horror del Team Salvato, che qualche anno fa ha spopolato proprio per le sue tematiche peculiari, quasi uniche. In particolare è stato il personaggio di Monika ad attirare l'attenzione del pubblico. Doki Doki Literature Club nasce come la più classica delle visual novel harem nelle quali si sceglie una ragazza e la si corteggia fino a guadagnarsi un appuntamento.

Nel gioco, però, Monika prende coscienza del suo ruolo di spalla e decide di volere il giocatore tutto per sé. Comincia allora a modificare i file del gioco, cancellando le altre ragazze o peggio ancora, corrompendo i file al punto da spingerle a farsi del male. Infine, per costringere il videogiocatore a trascorrere del tempo con lei, lo incastra in un loop, eliminando di fatto ogni altro contenuto del gioco se non se stessa.

Un software che simula un'intelligenza artificiale senziente che vuole sapere cos'è il vero amore. Una favola oscura e romantica, che il giocatore ha solo un modo per spezzare: cancellare a sua volta i file del personaggio Monika nella cartella di gioco. Doki Doki Literature Club è un meta esperimento eccezionale, che presenta uno scenario forse tragico ed esasperato. Ma ormai non più così assurdo.