Che strano essere all'E3 di Los Angeles senza esserci davvero. La città degli angeli è al suo posto, ma i due anni di pandemia hanno lasciato un segno profondissimo e questa volta non esistono glitter tanto luccicanti, registi sufficientemente bravi, effetti tanto speciali per nasconderne la sfacciata deriva economica e sociale. Non solo la città, tutto in fondo è al suo posto, ma nulla sembra come prima.
La città delle stelle offuscate
Il Los Angeles Convention Center, proprio dove si teneva annualmente la più grande e importante fiera del mondo videoludico, sorge assolato come la più laconica cattedrale nel deserto. Un deserto senza sabbia, naturalmente, ma di cemento e grattacieli la cui costruzione ha rallentato in alcuni casi fino a fermarsi del tutto. Invece dei giganteschi cartelloni pubblicitari dedicati a Sonic o all'ultimo prodigio Sony, Microsoft o Nintendo, a coprire i diversi ingressi del famoso impianto fieristico trova spazio un mesto cartello che preannuncia quel che forse è la cosa più distante di tutte rispetto al colorato e frizzante divertimento dei videogiochi: una meeting politico e pieno d'attriti sul destino delle americhe.
C'è anche Joe Biden, quarantaseiesimo presidente degli Stati Uniti, che con la sua presenza ha militarizzato le vie circostanti, rendendo il Convention Center grigio, triste e inavvicinabile. Furgoni della CIA sostituiscono le solite orde di giovani festanti, blindatissimi della polizia prendono oggi il posto di fanfare e carnevaleschi raduni cosplayer. Nemmeno lo Staples Center, lo stadio dei Laker pochi metri più avanti, tiene fede alla sua festosa nomea: senza i successi di LeBron risalta ancora di più la recente perdita di Kobe Bryant.
Raduni fondamentali
Eppure, nonostante tutto noi siamo qui, sul luogo del delitto e il prima possibile, appena ci è stato consentito. Qui per ricominciare, qui per continuare a seguire quella che rimane la nostra più grande passione: i videogiochi naturalmente. E siamo qui grazie allo sforzo di chi spesso abbiamo criticato, proprio quel Geoff Keighley che mosso dallo stesso fuoco già da qualche anno ha iniziato ad appropriarsi degli spazi che l'E3 man mano lasciava liberi, fino a prenderne quest'anno completamente il posto, sostituito da una rinnovata, ma ancora acerba Summer Game Fest. Il Covid ci ha messo il suo, ma l'E3 era irriconoscibile già da molte edizioni prima che la pandemia ne accelerasse la caduta. Sempre più costosa per gli espositori, sempre meno utile per il business e sempre meno appetibile per giornalisti e fan, la fiera losangelina era già destinata a una rumorosissima debacle, eppure rimaneva fondamentale anche se forse più per noi che per voi. In nessun altro posto e in nessun altro momento era infatti possibile incontrare così tante persone del settore, sviluppatori, producer e gole profonde pronte a concederti lo scoop inaspettato, o la voce di corridoio con la quale bruciare sul tempo i leaker della domenica.
Appuntamenti e incontri fortuiti
Il Summer Game Fest di Geoff Keighley non è l'E3, non lo sarà mai: questa prima edizione in presenza è microscopica, priva di nomi di peso e giochi davvero importanti, eppure nonostante la città spettrale e i limiti dell'esposizione è stata l'occasione che in molti, noi inclusi, aspettavano per tornare a stringere mani e a tessere quella rete di contatti indispensabile per svolge al meglio questo lavoro. Nella giornata appena passata abbiamo avuto modo di conoscere a fondo il creatore di Dead Space Glen Schofield, ora al lavoro su The Callisto Protocol e domani faremo quattro chiacchiere con Kauhiro Tsuchiya e Takayuki Nakayama di Capcom, rispettivamente producer e game director dell'atteso Street Fighter 6. Faremo inoltre colazione con i ragazzi di Bloober Team, rincorrendo rumor per acciuffarli e trasformarli finalmente in certezze.
Dieci piccoli sviluppatori
Nel mentre, i fantasmi degli E3 passati stanno lentamente cedendo il posto a quelli degli E3 futuri perché la fiera delle fiere, dopo essere ufficialmente morta, prepara il grande ritorno proprio per il 2023. E3 e Summer Game Fest, pronta anch'essa a tornare il prossimo anno, si accingono quindi a dividersi la scena, oppure a fondersi in un'esperienza unica. Ma fiere e showcase sono un problema relativo, se a mancare sono proprio i giochi. La gaming industry ha in questo momento un fiato terribilmente corto, non sembra più in grado di tenere testa ai sogni del pubblico, buona solo a confermarne le delusioni preventive che sembrano muovere la passione, o presunta tale, dei fan. Chi dovrebbe riempirli gli spazi del Los Angeles Convention Center se gli indie, vero cuore pulsante dell'industria videoludica, non possono permetterseli e le software house libere da ingombranti padroni sono sempre meno?
Evoluzione o involuzione?
Certo, sfruttare questo periodo dell'anno fa comodo a tutti, persino a coloro che negli ultimi tempi hanno fatto finta di non esserne interessati, come PlayStation che prima di tutti si è sfilata dal carrozzone E3 finendo nell'ombra proiettata dai grandi annunci della concorrenza. Infatti quest'anno Sony si è fatta sentire e probabilmente lo farà ancora nelle prossime settimane.
Del resto, anche solo per abitudine, gli appassionati di videogiochi sanno che queste sono le settimane dell'E3 e rimangono tali anche senza E3. È in questo periodo che l'attenzione del pubblico è ai massimi livelli, e non sfruttarla sperando che le cose cambino non sembra essere la strategia migliore. Ma certo così non può continuare, servono nuovi show costruiti su nuove formule, in grado d'includere ogni tipologia di gioco senza nessuna distinzione di budget che è poi quel che si è tornati a fare proprio grazie il Summer Game Fest. Potrebbe aiutare persino cambiare città, cosa che l'E3 ha già fatto all'inizio della sua lunga storia, quando da Atlanta passò a Los Angeles senza mai più guardarsi indietro.
Esiste un momento migliore di questo per tentare cambiamenti tanto radicali?