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The Last of Us, la seconda stagione della serie tv e l’effetto “lo dimo”

Quanto un videogioco possa essere più efficace a livello narrativo di un film o di una serie TV lo si può dedurre analizzando la prima puntata della seconda stagione di The Last of Us.

SPECIALE di Lorenzo Kobe Fazio   —   15/04/2025
Una scena della seconda stagione di The Last of Us che ritrae Catherine O'Hara mentre interpreta Gail

Nella quarta stagione di Boris, che grazie al cielo è riuscita nella miracolosa impresa di non farci rimpiangere l'operazione nostalgia tentata, c'è una scena piuttosto significativa che, non senza un'immancabile dose di ironia, esplicita in maniera efficace ciò che accade con una certa frequenza in molti film e serie TV. Vuoi per questioni di budget, come nel caso dell'ipotetica sequenza della strage degli innocenti nel film dedicato a Gesù che Renè Ferretti sta disperatamente tentando di girare, vuoi per semplificare la messa in scena, non è raro affidarsi ad una tecnica che il terzetto di personaggi che interpretano gli sceneggiatori in Boris, scherzosamente ma non troppo, definisce attraverso una frase che è diventata subito un meme: "non lo famo, lo dimo".

Quando girare un flashback costerebbe troppo, quando è impossibile per la produzione dare vita ad una scena corale, quando mostrare di fronte allo spettatore una lunga serie di eventi concatenati tra loro richiederebbe uno sforzo di montaggio e scrittura troppo complesso, non di rado si affida al dialogo o alla voce fuori campo il compito di raccontare l'accaduto. La telefonata, la rivelazione di un nuovo personaggio, il cosidetto spiegone, tutti espedienti narrativi volti a disinnescare problematiche di budget o l'impossibilità, attraverso la sola messa in scena, di sciogliere i nodi narrativi che la trama presenta lungo il percorso.

La prima puntata della seconda stagione di The Last of Us, trasmessa in esclusiva su Sky e NOW il 14 aprile, ha dimostrato, ancora una volta, quanto la tecnica di dirlo, invece di farlo vedere, sia uno stratagemma utile sul piano della resa, ma non sempre votato ad elevare la qualità.

Trattandosi di un approfondimento sulla prima puntata della nuova stagione, vi avvisiamo che in questo articolo sono presenti spoiler. Interrompete la lettura, dunque, se non desiderate anticipazioni di alcun genere.

Cinque anni in poche scene

Come esplicitato nella nostra recensione, la seconda stagione di The Last of Us ci ha convinti appieno, pur non mancando qualche piccola sbavatura. Tra queste, una è facilmente identificabile proprio nella prima puntata, andata in onda il 14 aprile.

Anche il personaggio di Dina viene presentato con estrema abilità nella prima puntata
Anche il personaggio di Dina viene presentato con estrema abilità nella prima puntata

La stagione si apre esattamente dove si era chiusa la precedente, recuperando e riproponendo la tesa e drammatica richiesta di Ellie di sentirsi dire la verità da Joel, sul perché sia ancora viva, nonostante fosse rassegnata all'idea di sacrificarsi pur di trovare una cura che potesse contrastare la piaga del Cordyceps. Il lungo silenzio dell'uomo, gli occhi quasi supplicanti della ragazza che, intimamente, conosce la risposta, la parziale rottura del rapporto di fiducia che li lega, tutti elementi che rimandano inevitabilmente ad una conflittualità destinata in qualche modo ad innescare un'evoluzione di entrambi, ad una convivenza difficile, anche ora che la lunga epopea che li ha trascinati da una parte all'altra dei vecchi Stati Uniti sembra giunta al termine.

Dopo una rapida introduzione di Abby e del gruppo che si macchierà dell'orribile crimine che tutti i fan della serie conoscono benissimo, e che sarà il perno attorno cui ruoterà il secondo episodio, la narrazione si è poi spostata all'interno di Jackson, con una serie di scene utili a contestualizzare la vita dei suoi abitanti e, soprattutto, di come si siano integrati Joel ed Ellie all'interno della comunità.

Fisicamente ancora prestante, ma emotivamente distrutto, ecco come appare Joel all'inizio della seconda stagione di The Last of Us
Fisicamente ancora prestante, ma emotivamente distrutto, ecco come appare Joel all'inizio della seconda stagione di The Last of Us

Grazie a queste sequenze, lo spettatore può iniziare, molto lentamente, a ricucire lo strappo dei cinque anni che intercorrono tra la fine della prima stagione e la nuova. Caratterialmente cresciuta, nell'aspetto Bella Ramsey pare abbia fatto un patto con il diavolo di eterna giovinezza, Ellie appare sin da subito in pieno subbuglio ormonale, in costante bilico tra la necessità di farsi accettare per ciò che è e l'inspiegabile desiderio di opporsi a qualsiasi forma di autorità. Inoltre, bastano pochi e vaghi accenni per avere la conferma che il rapporto con il padre surrogato si sia in qualche modo incrinato, irrimediabilmente distorto sotto il peso di una verità non detta, di una fiducia progressivamente sfibrata.

Il primo episodio della stagione 2 della serie TV di The Last of Us ha già diviso i fan per un grosso cambiamento Il primo episodio della stagione 2 della serie TV di The Last of Us ha già diviso i fan per un grosso cambiamento

Dall'altra parte, l'intraprendenza, l'esperienza e il legame con il fratello, hanno garantito a Joel un ruolo di comando e gestione. Il tempo trascorso lo ha evidentemente consumato se non nel fisico, sicuramente nello spirito. Il costante bisogno di donare amore e garantire protezione, un lusso che non gli è stato concesso con sua figlia, sta chiaramente infettando la sua psiche, ora che il rapporto con Ellie è evidentemente compromesso. Vecchie abitudini, come quella di isolarsi e di piangersi addosso, fanno nuovamente capolino, dando forma ad una figura controversa agli occhi degli altri abitanti di Jackson. La sua posizione di spicco lo proietta inevitabilmente al centro della vita sociale, ma Joel sta rispondendo all'allontanamento della ragazza con incostanza emotiva e una certa tendenza a vivere in solitudine il suo evidente dolore.

In questa prima puntata viene introdotto anche Jesse, interpretato da Young Mazino
In questa prima puntata viene introdotto anche Jesse, interpretato da Young Mazino

Da questo punto di vista, il lavoro compiuto dagli sceneggiatori della seconda stagione è assolutamente encomiabile. In poche sequenze, con un minutaggio relativamente contenuto, sono riusciti nella non facile impresa di offrirci un'ampia panoramica della vita a Jackson e di aggiornarci sulle attuali condizioni dei due protagonisti, lasciando i giusti spiragli per infondere curiosità allo spettatore su come, esattamente, si sia giunti al progressivo logoramento del rapporto tra Ellie e Joel.

Gail, il personaggio che dimostra la (potenziale) superiorità narrativa dei videogiochi

Proprio a questo punto, tuttavia, si innesca l'effetto "lo dimo". Dopo averci offerto questa convincente panoramica, che pur prende spunto direttamente dal videogioco, beninteso, la prima puntata della seconda stagione di The Last of Us decide di rinunciare a tratteggiare passo dopo passo la psicologia di Joel, per offrirci una scorciatoia inaspettata e, per certi versi, banale e tutt'altro che graffiante.

Si può criticare l'introduzione del personaggio, ma la qualità dell'interpretazione di Catherine O'Hara è fuori questione
Si può criticare l'introduzione del personaggio, ma la qualità dell'interpretazione di Catherine O'Hara è fuori questione

L'introspezione, la lenta indagine, il progressivo svelamento viene sacrificato sull'altare di Gail, nuovo personaggio inedito, creato appositamente per l'adattamento. Interpretata da una pur ottima Catherine O'Hara, indimenticabile nel ruolo della madre di Kevin in Mamma, ho perso l'aereo e relativo seguito, la psicologa offre un facile pretesto narrativo per consentire a Joel di esplicitare il non detto, per riesumare eventi passati, per esemplificare, e quindi anche appiattire, il carico emotivo pur tuttavia già espresso nella recitazione di Pedro Pascal e nei numerosi accenni fatti in precedenza e che, come scoprirete nelle prossime puntate, verranno soprattutto messi in scena in seguito.

Il processo mentale, l'analisi psicologica non viene mostrata, ma detta, messa per iscritto, data in pasto allo spettatore in una forma già raffinata e digerita. Come dicevamo in apertura, nel cinema non sono rari i così detti spiegoni, in certi casi necessari per immergere lo spettatore in mondi fantasy o sci-fi le cui regole dominanti sarebbe difficile da restituire in una narrazione che vuole comunque mantenere un certo grado di coerenza. Un esempio molto efficace, in questo senso, è il monologo con cui si apre Il Signore degli Anelli: La Compagnia dell'Anello, una sequenza che alternando voce fuori campo e scene di lotta, mostra sullo schermo la creazione degli Anelli e il conflitto contro Sauron. Anche i videogiochi ricorrono spesso e volentieri a questo espediente. Ne è un maestro Hideo Kojima, per esempio, che affidandosi a registrazioni audio e testi scritti in Metal Gear Solid e Death Stranding si è preoccupato di contestualizzare il mondo immaginifico e l'operato dei protagonisti.

Anche le motivazioni di Abby, pur nel breve tempo concessogli davanti alla cinepresa, vengono esplorate piuttosto efficacemente
Anche le motivazioni di Abby, pur nel breve tempo concessogli davanti alla cinepresa, vengono esplorate piuttosto efficacemente

Proprio con i videogiochi, tuttavia, ed in particolare con The Last of Us, si può evidenziare lo scarto rispetto ai film, come la componente interattiva rappresenti in ogni caso un'aggiunta di valore in questo senso. Innanzitutto, il grado di spiegazione può essere affidato a più fonti. Per introdurre la lore di un fantasy, per esempio, si può ricorrere a collezionabili, scene d'intermezzo facoltative, alla narrativa emergente, un espediente che investe lo scenario stesso del compito di raccontare storie e mostrare certi dettagli agli occhi più attenti.

Inoltre, il processo può essere modulato. Si può consegnare all'utente la responsabilità di gestire questo tipo di narrazione, lasciandogli la scelta di leggere, o meno, determinati documenti rinvenuti nello scenario; di fruire, o meno, dei filmati di intermezzo; di confrontare, le proprie ipotesi, o meno, con altri utenti su forum e social network.

Quanto ci è voluto per farci capire come Joel sia sostanzialmente un pilastro di Jackson? Poche inquadrature e poche battute
Quanto ci è voluto per farci capire come Joel sia sostanzialmente un pilastro di Jackson? Poche inquadrature e poche battute

Infine, vale la pena anche citare il fattore tempo. Per quanto una serie TV possa dilungarsi in termini di numero di episodi e stagioni, per non parlare poi dei film, difficilmente si potrà raggiungere la longevità di alcuni giochi. The Last of Us Parte 2, con le sue trenta ore almeno per essere portato a termine, ha tutto il tempo e il modo di approfondire su certi aspetti psicologici dei personaggi tirati in ballo. Certi dialoghi durante le fasi finali del gioco, l'esplorazione di alcuni anfratti, il reperimento di oggetti, si innestano nella narrazione condotta dalle già loquaci scene d'intermezzo.

I videogiochi, per dirla in breve, pur facendo comunque ricorso alla tecnica de "lo dimo", possono benissimo fare a meno di Gail. A ben vedere, tuttavia, anche la seconda stagione di The Last of Us avrebbe potuto benissimo fare a meno di Gail. Sia perché alcuni elementi narrativi erano già stati introdotti all'inizio della puntata, sia perché altri, come vedrete, verranno introdotti a tempo debito, ma anche perché la scelta di dividere la storia del videogioco in due stagioni, va proprio nella direzione di avere più spazio e tempo per "far vedere" i processi psicologici dei personaggi tirati in ballo. Al netto, questo è uno spoiler bello e buono, di quanto poco Joel potrà effettivamente restare in scena, elemento narrativo che sicuramente avrà messo in difficoltà gli sceneggiatori in fase di progettazione.

Ecco Joel in procinto di raccontare e spiegare tutto più allo spettatore, che alla sua psicologa
Ecco Joel in procinto di raccontare e spiegare tutto più allo spettatore, che alla sua psicologa

Gail, tuttavia, rappresenta lo scarto in avanti che hanno i videogiochi in relazione a film e serie TV. Sebbene siano ancora pochi i videogiochi che presentano comparti narrativi degni delle aspettative degli utenti più pretenziosi, opere come Metal Gear, The Witcher 3, Cyberpunk 2077 e lo stesso The Last of Us, ma anche prodotti meno cinematografici come Disco Elysium e Return of the Obra Dinn, sono lì a testimoniare che interattività e progressione di questo medium possono essere i pilastri su cui fondare una narrazione ancora migliore, più approfondita, accorta, di ampio respiro.

Tutto questo, al netto di serie TV basate su videogiochi estremamente godibili e meritevoli come per l'appunto questa, basata sulla creatura di Naughty Dog. Certo, magari la prossima volta, vista la qualità globale del prodotto in esame, si potrebbero cercare degli espedienti narrativi più efficaci per farci vedere ancora meglio la sofferenza di Joel, senza "fargliela dire" ad una psicologa.