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I videogiochi nell'anno della pandemia

Cerchiamo di capire quanto la pandemia di COVID-19 abbia influito sul nostro medium e quali effetti abbia avuto sul 2020 dell'industria dei videogiochi.

SPECIALE di Simone Tagliaferri   —   22/12/2020

Come ha influito la pandemia sull'industria dei videogiochi in questo travagliato 2020? Per capirlo rivolgiamoci a un classico della letteratura italiana. Racconta Boccaccio nel Decameron di dieci giovani di buona famiglia che si rifugiano in una villa in campagna per sfuggire alla peste. Siamo nel 1384 e per passare il tempo si rivolgono a quella che è la forma d'intrattenimento più diffusa dei loro tempi, quantomeno nel privato: raccontarsi delle storie. Ogni giorno per dieci giorni ognuno di loro ne racconta una diversa agli altri, per un totale di cento novelle.

Tornando al 2020 ci ritroviamo in piena pandemia da COVID-19 dove il confinamento non riguarda più solo i giovani di famiglie ricche o benestanti (anche se di fatto rimangono gli unici a poterselo davvero permettere) e dove la sfera privata ha ammesso forme di svago molto differenti e la gente non passa più il tempo a raccontarsi storie, almeno non come si faceva nel Basso Medioevo, ma consuma altre forme d'intrattenimento, come i videogiochi, che consentono una fuga dalla realtà ancora più radicale, e assumono un valore consolatorio tanto forte quanto più riescono a proiettare il giocatore altrove, facendosi placebo delle sue paure.

Animal Crossing: New Horizons

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Sarà per questo che uno dei giochi di maggior successo di questi mesi in compagnia dell'epidemia è stato Animal Crossing: New Horizons per Nintendo Switch? Assurto a vero e proprio simbolo di questo anno disgraziato? Immaginate un'umanità scossa e in preda ad ansie e terrori ancestrali, cui gli dei concedono la possibilità di rannicchiarsi sul divano per arredare la propria isola sorgente dalle acque di un altro mondo, pur virtuale, dove il male e le malattie non esistono. L'isola è una specie di regno in cui si vive insieme a degli animali antropomorfi guidati dalla CPU, ma senza alcun rischio di zoonosi. Non si è soli, perché altri esseri umani hanno ottenuto il dono degli dei e sono desiderosi di visitare le isole degli altri e di mostrare le proprie. In piccolo è come il formarsi di una nuova società in un territorio ignoto ma rassicurante, una specie di emigrazione di massa dalla realtà senza il rischio di essere rifiutati, con Nintendo che gestisce gli ingressi.

Solo in Giappone Animal Crossing: New Horizons ha piazzato più di sei milioni di copie, diventando uno dei giochi più venduti di sempre sul territorio. A fine ottobre si parlava di 22,4 milioni di copie vendute a livello globale, circa il doppio rispetto a quanto fatto da Animal Crossing: Wild World e Animal Crossing: New Leaf, ma con il Natale alle porte il numero di copie vendute sarà sicuramente cresciuto. Nintendo stessa è rimasta stupefatta dal successo di New Horizons, appartenente a un franchise che considerava sì forte, ma non così tanto da sbaragliare Mario e i Pokémon. Non aveva considerato il nuovo coronavirus...

L'industria e la pandemia

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Ma non è solo Nintendo ad aver goduto degli effetti della pandemia, che hanno in realtà prodotto una crescita dell'intero mondo dell'intrattenimento casalingo (ma noi limitiamoci a parlare di videogiochi). I resoconti finanziari di tutti i principali produttori hardware e dei grandi publisher hanno visto una crescita innaturale. Solo in Italia, per il 2020 si prevede un aumento della spesa in videogiochi del 21,6% (dati Pwc), per 2,5 miliardi di euro, contro un aumento medio della spesa annuale da qui al 2024 dell'11%. È normale che sia così: come tutti, anche i videogiocatori sono stati costretti (e lo sono ancora) a stare in casa per periodi più lunghi e più frequentemente rispetto a prima, oltretutto in una condizione di profondo disagio. Comscore ha rilevato una crescita del 19% di traffico e visite sui siti dedicati ai videogiochi in Italia, Spagna, Francia, Germania e Regno Unito, nella settimana che va dal 6 al 12 aprile 2020. La verità è che non c'è un settore dell'industria videoludica che non sia cresciuto: hardware, software e servizi. In particolari segmenti come quello dei free-to-play hanno visto una crescita enorme, come testimoniano i bilanci di Activision trainati da Call of Duty: Warzone e successi come quello di Among Us, diventato dalla mattina alla sera il gioco più giocato del mondo, o anche quello di Fall Guys, che è stato in regalo un mese con il PS Plus.

Un medium che si adatta

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Del resto non esiste un medium più versatile di quello videoludico. Come rilevato da Matthew Ball nel suo "Gli effetti del coronavirus sui videogiochi", i videogiochi hanno delle caratterisitche intrinseche che li rendono perfetti per divagarsi durante dei periodi di chiusura. In particolare non c'è più bisogno di piattaforme dedicate per giocare: basta uno smartphone per accedere a decine di prodotti di altissima qualità giocabili in cross-play, come Fortnite, Roblox o il già citato Among Us.

Inoltre il mercato digitale ha reso superflua la necessità di uscire per andare ad acquistare copie fisiche, consentendo di gestire tutto da remoto. Interfunzionalità e comodità, quindi. Ma non è solo questo: i videogiochi consentono di svolgere un gran numero di attività diverse al loro interno, come raccontato da Matteo Lupetti su Artribune, adattandosi spesso alle esigenze e alle aspettative dei singoli fruitori, fino a essere adoperati in modi assai diversi da come sono stati pensati (quantomeno concettualmente). Si può fare di tutto e ogni tipo di giocatore può trovare la sua casa o, meglio, la sua isola. In alcuni casi si va ben oltre il concetto di gioco, per arrivare a quello di identità, con l'atto di videogiocatore che diventa un modo per riposizionare e ridefinire se stessi fuori da una realtà complessa e pericolosa come la nostra.

I pericoli del prolungarsi della situazione

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Purtroppo quella che sembrerebbe una situazione ideale per l'industria dell'intrattenimento, in realtà non lo è per niente. Alla lunga la crescita dovuta ai periodi di confinamento potrebbe rivelarsi effimera, quando non deleteria, per tutti gli operatori del settore. Il primo punto critico che emerge dalla situazione attuale riguarda la possibilità stessa di consumare: lo si fa finché si hanno soldi a disposizione. Con l'allungarsi dei periodi di chiusura, la crescita è destinata a un inevitabile rallentamento, che porterà a una diminuzione delle risorse a disposizione dei consumatori da spendere in beni superflui come i videogiochi.

Altro punto critico è la sostenibilità dello sviluppo stesso. Una delle parole chiave per comprendere il 2020 dell'industria dei videogiochi è infatti "rinvio". Nel corso degli ultimi mesi, i progetti rinviati al 2021 o a data da destinarsi sono stati innumerevoli, ma molti di più sono i giochi rallentati dall'aver dovuto spostare l'intera produzione a casa. Non c'è un singolo studio di sviluppo che non abbia subito contraccolpi dalla pandemia, con molti publisher che hanno ridotto gli investimenti proprio per l'incertezza dei tempi di sviluppo. Con questo non vogliamo dire che non usciranno più giochi, ma solo far notare come il rischio sia quello di uscite più rade del previsto nel 2021 e, se la situazione non migliorerà, anche nel 2022. Moltissimi studi di sviluppo andranno poi in sofferenza, con il rischio concreto di chiusura alla prima avvisaglia di problemi. La situazione è quindi più complessa di quello che potrebbe sembrare a uno sguardo superficiale. L'unica certezza è che c'è bisogno che il virus sia debellato per ritornare ad avere un po' di normalità.