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E3, quando fallirà sarà sempre troppo tardi

L'E3 è una chincaglieria del passato, accettiamolo e andiamo avanti, invece di stare sempre ad aspettare che tutto il mondo dei videogiochi la usi come vetrina.

NOTIZIA di Simone Tagliaferri   —   16/01/2020

L'E3 non ha più senso da anni ormai, figurarsi nel 2020. Lo aveva quando era un evento a porte chiuse utile a sviluppatori e publisher per incontrarsi e stringere accordi o, meglio, annusarsi un po'. Il pubblico lo ha sempre valutato solo dalle conferenze annuali, ma in realtà quelle sono un mero specchietto per le allodole. Ciò che ha sempre contato davvero è il dietro le quinte.

Comunque sia l'aspetto mediatico della manifestazione una sua importanza l'aveva: in epoche in cui arrivare al pubblico era molto più complicato di oggi, perché c'erano pochi canali di comunicazione cui affidarsi (leggasi riviste e successivamente i primi siti internet specializzati), avere un evento di grande risonanza in cui poter mettere in mostra i giochi aveva una sua funzione. Oggi questa funzione è venuta meno, com'è venuta meno la necessità di avere un punto d'incontro annuale tra i professionisti dell'industria, che di loro hanno una moltitudine di occasioni in più per parlare e continuare ad annusarsi. L'E3 è ormai il classico molto rumore per nulla. Chi scrive non vede l'ora che Microsoft presenti la sua lineup per Xbox Series X, ma non perché la presenterà all'E3. Anzi, l'E3 è quasi un fastidio in questo caso, una distrazione rispetto all'oggetto del desiderio. Meglio un evento dedicato, in modo che ci si possa concentrare e che il giorno dopo si possa continuare a ragionare di ciò che si è visto, invece di doversi preoccupare di altre conferenze, ormai sempre più vuote di giochi, sostituiti da Season Pass, patch e mirabolanti aggiornamenti. Il futuro è il live service, baby.

In verità l'edizione 2020 della fiera rischia di ingannare, perché l'arrivo di PS5 e Xbox Series X potrebbe far uscire dal cilindro dei publisher più titoli inediti di quanti se ne siano visti negli ultimi anni, ma il punto non è la quantità. Il punto è che non ce n'è semplicemente bisogno. Non ne ha più bisogno l'industria dei videogiochi, perché l'E3 ormai non è più lo specchio di nulla, a parte dei sogni infranti di un genere di videogiocatore ancorato ai vecchi stilemi. Non ne hanno più bisogno i media, visto che il grande pubblico segue sempre meno i videogiochi e sempre più il gossip dei videogiochi, quindi streamer, youtuber e affini. Non ne ha più bisogno nemmeno il pubblico hardcore stesso, visto che ormai ha mille occasioni di accesso alle informazioni sui giochi. L'E3 sembra aver assunto una funzione paradossale: non può non esserci ma nessuno sa bene perché. La triste verità è che essere all'E3 non fa vendere mezza copia in più e serve soltanto a partecipare alla patetica gara per la conferenza migliore che si ripete ogni anno e che riguarda solo un ridottissimo numero di videogiocatori.

Oltretutto negli ultimi anni l'ESA, l'ente organizzatore dell'evento, ha fatto di tutto per screditarlo, ammettendo il pubblico pagante senza adeguare gli spazi della fiera e commettendo gaffes su gaffes come quella dei dati dei giornalisti accreditati lasciati esposti su internet per giorni.

La sostanza è che l'E3 non è più il faro del mondo dei videogiochi, quello che indica le prospettive future all'intera industria, ma il Dr. Diserspect che gira per i cessi mandando il filmato in diretta su Twitch.