Credo proprio che la formula se la sia inventata Nintendo con i suoi Direct, poi subito copiati da Sony con gli State of Play e da Microsoft, che ci ha messo un po' per trovare il taglio e il nome giusto. Oggi che questi eventi funzionano come orologi, non hanno mai problemi di ritmo e spesso sono contenitori di grandi titoli, sia ad alto budget che indipendenti, tutti dovremmo esserne contenti eppure, con alcune rare eccezioni, quando finisce lo show di turno rimaniamo sempre con una strana e spiacevole sensazione di amaro in bocca.
Colpa dei giochi che vengono presentati, o è questo modo di comunicare con il proprio pubblico che sta iniziando a mostrare i suoi limiti?
Un Direct per iniziare
I primi Direct Nintendo furono dedicati a grandi annunci: quando Satoru Iwata ci diede l'appuntamento per la presentazione ufficiale di Wii, con quel suo inchino finale che divenne presto una sorta di firma, provammo emozioni da concertone rock. E che dire dei video filosofici con e senza banana? Nei Direct, Nintendo ci metteva la faccia, come del resto avevano sempre fatto tutti in occasione delle grandi conferenze dell'E3: Kaz Hirai imbellettato, Peter Moore hoolingan di sé stesso, Miyamoto che brandisce spada e scudo di Zelda, l'androide Riccitiello, Jack Tretton, Mark Cerny e lo stesso Jim Ryan si manifestavano davanti al pubblico per raccontare, spiegare, annunciare, dialogare e anche per farsi prendere bonariamente per il culo.
Ora che la formula degli eventi in streaming è stata perfezionata e da tempo ha sostituito quasi completamente le presentazioni live, sembrano tutti scomparsi e, invece di prodotti eccezionali, ci vengono rifilati reel di 40 minuti pieni zeppi di giochi che sembrano selezionati totalmente a caso. La colpa è anche di queste nuove figure professionali che non hanno né carisma, né cose interessanti da dire: Hiroki Totoki su un palco anche no, dell'attuale presidente di Nintendo nemmeno ricordi il nome per intero. Phil Spencer ha funzionato alla grande almeno per un po', ma nel tempo ha perso molta della sua credibilità. Sarah Bond? Alla Gamescom andava in giro con dodici bodyguard.
Tutti scomparsi
L'ultimo State of Play è un caso emblematico, perché non solo stati presentati diversi titoli interessanti, ma è finito anche con il botto dell'ultimo gioco Housemarque. Eppure, alla fine dell'evento, anche io che adoro quell'azienda e penso che Returnal sia la migliore esclusiva Sony per PlayStation 5, ho avuto la sensazione di aver ravanato per un'ora all'interno di uno di quei cestoni che, quando ancora i videogiochi erano fisici, si trovavano nei grandi supermercati e dove potevi trovare di tutto, anche grandi giochi che però gli erano rimasti sul groppone e venivano ora svenduti a pochi Euro.
Che senso ha uno State of Play come quello delle ultime ore e come tanti ne abbiamo visti in passato, dove il tuo nuovo grande gioco viene messo accanto a un WWE qualunque? Che senso hanno quei Direct o gli id@xbox dedicati agli indie nei quali dopo dieci minuti non riesci nemmeno a distinguere i giochi mostrati? Che senso ha buttarci dentro roba a caso che non è nemmeno esclusiva, o che gira su PC invece che sulla nuova, potente e costosa PS5 Pro? Tranne un titolone proprietario, i colori dei banner animati e la musica in sottofondo, sono show che non hanno più nulla di identitario, men che meno qualcosa di speciale che forse c'è, forse no, aspettiamo la fine e vediamo...
Coming Soon
Annunciano un evento e non sai se stai per vedere uno spettacolo del Circle du Soleil, o della Grande Compagnia Teatrale di Viggiù, senza nulla togliere a quest'ultima. Confonde terribilmente, in più il risultato è sempre più asettico: siamo tornati ai trailer cinematografici in TV, oramai è Coming Soon Television che se ci fosse almeno la schiettezza di ammetterlo, vi dico, non sarebbe nemmeno male come idea. Ops, ci ha già pensato il canale Youtube di Gametrailers.
L'unico evento degno di questo nome, ma oramai spoglio di qualsiasi forma di spettacolo, è l'appuntamento estivo di Microsoft, ma solo perché la presenza massiccia di studi ti garantisce almeno due bombe interessanti, inoltre sai già che saranno giochi che potrai giocare ovunque.
Un po' d'austerità va anche bene di questi tempi, ma eliminare totalmente la festa dall'equazione è uno sbaglio. Lo showcase PlayStation in presenza era fantastico e continuare a farlo gli avrebbe anche evitato disastro come quello di Concord. L'evento annuale, come una minore segretezza attorno a quelli che sono in fondo videogiochi e non formule chimiche che risolveranno i problemi del mondo, gli avrebbe infatti garantito un feedback diretto che vale e varrà sempre più di mille stramaledetti algoritmi e yes man. Con questa strategia comunicativa arrivi davanti al pubblico oramai troppo tardi per tornare indietro rivedendone l'idea o le meccaniche. Direct, Showcase, State of Play, non possono bastare, soprattutto se utilizzati senza alcun criterio.
In fondo, cosa sono questi eventi preregistrati se non lo specchio di questa industria dei videogiochi sempre più fredda e calcolatrice?