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Il burn-in è davvero un problema sui monitor QD-OLED? Ecco i risultati di un lunghissimo test

Un'analisi approfondita con un monitor MSI MPG 321URX ha svelato la resistenza dei monitor QD-OLED al burn-in sul lungo periodo.

NOTIZIA di Raffaele Staccini   —   18/06/2025
QD-OLED MSI

I monitor da gaming che impiegano display QD-OLED sono sempre più diffusi grazie a neri profondi, colori vividi e a tempi di risposta estremamente rapidi. Tuttavia, la questione della durabilità rimane un punto interrogativo per molti utenti e addetti ai lavori. Il tallone d'Achille dei pannelli OLED, ovvero il burn-in, è infatti una preoccupazione costante, che ha spinto i produttori a implementare soluzioni variegate per mitigare il rischio e prolungare la vita operativa di questi display.

Ma come si comportano davvero, in uno scenario estremo, i pannelli QD-OLED? L'analisi condotta da Monitors Unboxed sul monitor MSI MPG 321URX ci ha dato alcune risposte interessanti.

Il test del burn-in

Il test in questione cerca di replicare le condizioni più estreme e sfavorevoli per un pannello OLED, concentrandosi sull'esposizione a immagini statiche, notoriamente la causa principale del burn-in: Monitors Unboxed ha tenuto acceso il monitor per otto ore al giorno, sette giorni su sette, con applicazioni prevalentemente statiche e una luminosità di 200 nit. A queste condizioni si è aggiunto l'uso della modalità chiara di Windows 11 con una barra delle applicazioni scura, fattori che tendono ad accelerare l'insorgenza del fenomeno.

I risultati preliminari del test hanno dimostrato che il burn-in non si manifesta in maniera evidente nei primi mesi di utilizzo. Ci sono voluti circa sei mesi perché le prime tracce di "stampature" iniziassero a essere percepibili, e anche in quel frangente, la differenza era minima e richiedeva un'osservazione attenta per essere rilevata. Con il passare del tempo, in particolare dopo nove e dodici mesi, la differenza ha iniziato a diventare più marcata, con la barra delle applicazioni scura e una linea centrale, generata dall'ancoraggio di un'applicazione sul lato destro dello schermo, che hanno lasciato un segno più evidente.

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Tuttavia, è solo dopo quindici mesi di utilizzo continuo e ininterrotto che il burn-in è diventato chiaramente visibile. Nonostante ciò, i tester hanno notato che, nella maggior parte degli scenari di utilizzo quotidiano, questo fenomeno non risultava particolarmente disturbante. L'anomalia era più evidente solo quando venivano visualizzati colori specifici, come il verde, o quando venivano applicati filtri per accentuare le discrepanze visive. Questo suggerisce che, pur essendoci un degrado cumulativo, l'impatto sulla normale fruizione del monitor non è immediato né drammatico.

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Voi che cosa ne pensate? Test come questi vi rassicurano sul possibile acquisto di un OLED? Diteci la vostra nei commenti qua sotto. Intanto i display AMOLED flessibili dominano il mercato degli smartphone: sono sul 60% dei dispositivi.