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Violenza e videogiochi di nuovo a braccetto: il dibattito americano in materia è rimasto fermo agli anni ’90?

Le ultime dichiarazioni del presidente americano Donald Trump hanno riacceso le solite polemiche

NOTIZIA di Davide Spotti   —   23/02/2018

Se vi è capitato di leggere Wanted - La Storia Criminale di Grand Theft Auto, avrete sicuramente già sentito parlare di Jack Thompson. Celebre oltreoceano per le infinite battaglie nei confronti dei videogiochi violenti, l'ormai ex avvocato di Cleveland, Ohio, ha avuto a lungo un ruolo centrale nel dibattito americano in materia tra la fine degli anni '90 e i primi anni 2000, soprattutto nei confronti di Rockstar Games e di titoli come Grand Theft Auto o Manhunt. Battaglie legali proseguite per anni, fino a quando nel 2008 la Corte Suprema decise di radiarlo dall'ordine forense per condotta inappropriata verso le parti coinvolte e false dichiarazioni rese in tribunale.

A distanza di anni, le polemiche sulla presunta correlazione tra comportamenti violenti e videogiochi non si sono mai sopite e questa volta il monito proviene nientemeno che dal presidente degli Stati Uniti d'America, Donald Trump Ecco le sue dichiarazioni sul tema: "Dobbiamo pensare a internet perché un sacco di cose brutte stanno accadendo ai bambini e alle menti più giovani. Forse dobbiamo intervenire su quello che vedono e su come lo vedono, compresi i videogiochi. Sto sentendo sempre più persone affermare che il livello di violenza presente nei videogiochi sta davvero influenzando la mente dei giovani. Anche i film sono troppo violenti; un bambino è in grado di vedere questi contenuti se non vengono rappresentate scene di sesso, mentre le scene in cui avvengono omicidi non sono coinvolte nella valutazione. Forse è necessario introdurre un sistema di classificazione per questo genere di cose. È una questione molto importante, ma il fatto è che escono film talmente violenti, con omicidi e tutto il resto, e forse questo è un altro tema su cui dobbiamo discutere".

Violenza e videogiochi di nuovo a braccetto: il dibattito americano in materia è rimasto fermo agli anni ’90?

Insomma, una presa di posizione piuttosto netta verso un determinato modo di fare spettacolo e di intrattenere il grande pubblico, che a detta di Trump riguarderebbe tanto i videogiochi quanto il mondo del cinema. L'argomento è stato oggetto di discussione durante una riunione che si è svolta alla Casa Bianca in tema di sicurezza nelle scuole, a pochi giorni dai fatti di cronaca che hanno interessato un istituto scolastico di Parkland in Florida, dove un ragazzo armato di pistola ha freddato diciassette persone e ne ha ferite altri quattordici. A dirla tutta non è nemmeno la prima volta che il Tycoon si scaglia verso i soliti noti per dare una chiave di lettura dei fatti di cronaca nera che spesso e volentieri coinvolgono gli istituti scolastici americani. Era infatti già accaduto nel 2012, quando in seguito alla sparatoria scolastica della Sandy Hook Elementary School, aveva dichiarato su Twitter che "i videogiochi violenti sono capaci di tramutare le persone in dei veri e propri mostri". Forse qualcuno dovrebbe prendersi la briga di chiedere al presidente Trump come mai, nonostante determinati contenuti arrivino anche in Europa, dalle nostre parti il fenomeno delle sparatorie negli istituti scolastici non sia avvertito come un problema sociale persistente. Quando si sono verificati i fatti di Parkland, gli organi d'informazione hanno riportato che si è trattato della diciottesima sparatoria avvenuta in una scuola americana da inizio anno. Diciotto sparatorie in quarantacinque giorni, una media che lascia quantomeno basiti.

Dopo aver proposto di armare gli insegnanti, Trump ha fatto filotto mettendo di nuovo in croce un certo modo di fare spettacolo. Rimanendo ancorati al settore che più ci compete, l'assunto fondamentalmente è sempre il solito: fruire un videogioco in cui si spara e si uccide può indurre un individuo a compiere quei medesimi atti anche nella vita di tutti i giorni. Ma è davvero così? A giudicare dagli studi in materia la faccenda è più complessa di quanto la si voglia far passare, anche se le tesi che smentiscono questo tipo di teoria sono già numerose. Come forse ricorderete, uno studio pubblicato nel 2015 dall'American Psychological Association ha cercato di dimostrare l'esistenza di un rapporto tra l'utilizzo di videogiochi violenti e analoghi comportamenti aggressivi. Due anni fa l'American Academy of Pediatrics ha messo in guardia riguardo al pessimo esempio rappresentato dai media violenti per i bambini, dichiarando che i videogiochi non dovrebbero permettere di uccidere obiettivi umani o altri esseri viventi "perché queste dinamiche insegnano al bambino ad associare il piacere e il successo con l'abilità di causare dolore e sofferenza agli altri".

Violenza e videogiochi di nuovo a braccetto: il dibattito americano in materia è rimasto fermo agli anni ’90?

Analisi che peraltro non teneva conto di una considerazione molto basilare, ovvero che una determinata tipologia di contenuti non dovrebbe essere messa a disposizione di un pubblico non idoneo a fruirla. Proprio per questo serve più cultura e più consapevolezza da parte di chi possiede - o dovrebbe possedere - gli strumenti critici per comprendere se un determinato prodotto sia o meno adatto ad entrare in contatto con un bambino. È soprattutto qui che alberga la zona grigia, ma questo non significa che alcune opere debbano essere censurate tout court. Capite bene che non avrebbe alcun senso e si darebbe pure adito a pericolose forme di manipolazione della libera capacità d'espressione.

Per inciso, nel nostro piccolo, in questi anni abbiamo ripetuto a non finire dell'importanza del PEGI nella valutazione dei prodotti videoludici, al fine di inquadrare la loro idoneità per l'utenza più giovane. Per quella che è la situazione attuale, è soprattutto ai genitori che spetterebbe un controllo sui contenuti fruiti dai figli, che si tratti di videogiochi, cinema, televisione o materiali visualizzati su internet. Con l'avvento degli smartphone e delle connessioni mobile è diventato molto difficile o praticamente impossibile porvi un freno? Bene, allora si lavori per trovare adeguati strumenti di tutela anziché demonizzare le potenzialità espressive dei media stessi. Questo avrebbe dovuto dire esplicitamente Trump. Questo dovrebbe dire qualsiasi uomo delle istituzioni interpellato sull'argomento, a prescindere da interessi e facili partigianerie.

Come dicevamo, in questi anni il tema della violenza nei videogiochi è stato oggetto anche di molti studi che hanno cavalcato una tesi diametralmente contraria a quella indicata poc'anzi. Il più recente, eseguito dall'Università di York, sostiene che non sussista una correlazione tra videogiochi violenti e azioni compiute da alcune persone nella realtà. Altri studi sono stati portati avanti presso la Stetson University nel 2014, ma vale la pena citare anche quello effettuato lo scorso anno presso la Hannover Medical School, che tra l'altro mira proprio a confutare gli assunti dell'American Psychological Association. E non dimentichiamoci nemmeno di quanto dichiarava nel 2015 Jeffrey Goldstein, professore di psicologia alla Temple University di Philadelphia, secondo il quale sarebbe difficile effettuare una valutazione d'insieme assolutamente valida anche per il singolo individuo, pur osservando che "tutti gli studi recenti non indicano la pratica dei videogame violenti come distintiva di personalità o atteggiamenti aggressivi. Per una trattazione ancora più approfondita su questo specifico aspetto vi rimandiamo a questo interessante pezzo di Emilio Cozzi.

Ora, riprendendo il discorso da dove siamo partiti all'inizio, le frasi pronunciate da Trump ci sembrano - decidete voi l'alternativa che vi sembra più plausibile - poco lucide oppure evidentemente pretestuose. Se non altro venticinque anni fa, quando le crociate di Jack Thompson iniziarono ad attirare l'attenzione dell'opinione pubblica a stelle e strisce a causa di titoli come Mortal Kombat, gli studi sull'effettiva influenza dei videogiochi sulla mente dei più giovani erano ancora di là da venire (le prime ricerche risalgono al 2003). E per quanto all'epoca la situazione fosse già inquadrata da modi e forme alquanto discutibili, se non altro si puntava il dito su un medium ancora acerbo, sconosciuto a tanti, su un'industria in crescita ma nemmeno lontanamente paragonabile a quella attuale, con un peso sociale e culturale ben più ristretto rispetto a quello di cui siamo partecipi al giorno d'oggi.

Ad ogni buon conto, leggendo le ultime dichiarazioni di Trump, l'impressione è che per l'ennesima volta, a dispetto della crescita esponenziale dell'intera industria, dei sistemi di controllo garantiti anche in America da organi come l'ESRB, a prescindere dalla dignità che il mezzo si sta ritagliando nella vita quotidiana di milioni di persone, ciclicamente si debba fare due passi indietro e assistere all'immobilismo del dibattito, tra generalizzazioni, argomentazioni inconsistenti e una dilagante dose di superficialità. In pratica è come se davvero fosse impossibile affrancarsi una volta per tutte da ipocrisie e giustificazioni che ben poco hanno a che vedere con il fulcro delle questioni portate all'attenzione delle istituzioni pubbliche. Same old story, che ci volete fare.