La nuova miniserie di Star Wars su Disney+ è importantissima: è la prima incarnazione live action dell'Alta Repubblica, un periodo antecedente alla celeberrima Saga degli Skywalker che Lucasfilm finora ha raccontato solo nei romanzi e nei fumetti. Il suo successo potrebbe aprire le porte a una moltitudine di progetti ambientati nella stessa era o ancora prima, in quella Vecchia Repubblica che molti videogiocatori conoscono bene e desiderano ardentemente di rivedere. Per adesso dobbiamo accontentarci di questo esperimento che si allontana dal facile sentiero della mitologia nota per introdurre personaggi e storie completamente nuove.
La serie, fortemente voluta dalla showrunner Leslye Headland, è passata per numerose riscritture dopo il suo annuncio, facendo temere per la sua qualità in un momento in cui la parentesi televisiva si trova in equilibrio tra il lato oscuro di The Book of Boba Fett e Obi-Wan Kenobi e quello molto più luminoso di Ahsoka e Andor. Noi abbiamo visto i primi quattro episodi di The Acolyte - La seguace in anteprima e possiamo dirci moderatamente soddisfatti: ecco le nostre prime impressioni senza spoiler.
Un giallo nell'Alta Repubblica
The Acolyte è stato a lungo promosso come una specie di "Andor con le spade laser" e diciamo che questa non è una definizione troppo distante dalla realtà: le tematiche e le atmosfere della nuova miniserie su Disney+ sono piuttosto adulte già nell'incipit, che vede il Maestro Sol (interpretato dall'ottimo Lee Jung-jae di Squid Game) indagare su un'assassina di Jedi che potrebbe essere la sua ex apprendista Osha. La giovane attrice Amandla Stenberg, tuttavia, non indossa solo i panni di Osha ma anche della gemella Mae, al soldo di un'inquietante figura mascherata che la sta aizzando contro l'Ordine dei Jedi.
Sol, Osha e gli altri Jedi assegnati a questo complicato caso devono trovare Mae prima che mieta altre vittime ma la faccenda è molto più intricata di quel che sembra: The Acolyte è un thriller a strati, una specie di matrioska in cui ogni nuovo episodio svela un mistero per aggiungerne un altro. Per questo motivo impiega un paio di episodi a ingranare.
Il terzo episodio - che attraverso un lungo flashback racconta l'infanzia di Osha e Mae - è forse il più importante dei quattro che abbiamo potuto vedere in anteprima, sia nel merito dell'arco narrativo che racconta The Acolyte, sia nel grande affresco che è Star Wars, ma per capire il suo valore bisogna conoscere abbastanza bene l'universo di Guerre Stellari: solo così si riescono a cogliere le sottili sfumature che distinguono questo periodo storico da quello in cui si svolge la trilogia prequel, in cui l'Ordine dei Jedi si è già indebolito.
Star Wars ha costruito per anni la sua logica narrativa sulla presunta fragilità dell'Ordine dei Jedi e The Acolyte potrebbe finalmente rispondere a molte domande sul ritorno dei Sith, un culto che nelle storie dell'Alta Repubblica finora narrate - e antecedenti agli anni in cui si svolge la miniserie televisiva - è stato praticamente assente. I collegamenti ai fumetti e ai romanzi sono tuttavia molto sottili, incarnati soprattutto nel personaggio di Vernerstra Rwoh, che ritroviamo più saggia e adulta rispetto a quelle storie. Ma Vernestra è anche l'unico personaggio dell'Alta Repubblica ad apparire in carne e ossa, peraltro sotto forma di sopravvalutato cammeo.
Le due facce della seguace
Insomma, non serve conoscere a menadito Star Wars per comprendere The Acolyte, anche se aiuta. Da una parte questo si può considerare un successo: la miniserie televisiva riesce a raggiungere un pubblico più vasto senza esigere troppe conoscenze pregresse, tuttavia una minima infarinatura di Alta Repubblica aiuta sicuramente ad apprezzare di più la storia e i suoi potenziali collegamenti con l'immaginario di Star Wars, nonché l'impatto che potrebbe avere sul futuro - che per noi è già passato - della galassia lontana lontana di George Lucas.
Mettendo da parte per un momento il disegno più grande, The Acolyte resta un racconto molto più intimo del previsto. Pur essendo un giallo corale con non poche scene d'azione - in fondo i Jedi questo erano nell'Alta Repubblica, i poliziotti dello spazio - la serie riesce a trovare una dimensione più personale grazie a una buona caratterizzazione dei personaggi centrali e degli attori che li interpretano. La Stenberg riesce a diversificare sufficientemente Osha da Mae ma appare a tratti un po' ingessata, specie nel primo ruolo, mentre la sua assassina di Jedi appare impacciata e incerta di proposito, e basta proseguire nella visione per comprenderne il motivo.
Lee Jung-jae ci ha invece conquistato: Sol è uno dei personaggi più interessanti che abbiamo visto nello Star Wars televisivo che esprime tutta la divisiva complessità dell'Ordine dei Jedi. Se Yord e Jecki hanno avuto poco tempo per brillare, in questi quattro episodi che ritagliano per loro un ruolo di stereotipati comprimari, dobbiamo dire di essere rimasti un po' perplessi dal limitato coinvolgimento di un'attrice del calibro di Carrie-Anne Moss, sbandierata ai quattro venti, pubblicizzata ovunque fosse possibile, e infine molto meno presente di quanto avremmo sperato. È possibile che i quattro episodi restanti scavino ulteriormente nel suo personaggio, garantendole lo spazio che avrebbe meritato, ma lo scopriremo solo tra qualche settimana.
The Acolyte è una serie che funziona grazie a un cast forte nei ruoli più importanti e a una storia che prende soprattutto dal secondo episodio in poi, quando i misteri si moltiplicano e si intrecciano, ma nei suoi singoli aspetti siamo comunque abbastanza lontani dall'eccellenza di Andor e, in parte, di Ahsoka. Si tratta di una serie molto buona nel complesso ma non senza sbavature.
La computer grafica, ad esempio, ci è apparsa sensibilmente meno curata rispetto a quanto visto in Ahsoka o The Mandalorian, mentre le musiche di Michael Abels, così presenti e vagamente ispirate a quelle iconiche della trilogia prequel, faticano a restare impresse nella memoria. The Acolyte soffre soprattutto di un problema di montaggio: alcune scene si susseguono a una velocità eccessiva, un paio di episodi si chiudono in maniera talmente anticlimatica da far pensare che sia stato tagliato qualcosa sul finale, e in generale si avverte il peso delle riscritture in corso d'opera, specie in qualche forzatura un po' ingenua.
Tuttavia, The Acolyte riesce a evocare con forza l'anima di Star Wars, quantomeno di quella parte "spirituale" così amata dal pubblico: per chi aspettava lo Star Wars delle spade laser, della Forza e dei conflitti interiori che, in un certo senso, definiscono l'aspetto più caratteristico di questa space opera, la nuova miniserie è sicuramente una visione obbligatoria. Ha davvero tantissimo di pregevole - i pochi combattimenti che abbiamo visto nei primi quattro episodi, per esempio, sono davvero spettacolari - e se è vero che Andor ha settato uno standard difficilissimo da raggiungere, The Acolyte dimostra che c'è ancora spazio per sperimentare anche con la tradizione.