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Ritorno alle origini

È arrivato il nuovo The Legend of Zelda, tanto diverso dagli ultimi quanto simile al primo.

RECENSIONE di Alessandro Bacchetta   —   02/03/2017
The Legend of Zelda: Breath of the Wild
The Legend of Zelda: Breath of the Wild
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Quest'ultimo episodio di The Legend of Zelda è il gioco più grande e costoso della storia Nintendo: è stato sviluppato per cinque anni (dal 2012 al 2016) e ha richiesto, al culmine della lavorazione, l'impegno di circa trecento persone, alcune delle quali tra l'altro - come forse saprete - provenienti da Monolith Soft (Xenoblade X Chronicles). Per trovare un progetto altrettanto ambizioso da parte dell'azienda kyotese bisogna andare indietro nel tempo di quasi due decenni; alcuni di voi potrebbero citare Super Mario Galaxy ma, a parte il fatto che è stato scolpito alla sede di Tokyo (ma questo poco ci interessa), l'avventura interplanetaria dell'idraulico, per quanto sperimentale e straordinaria, ha rappresentato un'eccellenza fine a sé stessa. Al contrario, Breath of the Wild si è fatto carico non solo del proprio destino, ma di quello di EPD tutta: gli enormi tempi richiesti dall'elaborazione di un nuovo engine, comprendente un avanzato motore fisico, saranno ripagati dalla condivisione di questi elementi con altri titoli sviluppati internamente. Per farvi un esempio, l'ultimo grande aggiornamento in questo senso risaliva addirittura ai tempi di Super Mario Sunshine e Wind Waker, che però, presi singolarmente, non erano certo ambiziosi come Breath of the Wild. L'ultimo gioco a coniugare elevati obbiettivi "personali" ed aziendali è stato proprio Ocarina of Time - o, se preferite, Super Mario 64. Non vi bastasse questo a rendere il contesto abbastanza interessante, vi ricordiamo che la serie di The Legend of Zelda, pur non avendo mai ricevuto valutazioni negative, arriva a questo snodo cruciale dopo una serie di capitoli che hanno fatto discutere: per l'impostazione, per la realizzazione, per quanto fossero ormai distanti dall'essenza della serie, da quell'esplorazione, da quella difficoltà e da quel senso di progressione che avevano ammaliato milioni di giocatori. In poche parole, per usare un termine da poker, Nintendo con questo titolo è andata "all-in": l'unica mossa possibile per preservare la sacralità della saga, che è stata progressivamente scalfita nell'ultimo decennio.

Breath of the Wild è un'esperienza eccezionale, che porta la serie nel futuro ispirandosi al passato

Scalare, bruciare e rotolare

Appena iniziata l'avventura ci sono due elementi che catturano subito l'attenzione: innanzitutto l'assenza dell'esecrabile e logorroico inizio guidato che ha afflitto gli ultimi due episodi della serie. In Breath of the Wild, dopo un brevissimo filmato introduttivo, si prende subito il controllo di Link (a proposito, a causa del doppiaggio stavolta non si potrà ribattezzarlo a piacimento). Il secondo aspetto che colpisce è l'interazione, composta essenzialmente dal vario e preciso sistema di controllo, dall'enorme libertà concessa e dal valido motore fisico, tre ottime qualità prese singolarmente che, sommate, donano una sensazione davvero sorprendente.

Ritorno alle origini
Ritorno alle origini

Link è un tutt'uno con questo mondo, e quest'ultimo può essere sperimentato in ogni sua parte: non c'è vetta o altura che non possa essere raggiunta, non c'è dislivello o roccia che non alteri il movimento del personaggio. In quest'ambito, e solo in questo, Breath of the Wild è l'autentico seguito spirituale di Super Mario 64: la libertà che dona è straordinaria. Ogni parete è scalabile, e lo è fin quando Link non esaurisce la sua barra della fatica, che naturalmente si può potenziare nel corso dell'avventura. L'attenzione al dettaglio è maniacale, ma vogliamo essere chiari: non si tratta di una compilazione certosina e claustrofobica in stile Skyward Sword, bensì di una cura preziosa di singoli elementi che, piuttosto che limitarle, ampliano le variabili. Vi facciamo un esempio pratico, introducendo prima un altro elemento, ovvero le mutevoli condizioni meteorologiche e temporali: 60 secondi nella realtà corrispondono a 60 minuti nel gioco, quindi un'intera giornata dura ventiquattro minuti, e le condizioni del tempo, escluse particolari aree, sono sempre cangianti e casuali. Sappiamo che immaginare tutte queste qualità sommate non è semplice, per questo vi raccontiamo un episodio per farvi capire come, cumulate assieme, siano in grado di originare qualcosa di unico. Qualche giorno fa stavamo esplorando un'area di montagna, chiaramente rocciosa, durante un temporale. L'acqua scorreva forte, e quindi Link non era in grado di scalare velocemente come al solito: essendo la superficie scivolosa, tendeva spesso a perdere l'appiglio e tornare verso il basso. Stando così le cose, per continuare il tragitto abbiamo dovuto cercare dei piccoli sentieri tortuosi che ci consentissero di proseguire la nostra salita nonostante la pioggia. Dopo essere avanzati un po' abbiamo raggiunto una parte di terreno maggiormente ricca di alberi, e a quel punto, a peggiorare la situazione, sono arrivati dei fulmini: i boschi, notoriamente, non rappresentano il luogo più sicuro durante un temporale. Non abbiamo fatto in tempo a metterci al riparo: una saetta ha colpito un arbusto di fronte a noi, l'albero con l'urto si è spezzato, e il suo tronco ha iniziato a rotolare verso il basso seguendo la pendenza del terreno. Essendo stato fulminato ha preso fuoco, e quindi ha causato un principio d'incendio entrando in collisione col manto erboso: il tutto però, per nostra fortuna, è stato presto sedato dall'incessante acqua caduta dal cielo. Ecco, questo è solo un episodio. Breath of the Wild garantisce una varietà dell'esperienza, e una qualità nella varietà, semplicemente eccezionale: nessuno di noi giocherà la stessa avventura, né affronterà gli stessi pericoli al medesimo momento.

Combattimento ed equipaggiamento

La più grande sorpresa di questo The Legend of Zelda è sicuramente il livello di difficoltà: le demo antecedenti all'uscita ci avevano preparato al tipo di esperienza che avrebbe offerto, ma non lasciavano immaginare che sarebbe stato così difficile. Si, avete letto bene: dopo anni abbiamo di nuovo un capitolo della saga davvero impegnativo, talmente arduo da far risultare piuttosto facile non solo Skyward Sword, ma perfino Ocarina of Time. L'unico predecessore altrettanto ostico è proprio il capostipite a cui è dichiaratamente ispirato, ovvero il primo The Legend of Zelda.

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La crudezza dei combattimenti è determinata principalmente da due fattori, e cioè dall'equipaggiamento del personaggio, che spesso risulta inadatto alla situazione, e dalla forza (e dal numero) dei nemici. Questi ultimi variano molto negli approcci e nei comportamenti, tendono a collaborare tra loro in base ai diversi gradi di intelligenza, e soprattutto - notizia interessante solo per gli appassionati della saga - finalmente attaccano tutti assieme, non alternandosi nel duello. La situazione di instabilità e precarietà che ne deriva genera sensazioni antiche, da tempo sopite in The Legend of Zelda: alcuni nemici possono uccidervi con un solo colpo, altri vi braccano e sono più veloci di voi, altri ancora cacciano in gruppo (bellissima in questo senso la ricostruzione dei branchi di lupi). In generale, è fondamentale l'equilibrio tra i due elementi che vi abbiamo elencato prima: con un equipaggiamento adeguato si possono approcciare combattimenti altrimenti improbi, mentre con un inventario scadente si rischia di soccombere anche con un gruppo di nemici scarsi. Complessivamente si muore molto, e a volte la situazione può sfiorare la frustrazione: si è posto argine all'esagerazione punendo poco i decessi, perché Link riparte sempre da zone vicine, e vi assicuriamo che sarete grati di questa scelta. A questo proposito i salvataggi automatici sono frequenti, ed è possibile - salvo rare eccezioni - anche attuarli manualmente. Tornando un attimo all'equipaggiamento, è bene segnalare come le temute armi deteriorabili siano necessarie in termini di game design: sono loro che vi spingono a combattere i nemici - e rischiare la vita - piuttosto che a evitarli, così da poterli poi derubare, sono loro a donare dinamicità all'azione e a generare quel costante senso di pericolo e necessità di sopravvivenza.

Ritorno alle origini

Non si rompono solo le armi iniziali, ma anche quelle più potenti. Esistono tanti strumenti per attaccare: spade, lance, martelli e altri ancora. Ognuno di essi è utile fin dal primo approccio, ognuno necessita di un periodo di apprendimento per essere compreso appieno, ognuno ha diversi pro e contro (gli strumenti più forti tendenzialmente non prevedono il contemporaneo utilizzo dello scudo). I combattimenti richiedono molta attenzione e prontezza di riflessi: gli stessi scontri coi nemici più significativi non sono più incentrarti sulla scoperta del punto debole (non solo, almeno) ma soprattutto, e finalmente, sull'azione. Schivando i colpi al momento giusto Link ha la possibilità di contrattaccare al rallentatore, accadimento utile ma - fortunatamente - raro. L'utilizzo dell'arco come strumento di offesa è più importante che in passato, ed è estremamente piacevole e dinamico da utilizzare (si attiva con ZR). Anche qui, i vari archi implicano diversi approcci agli scontri: alcuni donano maggiore potenza, altri migliorano la mira (ingrandendo l'obbiettivo). L'equipaggiamento di Link è composto, oltre che da armi, archi e scudi, anche da altri elementi che, al contrario dei primi tre, non sono deteriorabili: maglie, mantelli e cappucci, pantaloni e stivali. È fondamentale non rimanere mai con pochi strumenti: oltre che uccidendo nemici, armi e vestiti possono essere ottenuti nei negozi, da acquistare con le canoniche rupie, che però stavolta non si ottengono tagliando l'erba, bensì vendendo i materiali guadagnati uccidendo mostri.

La natura di Hyrule

Ed eccoci arrivati alla sezione più importante di quest'opera: il mondo di gioco, la terra di Hyrule. Iniziamo dai dettagli: Link non è solo in grado di correre come in Skyward Sword - col moto dipendente alla già citata barra della fatica - ma anche di saltare. Il salto, da sempre automatico nelle avventure tridimensionali di Link, serve a "liberare" il tasto azione (che ora non serve più a salire sugli oggetti) e a raggiungere certe zone sopraelevate, ma resta comunque un atto secondario nell'economia del gioco: lo dimostra il fatto che l'altezza del salto non sia sfumata in relazione all'intensità della pressione.

Ritorno alle origini

Si rivela invece un'azione importante se congiunta all'apertura della paravela, uno strumento che consente di planare in giro per il mondo (anch'esso consuma la barra della fatica), che vi donerà una grande sensazione di libertà, soprattutto se azionato dalla vetta di una montagna. Al solito l'energia vitale di Link è indicata da una serie di cuori, ma in questo caso, oltre a calare più spesso della norma, ricaricarli non sarà immediato né semplice. Esattamente come l'equipaggiamento del personaggio anche il cibo, che serve a risanare la salute, necessita tempo e preparazione: in generale ogni viaggio e ogni meta in questo gioco presuppongono una minima ponderazione, gettarsi allo sbaraglio è divertente ma solitamente infruttuoso e, anzi, controproducente. Si possono mangiare bacche, frutta, carne e pesce, ma il massimo lo si ottiene cucinando e mischiando i singoli ingredienti: in certi frangenti risulta proprio imprescindibile prepararsi bene per affrontare degnamente la prossima meta. È possibile cacciare, naturalmente: ucciso un animale questo diventa immediatamente carne commestibile, senza che ne vengano mostrati patimenti e sofferenze. La rappresentazione della fauna è comunque magistrale, e forse costituisce l'elemento decorativo, e intrinsecamente narrativo, più valido di Breath of the Wild: sono presenti circa novanta specie di animali, e tutte sono curate nei movimenti, negli atteggiamenti e nei comportamenti, dai cavalli ai lupi, dai cani ai tori, dalle volpi agli scoiattoli, dai cervi agli stambecchi.

Esplorazione e progressione

Finora vi abbiamo parlato di alcune eccellenze di Breath of the Wild, nonché di certi elementi di rottura coi recenti canoni della serie, ma non c'è niente, davvero niente, che distanzi questo mondo dai precedenti quanto l'esplorazione di Hyrule. Una volta terminata l'introduzione, che dura all'incirca quattro ore, è possibile andare ovunque. L'obbiettivo designato dalla missione principale è segnalato, ma nessuno vi vieta di recarvi altrove e, anche decideste di adempire subito al vostro compito, sicuramente vi ritrovereste in situazioni inadeguate al vostro equipaggiamento. La sensazione di smarrimento e piccolezza è devastante: appena usciti dall'area iniziale vi sentirete deboli e impotenti, totalmente impreparati a quello che vi aspetta. E proprio questa impressione è fondamentale per capire la progressione in Breath of the Wild, perché di fatto coincide con l'aumento della conoscenza, e della comprensione, di un territorio.

Ritorno alle origini
Ritorno alle origini

Ogni regione di questo enorme mondo, nessuna esclusa, ha tragitti più sicuri e altri impervi: bisogna imparare a conoscerle con l'esperienza, esplorando e morendo, scappando e combattendo. Vorremo farvi capire tuttavia quanto sia apprezzabile e anomalo questo approccio: anche alla presenza di un radar (utilizzato, e in modo generico, solo per la main quest) è imprescindibile studiare l'ambiente circostante, per capire come raggiungere i propri obbiettivi. Questa graduale comprensione di Hyrule, che si ripete ogniqualvolta si approccia una nuova regione e che procede dall'esterno all'interno in modo naturale, è forse il più grande pregio - in termini di game design - del gioco. Bisogna pianificare il viaggio, premunirsi ed equipaggiarsi, ma soprattutto studiare, osservare con gli occhi di Link e coi propri ciò che ci circonda: gli stessi personaggi non giocanti, più numerosi di quanto preventivato, non vi donano mai un semplice punto da seguire sulla mappa (non ve lo donano affatto, per essere chiari), ma vi elargiscono informazioni descrittive e rispettose della morfologia del mondo (come, ad esempio, "superate il valico tra quelle due montagne e poi chiedete all'uomo che vive sulla collina sulla sinistra, lui saprà aiutarvi"... indicazioni del tutto realistiche, insomma). Gli abitanti di Hyrule li troverete sia in giro, in particolare i commercianti e gli avventurieri, sia nei villaggi, dove potrete stare in pace - caso più unico che raro - e scambiare due parole per intraprendere le missioni secondarie. Queste ultime sono numerose, e rese ancor più complicate proprio dall'assenza di segnalazioni sulla mappa, una facilitazione a cui gli open world ci avevano ormai abituato. Un'ultima considerazione sui mezzi di locomozione: il più facile e veloce è naturalmente il teletrasporto, ma è accessibile solo dopo aver compiuto determinate azioni su ciascuna regione. In alternativa ai propri piedi Link può contare sui cavalli, questa volta catturabili da selvaggi e successivamente domabili: ognuno di essi ha statistiche e potenzialità differenti, ma tutti sono registrabili alle stalle (che in questo gioco fungono sostanzialmente da locande), e soprattutto sono accomunati dalla qualità delle animazioni e dell'interazione col mondo circostante. Per concludere il discorso, vi enunciamo un elemento che costituisce uno dei pochi difetti del gioco: il mondo di Hyrule è vasto e ricco di contenuti, ma spesso risulta quantitativamente carente di decorazioni, soprattutto per quanto concerne arbusti e vegetazione. Bisogna aggiungere che quasi ogni albero è scalabile e tagliabile, quindi la scelta è parzialmente giustificata, resta il fatto che il colpo d'occhio - in questo ambito - è inferiore alla maggior parte degli open world occidentali.

Punti di interesse, puzzle e dungeon

Quanto abbiamo detto finora glorifica la transizione tra un punto di interesse e l'altro, che è sempre stata la storica e costante carenza dei recenti open world. Ma, arrivati appunto a una zona focale, è d'obbligo sottolineare quanto sia ricca, anche in questo caso, l'esperienza di gioco: nei precedenti The Legend of Zelda l'avventura subiva un procedurale accentramento verso la sublimazione del game design di un'area, rappresentata da un dungeon. Qui invece, anche in questa circostanza, l'avventura si rivela sorprendentemente varia sia negli obbiettivi che nella soluzione degli stessi.

Ritorno alle origini
Ritorno alle origini

L'azione e gli apogei dell'architettura ludica non sono limitati a una zona circoscritta, bensì si dipanano nell'intera area interessata: senza entrare nei dettagli, ogni regione offre numerose chiavi di lettura, e differenti approcci alla "conquista" della sezione territoriale. In questa ambito, cercando di non anticipare nulla di concreto, ci limitiamo ad elencare l'elevata qualità dei puzzle inseriti. Enigmi che, come preventivato, non sono esclusivi di una singola ambientazione, bensì si estendono all'intera Hyrule: tutto questo è reso possibile dai pregi precedentemente enumerati, ovvero profondità del motore fisico e aleatorietà dell'esperienza. Il titolo è ricco di puzzle ambientali, e volendo citare un esempio arcinoto dalla demo dell'E3, nominiamo gli arbusti che, divelti dalla locazione originaria, riescono a costituire un ponte capace di farvi attraversare un fiume altrimenti invalicabile (a questo proposito va sottolineato l'indicatore della temperatura, una caratteristica talmente scontata che porta a chiedersi perché nessuno l'abbia introdotta prima). Nonostante tutta la mappa sia ricca di situazioni simili, e sebbene ogni puzzle abbia tante possibili soluzioni, è innegabile che la sublimazione degli stessi, anche in questo caso e fedelmente alle tradizioni, avvenga all'interno dei dungeon e dei mini-dungeon. Breath of the Wild propone enigmi interessanti e atipici, che sfruttano la profondità del motore fisico e dell'interazione con l'ambiente, sia nei sacrari già pubblicizzati, geniali e avulsi dal contesto geografico di Hyrule, sia nei dungeon, complessi e ramificati e sorprendenti, sui quali, per questioni di mero spoiler, non osiamo soffermarci oltre. Ci limitiamo a ribadire l'importanza dei poteri conferiti dallo Sheika Slate, il tablet trasportato da Link, che non solo è esaltato dai sacrari (e labirinti e dungeon), ma è sapientemente sfruttato, pur mai abusato, anche nell'overworld. Si tratta di talenti d'estrazione tecnologica che consentono, in maniera creativa e libera, di ghiacciare i liquidi, di trasportare metalli, di sganciare bombe al laser, sferiche o cubiche che siano, in base alle esigenze dettate dal suolo. Per concludere la trattazione delle componenti eminentemente ludiche, sottolineiamo ancora quanto il gioco sia vasto e difficile, e quindi lungo e impegnativo: anche puntando a completare la sola missione principale, difficilmente potrete cavarvela con meno di quarantacinque ore.

Grafica, musiche e doppiaggio

Non abbiamo volutamente parlato della storia per evitarvi inutili anticipazioni, sappiate solamente che le cinematiche sono finemente realizzate, e che la caratterizzazione dei personaggi secondari (più numerosi del solito) è altrettanto pregevole. In base alla sensibilità personale una singola diramazione della storia potrebbe apparire troppo adolescenziale - non ci riferiamo a qualcosa che riguarda la principessa Zelda, fosse questo il vostro timore - ma è comunque ben approcciata. Rimanendo su questo tema, anche in italiano, il doppiaggio è sorprendentemente valido: sarà perché circoscritto a determinati momenti (non solo alle cutscene, comunque), ma in definitiva risulta riuscito, e soprattutto non contrastante con una delle rare ed apprezzabili scelte estetiche della serie, ovvero i dialoghi testuali tuttora predominanti in The Legend of Zelda.

Ritorno alle origini

Cimentandoci in un argomento caro a molti, ovvero la veste grafica, sottolineiamo subito il secondo, innegabile difetto del gioco: i rallentamenti. Non si rivelano mai pesanti o insopportabili, ma pur leggeri sono comunque piuttosto frequenti: si manifestano principalmente in coincidenza con condizioni atmosferiche dinamiche (vento, pioggia forte, temporali) o in presenza di tanti eventi contemporanei (nemici, esplosioni, vari cavalli in corsa), ed è un qualcosa a cui Nintendo non ci aveva abituato. La cosa sorprendente è che affliggono Breath of the Wild solamente se inserito nel Dock, quindi a 900p, mentre in modalità portatile, a 720p, tutta l'avventura scorre fluida: vi consigliamo comunque di godervi l'opera sul televisore, se potete. Dal punto di vista stilistico è il The Legend of Zelda maggiormente riuscito dai tempi di The Wind Waker: l'ispirazione a Hayao Miyazaki a è ovvia, la realizzazione meno riuscita del modello preso a riferimento, ma comunque abbastanza valida da far svettare Breath of the Wild, come mero aspetto, su molti altri open world dal simile finanziamento. I cali qualitativi non riguardano tanto i personaggi, quanto alcuni dettagli dell'ambientazione non all'altezza della situazione: cascate e rocce in primis. La colonna sonora, per chiudere la recensione, è pregevole ma estremamente coraggiosa: questo gioco vanta dei pezzi straordinari che, però, vengono costantemente asserviti agli effetti sonori. L'accompagnamento musicale durante l'esplorazione è minimale, ma comunque dinamico e capace di avvalorare gli sviluppi degli eventi, soprattutto in prossimità dei nemici o di zone particolarmente pericolose.

Conclusioni

Multiplayer.it
9.7
Lettori (944)
9.4
Il tuo voto

Non c'è mai stata un'avventura così dinamica in un mondo talmente grande, e non c'è mai stato un mondo talmente grande così ricco di avventura. Breath of the Wild, esaminato nei sui singoli aspetti, raggiunge l'eccellenza assoluta nel sistema di controllo, nelle variabili ambientali e fisiche, nel game design e nella qualità dell'interazione, ma è il risultato della somma di queste componenti, nonché la loro declinazione interna, a renderlo un'esperienza unica. L'approccio esperienziale al mondo di gioco, la necessaria conoscenza del territorio e la ponderata progettazione del viaggio, postulano una complessità estranea agli open world dediti al raggiungimento dell'obbiettivo segnalato dai radar. Oltre ad essere un'opera capace di segnare un'intera decade, Breath of the Wild, attraverso l'accompagnamento sonoro e la fauna, esalta una virtù dai videogiochi spesso trascurata: la grazia.

PRO

  • Sistema di controllo e interazione ambientale eccellenti
  • Il motore fisico e le variabili meteorologiche rendono unico ogni percorso
  • Approccio conoscitivo alla morfologia territoriale
  • Fauna eccezionale
  • Direzione artistica meritoria, dato il contesto e il budget
  • Lungo e sorprendentemente impegnativo

CONTRO

  • Se giocato dal Dock, si verificano leggeri ma frequenti cali del frame rate
  • Poca vegetazione decorativa