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Perché i videogiochi in prima persona hanno movimenti così marcati?

Andiamo alla ricerca del motivo per cui i videogiochi in prima persona sono caratterizzati da movimenti del corpo esasperati.

Perché i videogiochi in prima persona hanno movimenti così marcati?
SPECIALE di Mattia Pescitelli   —   02/04/2023

Nella nostra vita da videogiocatori ci è capitato spesso di trovarci faccia a faccia con linguaggi corporei enfatizzati, portati al limite del credibile. È una costante che abbiamo visto evolversi con il tempo, passando da un genere all'altro. I picchiaduro a scorrimento della fine degli anni '80 sono stati i capostipiti di quest'affermazione espressiva del linguaggio corporeo, con i loro attacchi "scomposti", lunghi solo alcuni fotogrammi. Quei movimenti complessi sono stati trasmessi anche ai videogiochi a piattaforme, sempre più intricati ed evoluti nel proporre mappe da esplorare in due e, poi, tre dimensioni. Con l'arrivo della grafica 3D e di narrazioni stratificate, i videogiochi d'azione e avventura si sono ritrovati a dover fare i conti con la veicolazione di emozioni attraverso una manciata di poligoni. Ma quando la complessità poligonale permise di raggiungere vette molto vicine al fotorealismo, la necessità di enfatizzare il linguaggio corporeo perse la sua centralità, soppiantato da micromovimenti facciali visibili anche durante le fasi più concitate di gameplay.

Cosa è rimasto, quindi, dell'espressività del movimento nei videogiochi? Molto, in realtà. Non tutti i giochi tendono a riprodurre sistematicamente la realtà in modo impeccabile, quindi è facile imbattersi in titoli particolarmente caricaturizzati, dove le proporzioni inusuali dei corpi coincidono con la caratterizzazione estremizzata della loro presenza mimica all'interno del mondo che abitano. Tuttavia, tolti questi casi, ne resta uno particolarmente interessante; un incontro tra realismo ed enfatizzazione scenica: i videogiochi in prima persona. Vediamo, quindi, come l'espressività dei movimenti ha trovato nuova dimora nei videogiochi in prima persona.

Il corpo parlante

Videogiochi in prima persona: le qualità espressive del corpo in un dettaglio del memoriale di Goethe, nel cuore di Villa Borghese a Roma
Videogiochi in prima persona: le qualità espressive del corpo in un dettaglio del memoriale di Goethe, nel cuore di Villa Borghese a Roma

Tornando indietro nel tempo, prima di PlayStation e Xbox, prima di Pac-Man, prima di Bushnell e di Spacewar!, ma anche prima della televisione, del cinema, delle arti figurative, del teatro; prima di tutto questo c'era l'essere umano e c'era il suo corpo. Popoli e civiltà si sono costruiti a partire dal corpo e dalla sua centralità nei processi di comunicazione. Dai primi, timidi incontri tra entità culturali differenti, fino alla costruzione di vie di scambio tra luoghi ai confini del mondo, il linguaggio corporeo è sempre stato in prima linea, che si trattasse di dialogare con entità superiori o con esotici estranei di un mondo alieno.

Poi, è stato il tempo della parola. Voce e scrittura hanno cambiato il paradigma comunicativo, andando a relegare il corpo a mero accessorio espressivo. Ma mentre la civilizzazione ci conduceva lontani da un linguaggio semplice, alla ricerca spasmodica di una complessità linguistica sempre più specifica, il mondo dell'arte dava al corpo nuova voce, più efficace di mille parole, dato che tutto era proprio lì, dinanzi agli occhi di chi voleva guardare. Scultura e pittura si sono evolute a tal punto da diventare simulacri di fedi più o meno pagane, basate sull'idolo, la sacralizzazione dell'immagine in un guscio corporeo, che sia esso fatto di legno o pietra, olio su tela o pigmenti su intonaco. Al contempo, il teatro ha concesso nuovo protagonismo alla mimica, enfatizzandola per poter comunicare all'intera platea, dalla prima all'ultima fila, le ferventi emozioni dei personaggi in scena. Una sua estremizzazione è il balletto classico, dove le parole scompaiono totalmente per lasciare spazio unicamente a fisici statuari e, al contempo, leggiadri, le cui intenzioni si costruiscono grazie a una grammatica ferrea e universale. E mentre queste tecniche si evolvevano col passare dei secoli, ecco che si affaccia al mondo una nuova sfida espressiva: il cinematografo.

Il corpo riprodotto

Videogiochi in prima persona: espressione e corpo nel cinema in un esempio tratto da 'Un nemico sconosciuto' con le sorelle Dorothy e Lillian Gish
Videogiochi in prima persona: espressione e corpo nel cinema in un esempio tratto da "Un nemico sconosciuto" con le sorelle Dorothy e Lillian Gish

La fotografia aveva costretto il mondo pittorico a reinventarsi, conducendolo verso una spirale concettuale senza fine, simbolo di una nuova era per l'umanità, ma ora il cinema prometteva di far saltare i ponti del reale con la sua dinamite dei decimi di secondo (se ci è concesso citare una famosissima suggestione dell'esegeta tedesco Walter Benjamin). Siamo in tempi da pre-storia, nel senso che l'orologio dell'umanità sembra essersi resettato e aver appena iniziato la sua corsa sulla linea cronologica dell'esistenza. Tra un ritorno primordiale alle origini delle arti figurative da parte di nuovi artisti emergenti, ai primi passi sperimentali in ambito cinematografico, fino alle tensioni geopolitiche che paiono risolvibili solo con una "tabula rasa" bellica, come se millenni di storia militare non avessero insegnato nulla alle grandi potenze in lotta per la supremazia globale, il mondo agli inizi del Novecento sembra una tela bianca sulla quale si iniziano a intravedere gli schizzi preliminari di una nuova umanità. Ed è proprio il cinema a rappresentare figurativamente i primi passi di questo "uomo nuovo".

La nuova tecnica, che permetteva di riprodurre la realtà in modo mai come prima d'allora sperimentato, si è rifatta fin da subito a ciò che era già ampiamente conosciuto: il teatro. I primi film avevano una struttura fortemente legata all'ambito teatrale, con attori di tradizione scenica che si cimentavano ben volentieri nella nuova sfida lanciata dall'immagine in movimento. Dato che l'esperienza proveniva da un passato fatto di pesante cosmesi ed esasperazione del linguaggio corporeo, il cinema si è inizialmente adattato a questa tipologia di messa in scena, non prendendo in considerazione le possibilità espressive del nuovo mezzo. Negli anni '10, c'è stato un cambio di tendenza: ora era il mezzo a divenire il principale garante dell'intensità emotiva sulla scena, permettendo agli attori di esprimersi attraverso le più impercettibili espressioni del viso o della mano. Tuttavia, il corpo rimaneva ancora centrale. Nonostante le didascalie, l'espressività fisica vinceva sulla parola, relegandola a mero complemento, accessorio per un pubblico ancora non abituato alla grammatica filmica. È con l'arrivo del sonoro, alla fine degli anni '20, che la situazione si ribalta completamente. Il corpo perde il suo protagonismo espressivo in favore dell'intensità della voce, tanto che molti divi del periodo muto furono costretti ad abbandonare la scena perché surclassati da nuove leve che meglio si adattavano al processo evolutivo dello spettacolo cinematografico. Bela Balàzs, un altro grande cronista socio-culturale dello scorso secolo, vide quest'evoluzione con i suoi occhi. In uno dei suoi scritti più apprezzati, "L'uomo visibile", mette sotto la lente d'ingrandimento proprio il ruolo del corpo nel neonato cinema, posto a confronto con la parola che, secondo lui, a partire dall'invenzione della stampa, è diventata il luogo dove risiede l'anima umana.

Dopo l'invenzione della stampa, la parola è diventata il ponte essenziale di collegamento fra uomo e uomo. L'anima si è raccolta e cristallizzata nella parola; ma il corpo ne è ormai privo: senz'anima è vuoto. Il nostro volto è ormai ridotto a un piccolo faro tremulo e incerto posto alla sommità del corpo: così si esprime l'anima. Lo aiutano talvolta le mani, ma è come se fossero monche. Eppure nel torso di una statua acefala si può vedere ancor oggi, chiaramente, se il viso perduto piangeva o rideva.

Ora, dice lui, con il cinema (quello che conosceva al momento della stesura del saggio, ovvero quello muto) si assiste a un ulteriore capovolgimento: la necessità di narrare una storia attraverso immagini prive di suoni (se si escludono gli accompagnamenti musicali che venivano eseguiti dal vivo durante la proiezione) spinge gli attori a ritrovare la valenza comunicativa del movimento e il pubblico a reimparare un linguaggio insito nella natura umana.

Milioni di uomini si siedono ogni sera nelle poltrone dei cinematografi e attraverso gli occhi rivivono vicende, caratteri, sentimenti e stati d'animo, senza aver bisogno delle parole. Tutta l'umanità si trova oggi a reimparare la lingua dimenticata della mimica e dei gesti.

L'intuizione di Balàzs, seppur condivisibile, non prende in considerazione i successivi progressi del mezzo filmico (la colpa non è, ovviamente, sua, dato che il testo riportato risale al 1922, anni prima dell'introduzione del sonoro nel cinema).

Come accennavamo poc'anzi, il cinema muta con l'arrivo della voce nella sala cinematografica, mettendo in secondo piano il ruolo del corpo in favore della complessità dei concetti da portare in scena. Ma il corpo è sempre lì, ripreso, anche se non più protagonista; una suggestione visiva che attacca il subconscio dello spettatore. Nel secondo Novecento l'arte cinematografica si incrina, spezzandosi nei suoi punti cardine a causa della pervasività televisiva. Alla disperata ricerca di una nuova espressività, i giovani cineasti trovano nei silenzi e nelle pause l'essenza della loro estetica, riportando il corpo ai fasti del muto, ma senza esaltarne la drammaticità, unico retaggio mimico tramandato al periodo classico.

Gesti espressivi nei videogiochi in prima persona

Videogiochi in prima persona: la teatralicità dei gesti di Atomic Heart
Videogiochi in prima persona: la teatralicità dei gesti di Atomic Heart

Eccoci arrivare, quindi, alla nostra questione: perché i videogiochi in prima persona hanno dei movimenti così marcati? Il nostro excursus storico ci aiuta a rispondere a tale domanda. Dobbiamo, innanzitutto, partire dalla centralità che ha acquisito la prima persona come mezzo espressivo legato al contesto videoludico. La soggettiva permette al giocatore di mettersi effettivamente nei panni del protagonista. Inizialmente questa tipologia di visuale veniva utilizzata per intensificare le emozioni provate dal giocatore (di fatto, i nostri occhi coincidono con quelli del protagonista, previa bravura da parte degli sviluppatori nel posizionare la camera di gioco in proporzione col corpo e l'ambiente che lo circonda), quindi si sposava particolarmente bene con videogiochi horror o d'azione. La situazione, negli anni, non è cambiata più di tanto, ma a essere variate sono le portate narrative dei titoli.

Non ci troviamo più a seguire le inquietanti vicende di un individuo senza voce che si sveglia in un castello spettrale o di un soldato che viene lanciato contro orde infinite di nemici (o, almeno, non sempre). Ai videogiochi in prima persona oggi è richiesto anche di veicolare storie coinvolgenti, emozionanti, capaci di tenere col fiato sospeso il giocatore. Ecco, quindi, che non basta più un punto di vista che sembra fluttuare nell'aria, senza tratti caratteristici o animazioni a dare un'identità specifica al personaggio principale. È così che nascono o si evolvono esperienze come quelle della serie di Far Cry, Doom o anche del recente Atomic Heart.

Videogiochi in prima persona: quando la gestualità diventa gameplay nell'esempio di Ghostwire: Tokyo
Videogiochi in prima persona: quando la gestualità diventa gameplay nell'esempio di Ghostwire: Tokyo

Una cosa che accomuna tutti questi videogiochi è la fortissima marcatura delle animazioni. Le arrampicate o i medicamenti spartani di Far Cry, le Glory Kills di Doom, le interazioni con qualsiasi elemento del mondo di gioco di Atomic Heart. Tutti questi movimenti sembrano eccessivi, esasperati, a volte anche forzati, ma tutto si rifà a quella stessa ragione che ha portato il cinema muto a seguire la strada della performance teatrale: l'assenza di un tratto fisico fondamentale per l'esternazione di uno stato emotivo che azioni un processo empatico. Nel caso del cinema era l'assenza della voce, nel caso del videogioco in prima persona è l'assenza di un volto con il quale identificare il protagonista. Come conferire uno spessore narrativo al protagonista dell'avventura se, nella maggior parte dei casi, non possiamo vedere il suo volto, la sua reazione ad avvenimenti e circostanze? Con un ritorno alla mimica e all'esasperazione dei gesti.

Il Doom Guy che maciulla il cranio di un demone o strappa con stoico vigore una chiave magnetica rossa dal corpo morto di uno scienziato ne segnano la sua intransigenza caratteriale; la sua mirata e rigorosa furia innata gli conferiscono dei tratti specifici, che si adattano all'atmosfera apocalittica e infernale che gli sviluppatori avevano intenzione di veicolare. Stessa cosa per P-3 di Atomic Heart, con l'eccezione che la sua efficacia in combattimento dovuta al suo passato da militare si mescola alla sua anima scanzonata e sarcastica, cosa che si traduce nelle interazioni che ha con il mondo che lo circonda, spesso contraddistinte da movimenti un po' goffi e ironici. Nel caso di Far Cry, invece, l'impronta che gli sviluppatori volevano dare al titolo era quella della sopravvivenza in un contesto nel quale gli alleati scarseggiano e il mondo di gioco è ostile in ogni sua forma. In questo caso, i movimenti dei personaggi sono imprecisi, pesanti, "primordiali", come a sottolineare la loro inesperienza in un contesto del genere, dove si è soli contro "imperi" da debellare. Questi sono solo tre esempi, ma ognuno di essi evidenzia la necessaria evoluzione dei videogiochi in prima persona che, vuoi per motivazioni artistiche o di mercato, hanno attaccato l'industria con narrazioni sempre più complesse da comunicare. I gesti, le movenze, gli impercettibili movimenti delle mani che avvolgono un fucile, ognuna di queste istanze non verbali contribuisce costantemente alla definizione di un confine caratteriale e situazionale ben preciso, che rende il corpo il protagonista della scena, anche se spesso questi movimenti così marcati, un po' barocchi, un po' teatrali, sembrano falsi, esasperati, da dramma sofocleo. Non per questo dobbiamo sentirci in colpa se un momento catartico viene azzerato da una nostra fragorosa risata. Vorremmo, a tal proposito, chiudere ancora con Balàzs, che una volta ha parlato del perché ridiamo quando veniamo a contatto con qualcosa che non è ancora storia.

La lancia nella mano di un selvaggio nudo non è ridicola; lo è nella mano di un soldato moderno. Una galera portoghese del secolo XV è una splendida immagine, ma le prime locomotive e le primissime automobili sono ridicole. In esse non vediamo una cosa completamente diversa da quelle che oggi esistono, ma vi riconosciamo la forma incompleta, ridicola, di ciò che ancor oggi esiste. Per la stessa ragione la scimmia ci sembra ridicola: perché ci assomiglia.

Speriamo che questo speciale dedicato all'espressività dei movimenti nei videogiochi in prima persona abbia stuzzicato la vostra insaziabile curiosità. Vi aspettiamo nei commenti per conoscere il vostro parere.