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Videogiochi un tanto al chilo: come la longevità non deve inficiare sul prezzo

Valutare la longevità utilizzando esclusivamente il tempo come unità di misura è un errore molto comune.

SPECIALE di Luca Mazzocco   —   22/10/2024
Un'evocativa immagine di Senua's Saga: Hellblade II

Passano i mesi, la grafica dei videogiochi si evolve, i narrative designer diventano sempre più bravi a raccontare storie e nuovi brillanti progetti raggiungono il mercato a cadenza ormai settimanale. Nonostante ciò, la discussione sulla corretta durata di un videogioco è sempre attuale e coinvolge i videogiocatori di tutto il mondo. Tra open world troppo vasti e titoli dalla durata di poche ore venduti a prezzo pieno, sono molte le problematiche emerse nel corso del tempo. Problematiche sensate, ma che spesso vengono affrontate con la superficialità tipica dei social e che, al contrario, richiederebbero un ragionamento più posato.

È innegabile: ognuno di noi può (e deve) maturare un proprio giudizio, valutando la questione con la propria testa e prendendo decisioni di conseguenza. Questo per dire che sta al giocatore stabilire che un gioco dalla durata di tre ore possa valere un determinato prezzo. Esattamente come è lecito lamentarsi del tentativo delle software house di aggiungere contenuti ai videogiochi per "intrappolare" l'utente all'interno di un loop eterno, con il solo scopo di tradurre il costo di acquisto dell'opera in ore giocate. È però vero che, se il parere soggettivo è inattaccabile proprio perché "soggettivo", è altresì giusto affermare che cultura, esperienza e lucidità sono la chiave per elaborare al meglio un'idea solida e strutturata. Un'idea che non solo meriti di essere espressa, ma che permetta la nascita di un dialogo privo di assoluti, ma basato sul reciproco scambio di opinioni.

La struttura della longevità

Prima di arrivare a ragionare sul mero denaro, è giusto partire dal cuore dell'esperienza videoludica: il gameplay. Una delle principali domande che si pongono gli sviluppatori di videogiochi è: "quante volte il giocatore dovrà ripetere le stesse azioni per completare il gioco e sentirsi soddisfatto?". Una domanda semplice solo all'apparenza e che necessita di una risposta estremamente precisa per evitare lo sperpero di soldi da parte dell'azienda e che gli utenti rimangano delusi dall'esperienza finale. Una risposta che, nella maggior parte dei casi, viene definita in corso d'opera in base al tipo di gioco che si vuole realizzare.

Titoli come Open Roads vivono proprio della loro breve durata, in grado di essere assaporata in una singola sessione di gioco
Titoli come Open Roads vivono proprio della loro breve durata, in grado di essere assaporata in una singola sessione di gioco

Un'opera come Open Roads, per esempio, nasce evidentemente dall'esigenza del director Steve Gaynor di voler raccontare il rapporto della sedicenne Tess con sua madre Opal. Un rapporto che, a cascata, si estende a quello di Opal con sua madre Helen. Per raccontare queste tre generazioni di donne, Gaynor mette in piedi un'opera dalla durata che si attesta tra le due e le tre ore. Una sorta di film interattivo nel quale il gameplay è sempre e comunque funzionale alla narrazione. Bastano pochi minuti per comprendere che un gioco come Open Roads presenti una struttura tale da non poter durare decine di ore. Allo stesso tempo, è evidente come un titolo come Baldur's Gate 3 necessiti di diverso tempo per ingranare, introducendo gradualmente nuove meccaniche e rendendo l'apprendimento di queste una parte fondamentale dell'esperienza offerta al giocatore.

Insomma: la longevità deve essere ragionata in funzione del gameplay alla base del progetto. O, per essere più precisi, in base all'intrattenimento offerto dal gameplay in questione.

La qualità prima di tutto

Quante quest secondarie deve avere un GDR per essere considerato valido? Quanti documenti devono essere inseriti in un gioco come Gone Home per garantire una narrativa solida? Quanti livelli devono essere presenti in un action per esprimere al meglio il sistema di combattimento ideato dagli sviluppatori? Domande che non hanno una risposta unica e univoca, ma che devono essere elaborate di volta in volta e che, inevitabilmente, devono far fronte a un buon business plan. Capire qual è il budget e come sfruttarlo al meglio per offrire un'esperienza completa al giocatore è alla base della buona riuscita di un videogioco. Per fare ciò, però, è necessario avere stampato in testa un mantra: l'importante non è quanto l'utente rimanga incollato al gioco, bensì quanto si diverta nel tempo passato con il controller in mano.

What Remains of Edith Finch è la dimostrazione che la qualità del tempo speso è senz'ombra di dubbio la caratteristica principale di un videogioco
What Remains of Edith Finch è la dimostrazione che la qualità del tempo speso è senz'ombra di dubbio la caratteristica principale di un videogioco

È evidente che il problema di giochi come Assassin's Creed Odyssey non è tanto che completarlo al 100% porti via quasi 150 ore, ma che gran parte di esse siano passate ad affrontare missioni ripetitive e inserite per allungare il brodo. Dopotutto stiamo parlando di una durata paragonabile a quella di The Witcher 3: Wild Hunt, titolo altrettanto vasto, ma incapace di annoiare il giocatore grazie a storie ben scritte, a una maggiore varietà di situazioni e a un mondo aperto in grado di fornire continui stimoli all'utente. Per non parlare di titoli come What Remains of Edith Finch, che offrono una varietà incredibile per le sole tre ore di durata complessiva. È quando all'entusiasmo e alla chimica che si crea tra gioco e giocatore subentra la noia e/o il fastidio che qualcosa si spezza, portando poi l'utente a lamentarsi dell'esperienza vissuta.

Da questo si evince che non è la durata stessa il problema dietro le lamentele sulla longevità, bensì la qualità finale del prodotto.

Una questione di soldi

Al di là di qualsiasi ragionamento legato al gameplay o alla qualità dell'opera, alla fine è sempre e comunque una questione di soldi. In molti lamentano di aver pagato troppo giochi che duravano troppo poco. La verità, però, è che anche in questo caso costo e longevità non devono aver per forza un legame. Il prezzo della messa in vendita di un titolo dovrebbe (e il condizionale è d'obbligo) essere definito in funzione delle spese da parte dell'azienda.

The Order: 1886 è finito nel mezzo di una tempesta mediatica anche a 'causa' della sua durata ridotta
The Order: 1886 è finito nel mezzo di una tempesta mediatica anche a "causa" della sua durata ridotta

The Order: 1886 è l'esempio di una proprietà intellettuale ad alto budget che è stata immessa sul mercato a 69,99 € (in versione fisica) e che in molti hanno criticato proprio per la sua durata. Eppure informandosi un po' si può comprendere l'incredibile sforzo fatto dagli sviluppatori sul piano grafico. Uno sforzo che passa per un innovativo motore grafico proprietario, in grado di dare vita a un gioco che, nove anni dopo, può ancora rivaleggiare con i principali esponenti del settore. Si tratta di una scelta che ha inevitabilmente elevato i costi di sviluppo, impedendo al titolo di uscire a prezzo budget. Ovviamente si può poi discutere sulla qualità del gameplay, della narrativa o di altro, ma è evidente che prezzo e durata siano due elementi che possono apparire legati solo a uno sguardo più superficiale.

Prendete anche il recente remake di Until Dawn, titolo puramente narrativo dalla durata di circa otto ore (un'ora in più di The Order 1886, secondo "How long to Beat") e venduto a circa settanta euro. In questo caso è legittimo lamentarsi del prezzo di questa operazione, ma non certo per la longevità, bensì per le problematiche di frame rate, il cambio della colonna sonora e il fatto di essere un remake non necessario venduto a prezzo pieno quando il titolo originale è ancora più che godibile. Insomma: ancora una volta la lamentela sul costo non deve essere associata alla longevità, ma al risultato finale dell'opera.

Chiedere che i videogiochi vengano prezzati un tanto al chilo, inoltre, sarebbe una lama a doppio taglio, che rischia di diventare un boomerang per i giocatori. In questo caso, infatti, bisognerebbe stabilire una longevità media e associare i titoli con quella durata al prezzo di lancio attuale. Ipotizzando che i videogiochi da venti ore vengano venduti a 69,99€, i titoli dalla durata inferiore come The Order 1886 o Hellblade: Senua's Sacrifice arriverebbero quindi sul mercato a una cifra sicuramente più bassa, ma allo stesso tempo i vasti open world come Red Dead Redemption II e Baldur's Gate 3 sforerebbero facilmente il tetto dei cento euro per la loro versione base.

Siamo davvero sicuri di voler vivere in un mondo del genere, dove le ore di gioco vanno convertite in moneta sonante? Ammettiamolo: questa ipotetica prostituzione del videogioco non fa bene a nessuno. Esattamente come nella vita di tutti i giorni, alla fine, dovremmo renderci conto una volta per tutte che a essere importante non è la quantità del tempo speso, bensì la sua qualità.