"Ti chiamerà un tale di nome Hideo Kojima. Qualsiasi cosa dica, tu di' soltanto sì". Sono queste le parole con cui il regista Guillermo del Toro ha preparato Norman Reedus alla chiamata che l'avrebbe proiettato da star nel mondo dei videogiochi. "Qualsiasi cosa dica, tu di' soltanto sì". Nel documentario dedicato da Glen Milner a quello che è forse l'autore di videogiochi più riconoscibile e acclamato al mondo, a dire di sì al Maestro sono tutti quanti: dicono sì gli sviluppatori il cui lavoro viene criticato dal capo del loro studio; dicono sì al suo genio registi, attori, cantanti; tutto il mondo dice sì in una pellicola del tutto privo di quell'ingrediente che risulta indispensabile per stimolare il senso critico, per speziare ogni storia: il conflitto.
Hideo Kojima: Connecting Worlds è composto da 59 minuti del tutto privi di frizione e tensione. Certo, all'inizio Kojima accenna alle difficoltà da lui incontrate una volta conclusa (non serenamente, a quanto si è appreso) la sua esperienza in Konami, ma è scontata la vittoria del grande autore, dell'ispirato direttore d'orchestra che riesce a traghettare la neonata Kojima Productions verso l'insperato successo di Death Stranding, descritto come un'opera coraggiosa, visionaria, unica al mondo. Ecco, più che un documentario su Hideo Kojima, il girato di Milner sembra un lungo spot pubblicitario all'avventura on the road di Sam Porter Bridges, strategicamente rilasciato nel periodo in cui inizia a scaldarsi l'attesa per il suo seguito. E infatti la produzione è condivisa da Kojima Productions e PlayStation Studios: ricordiamo che Sony ha fatto da publisher per , ricoprirà lo stesso ruolo per il sequel e fornirà grande supporto nella creazione di Physint, un'esclusiva PS5 in stile Metal Gear Solid.
Sulla spiaggia
La riva del mare è una zona liminale, di passaggio, luogo chiave nell'immaginario di Death Stranding. Il documentario di Glen Milner si apre proprio qui, con Kojima che riflette sulla sua passione per creare storie fin da quando era bambino. L'autore giapponese è presentato come un instancabile creatore di mondi e un coraggioso sperimentatore di nuove soluzioni ludiche e narrative, e particolare attenzione è prestata alla sua avventura con Kojima Productions, iniziata nel 2016. "È un lavoro duro ogni volta, ma stavolta ero indipendente", racconta, ripensando al momento in cui ha abbandonato Konami e ha deciso di mettersi in proprio, descrivendo come "difficile" il processo creativo all'interno di grandi aziende fin troppo timide nel mettersi in gioco e in discussione.
Ad affiancare Kojima e a prestarsi a brevi interviste per il documentario sono personalità di spicco del mondo cinematografico (Nicolas Winding Refn, Norman Reedus, Guillermo del Toro), videoludico (Shinji Mikami, Yoji Shinkawa), musicale (Grimes, Chvrches), e così via. È una galleria di stelle che orbitano intorno a un unico Sole, senza mai spostare il focus dalla personalità centrale del documentario. Hideo Kojima è l'unica, grande star della pellicola, e le modalità in cui si raggiunge questa centralità risultano alla lunga il più pesante difetto di fondo dell'opera di Glen Milner.
Al centro di tutto
Uno degli sviluppatori di Kojima Productions si avvicina sorridente a Hideo Kojima, impegnato a valutare il movimento di uno dei mezzi di trasporto a quattro ruote di Death Stranding. Deferente e sussiegoso, ascolta senza battere ciglio tutti i rilievi critici del Maestro. Non ribatte: si limita a mantenere un impeccabile sorriso e ad assicurare che il team farà del suo meglio per seguire le indicazioni. Del Toro descrive Kojima come "autore" e lo paragona a un direttore d'orchestra: vedendo le riprese di Milner dei lavori all'interno di Kojima Productions, l'impressione che se ne ricava è quella di un ambiente in cui la parola del Maestro non è oggetto di discussione, ma soltanto di ascolto passivo e di immediata esecuzione.
Il processo creativo non è presentato in maniera dialettica, bensì come un flusso a senso unico dalla mente del geniale Kojima alle mani di coloro che vengono eletti per tradurre la sua visione in azione. Hideo Kojima ha in mano le tavole della legge del gaming: sta ai suoi adepti interpretare i loro dettami ed eseguire gli ordini del capo. In effetti, il creatore di Metal Gear Solid, Death Stranding e altre serie di culto ci tiene a precisarlo: sui suoi giochi viene impressa una sorta di marchio, la frase "A Hideo Kojima Game", a siglare che lui, l'Autore con la "a" maiuscola, è coinvolto in qualsiasi aspetto dell'opera, dall'inizio fino alla fine. Nessuna problematizzazione o discussione del ruolo dell'autore, presentato come un messia la cui parola deve solamente essere ascoltata da parte dei lavoratori suoi sottoposti, rappresentati in maniera quasi infantile, in balìa delle indicazioni del Maestro.
Celebrazione a tutto spiano
Lo stesso vale per le celebrità chiamate a commentare il lavoro di Hideo Kojima: non una parola critica, solo ammirazione sconfinata e lodi sperticate per l'autore di videogiochi che forse più di ogni altro è baciato da un intenso culto della personalità da parte del pubblico dei suoi fan. Manca qualsiasi tipo di contraddittorio, di contrasto, di storia che potrebbe, in qualche modo, far dubitare il pubblico sulla natura sovrannaturale dell'aura che Milner impone per 59 minuti intorno alla figura del protagonista del suo documentario.
Si badi: chi scrive è una grande fan dei videogiochi diretti da Hideo Kojima. Eppure, la visione di questo documentario rischia di scalfire anche la stima più solida, inducendo un senso di fastidio per il modo in cui la figura del grande autore viene presentata. È tutto a senso unico, piatto, un giro di giostra tra un'inquadratura delle auto che sfrecciano veloci per la metropoli di Tokyo, la vista dagli studi di Kojima Productions, e l'ennesima intervista piena di lodi sperticate da parte della celebrità di turno. Se non altro, il documentario funge da spunto perfetto per analizzare questo genere di narrativa e discuterne rischi e criticità.
Conclusioni
Multiplayer.it
5.0
Hideo Kojima: Connecting Worlds è disponibile sulle piattaforme di streaming Disney+ e Hulu, ma al momento non può ancora essere visionato in Italia. Più uno spot pubblicitario per il grande director e per Death Stranding (in preparazione all'uscita del sequel) che altro, è una visione a senso unico, mai rivelatoria o sorprendente, pervasa da una fastidiosa atmosfera di venerazione acritica che rende Hideo Kojima più respingente che affascinante. E, vista la grandezza delle opere da lui create - anche grazie al contributo di artisti e sviluppatori di assoluto talento, qui relegati al ruolo di trite comparse - è un vero peccato.
PRO
- Fornisce numerosi spunti critici sul modo in cui presentiamo e pensiamo alla figura dell'autore
CONTRO
- Regia soporifera
- Contributi spesso di scarso spessore da parte delle celebrità intervistate
- Più uno spot pubblicitario che un documentario
- La fantomatica figura dell'autore non viene mai problematizzata, riducendo a irrilevanza qualsiasi contributo che non sia quello del "direttore d'orchestra"
- I fan non scoprono nulla di nuovo su Hideo Kojima