I videogiochi occupano ormai un ruolo importante nella vita di milioni di esseri umani, indipendentemente dalla loro età o estrazione sociale. Sono infatti decisamente lontani i tempi in cui l'intrattenimento elettronico era un fenomeno di nicchia e i giocatori venivano visti quasi come creature a sei zampe e tre teste dal resto della popolazione non giocante. Il videogame è stato sdoganato da un bel pezzo, insomma, ed è ormai entrato a far parte della nostra cultura e della nostra vita quotidiana anche attraverso la televisione, il cinema e la letteratura, di cui sono stati spesso protagonisti. Ci sono giochi parodiati o immaginati di sana pianta per supportare la trama di un film, un libro o uno show televisivo, oppure nati semplicemente per fare uno scherzo ai fan di qualche serie famosa, vi proponiamo dieci dei titoli inesistenti a loro modo più famosi della storia.
Tempesta d'ossa, Killswitch e Leisure Suit Larry 4: 10 giochi famosi inventati ma mai esistiti
Il floppy perduto del tenero Larry
La serie di Leisure Suit Larry è certamente una delle più atipiche nel panorama delle avventure grafiche. Scritta da Al Lowe e pubblicata da Sierra On-Line a partire dagli anni ottanta, vedeva protagonista il simpatico e goffo Larry Laffer, un uomo sulla quarantina basso e privo di fascino, impegnato a cercare di sedurre donne avvenenti, generalmente con scarso successo. Uno dei giochi di maggior successo di questa saga è Leisure Suit Larry 4: The Missing Floppies, come ormai viene identificato il quarto capitolo regolare della storia. Ma c'è un piccolo particolare: Leisure Suit Larry 4 non esiste.
Il videogioco, infatti, che doveva essere legato all'online come parte del progetto The Sierra Network, non è mai stato completato (e forse il suo sviluppo non è mai nemmeno davvero iniziato), e di conseguenza non è mai stato distribuito. Eppure questo fantomatico quarto capitolo fa da molti anni parlare di sé, grazie soprattutto a una serie di leggende metropolitane alimentate ad arte anche dagli stessi programmatori della serie. Alcune di queste raccontavano di un videogioco completato ma le cui copie originali su floppy disk fossero andate perdute a causa di una serie di eventi sfortunati, come improbabili furti notturni o l'eccessiva aggressività dei cani di Al Lowe, che avrebbero distrutto i supporti. In realtà il progetto venne abbandonato a causa delle limitazioni tecniche dell'epoca, che impedirono al team di sviluppo di realizzare il videogioco così come lo avevano immaginato. Inoltre lo stesso leader del gruppo, Lowe, riteneva conclusa la storia di Larry con il terzo episodio, per cui non aveva idea di come far continuare le sue vicende. Così, secondo i racconti che circolano sul web, un giorno il game designer e musicista ebbe la brillante idea di saltare direttamente al quinto capitolo, e di sfruttare le sopra citate voci per far ripartire la saga costruendoci attorno un mito e una trama ad hoc.
In Larry 5 la sparizione dei floppy disk del quarto gioco diventarono un elemento chiave della storia, consentendo agli autori di spiegarne l'evoluzione. Passando a un altro titolo molto famoso nonostante non sia mai esistito, cambiamo anche genere e tematiche. Di Killswitch ne abbiamo parlato in un altro speciale, quello dedicato ai Miti e alle leggende urbane horror dei videogiochi ma, vista la sua natura, non può certo mancare nemmeno in questo articolo. Killswitch sarebbe un fantomatico arcade degli anni '80 dalla fama alquanto sinistra. Secondo la leggenda, perché di questo si tratta, il cabinato venne prodotto in pochi esemplari in una presunta azienda sovietica chiamata Karvina Corporation. Il gioco era un platform atipico in bianco e nero con elementi da survival horror nel quale l'utente poteva scegliere di impersonare uno dei due protagonisti, vale a dire una giovane lavoratrice di nome Porto e un'entità demoniaca chiamata Ghast. In realtà impersonare quest'ultima era un'impresa, in quanto il personaggio era invisibile e la sua figura digitale non appariva sullo schermo del coin-op. Diventava così difficile gestirlo nei vari quadri, ambientati in una miniera di carbone dell'est Europa colpita da un evento inspiegabile e dunque invasa da zombi, esseri malvagi e quant'altro di malefico si possa immaginare. Secondo il racconto il videogioco non poteva essere copiato e si cancellava in modo definitivo dopo averlo concluso una volta. Inoltre si diceva che potesse causare dipendenza e che in alcuni casi avesse portato i giocatori alla follia, come nel caso di un giapponese di nome Yamamoto Ryuichi. Ah, anche i filmati in game che circolano in Rete sono fasulli.
Cinema e videogiochi farlocchi
Anche il cinema si è spesso interessato all'intrattenimento elettronico, "creando" dei videogame immaginari che poi sono diventati famosi quasi quanto quelli reali. È il caso del simulatore di guerra atomica della pellicola "Wargames - Giochi di guerra", diretto dal regista John Badham nel 1983. Campione d'incassi e film-manifesto per una futura generazione di geek informatici, raccontava di un abile appassionato di informatica che per una serie di vicissitudini si ritrovava inconsapevolmente a sfidare lo WOPR (War Operation Plan Response), un super computer del Comando di Difesa Aerospaziale del Nord-America studiato per rispondere ad un attacco missilistico, pensando invece di cimentarsi in una normale partita al videogame Guerra Termonucleare Globale.
Inutile aggiungere di come, proprio in virtù del successo della pellicola e dei suoi protagonisti, questo gioco elettronico sia ancora oggi conosciuto da milioni di appassionati. Anzi, a volerla dire tutta, chi scrive ha un amico disposto a giurare di averne visto il cabinato da qualche parte in Italia durante una sua vacanza giovanile. Ma questa è un'altra storia. Ad ogni modo, il cinema come detto prima ha mostrato spesso un certo interesse per il tema, basti pensare al survival horror "Stay Alive" che nell'omonimo film faceva strage di chi lo giocava, o il più famoso cabinato di "Arcade - Impatto Virtuale" di Albert Pyun (USA, 1993), dove una intelligenza artificiale senziente e poco amichevole sfruttava un videogioco e le meraviglie della realtà virtuale per imprigionare nel cyberspazio i giocatori e controllarli. Le storie sui videogame capaci di manipolare le menti dei giocatori non sono certo una novità. Il più famoso in assoluto resta in tal senso Polybius, altro "titolo" già trattato ma per ragioni differenti da quelle legate a questo articolo. Nel 1981, in Oregon, alcune delle sale giochi della periferia di Portland apparvero degli strani cabinati.
Nonostante non fosse nulla di particolarmente eccezionale in termini di giocabilità o grafica, il coin-op divenne in breve tempo il più popolare fra i ragazzi della zona, e molti di loro erano pronti a fare lunghe file per giocarci e perfino a botte. I giovani pare però che fossero così "presi" dal prodotto a causa di una serie di messaggi subliminali e ipnotici legati a una sorta di esperimento compiuto da una misteriosa organizzazione governativa che mirava a controllare le menti dei soggetti coinvolti. Dopo alcune partite, infatti, i giocatori manifestavano una vera e propria dipendenza verso il gioco, ed erano spesso soggetti a episodi di amnesia, insonnia e disturbi da terrore nel sonno. Al giorno d'oggi sappiamo che si trattava in realtà di una sorta di scherzo nato e montato ad arte negli anni scorsi sulla rete, probabilmente sul sito Coinop.org, ma per in tanti hanno creduto a questa storia, al punto che di Polybius entrato ormai definitivamente nell'immaginario collettivo, al punto da essere citato in diverse opere di intrattenimento. Il cabinato di Polybius si vede per esempio in un episodio della diciottesima stagione dei Simpson, "Homer, ti prego, non li martellare", quando Bart si trova all'interno di una vecchia sala giochi. A proposito del pestifero ma simpaticissimo protagonista del cartone animato di Matt Groening, nella puntata numero undici della settima stagione intitolata "Marge non essere orgogliosa", si trova nei guai proprio a causa della sua ossessione per un videogame, questa volta per console. Bombardato da decine di spot pubblicitari che alla vigilia di Natale inondano i canali televisivi, il povero Bart rimane letteralmente folgorato dalla cartuccia di "Tempesta d'ossa", un picchiaduro ultra violento che proprio per questo Marge non vuole comprargli. Dalle immagini che vengono mostrare in vari punti dell'episodio è chiaro che Tempesta d'ossa fosse una parodia del celebre Mortal Kombat con una rielaborazione di Goro & Kintaro in bella mostra.
Il picchiaduro definitivo
A proposito di picchiaduro, qualche mese fa abbiamo assistito a un curioso scherzo che ha visto coinvolti il game director di Tekken Katsuhiro Harada, e lo sviluppatore Yuichi Tanzawa. Sfruttando i rispettivi account Twitter, infatti, i due "svelarono" ai loro fan di essere al lavoro sul picchiaduro definitivo, sul beat'em up uno contro uno che avrebbe segnato la storia del genere. Il titolo di questa "opera"? Tekken X Lord of Vermilion, un gioco che avrebbe combinato la saga di Tekken con quella del gioco arcade di carte collezionabili fantasy pubblicato da Square Enix, proponendo tra l'altro un roster di ben 765 lottatori, tutti giocabili. Non contenti di scrivere messaggi entusiastici e finti aggiornamenti sullo stato di evoluzione del progetto, il dinamico duo creò addirittura un finto sito internet sul videogioco, in lingua giapponese, riuscendo così a ingannare per un attimo i più ingenui fra gli appassionati (la maggior parte dei loro follower ovviamente non credette praticamente mai o quasi alla notizia, ma si limitò a stare allo scherzo).
Anche l'altra regina dei picchiaduro, Capcom, se ne venne fuori qualche tempo fa con un "prodotto" farlocco, anche se in questo caso di tutt'altro genere. L'azienda creatrice di Resident Evil fece infatti un Pesce d'aprile ai suoi fan, pubblicizzando con tanto di video un falso gioco che re-immaginava il mondo di Ace Attorney in chiave canina. Il filmato finto promozionale di Dog Ace Attorney era poi accompagnato da una serie di informazioni in lingua giapponese, compresa quella che il titolo "non verrà lanciato oggi per Wantendo 1DOGS". Nel creare miti o rendere temporaneamente famosi dei giochi inventati, le riviste di videogiochi non sono comunque mai state da meno rispetto alle software house, ideando perfino dei finti scoop pur di dare credibilità a quanto immaginato. È quanto accadde per esempio nel 1992 sulla rivista britannica EGM, che riportò la (falsa) notizia secondo la quale in Street Fighter II era possibile affrontare Sheng Long, o come abbiamo fatto noi di Multiplayer.it col nostro "provato" di The Last Guardian. Ma restando sul tema dei titoli inventati di sana pianta e divenuti a loro modo famosi quasi come quelli reali, come non citare Valkyrie Wilde: Full Frontal Assault? In un'epoca videoludica nella quale orde di ragazzini sognavano di poter mettere le mani su un codice o trucco per spogliare Lara Croft in Tomb Raider, l'edizione internazionale di PSM se ne venne fuori con una sorta di rip-off semi-erotico proprio del titolo pubblicato all'epoca da Eidos. In realtà la redazione del giornale aveva ritoccato delle immagini di Lara e costruito attorno a degli artwork creati per l'occasione un vero e proprio background. Ma di fatto aveva inventato tutto per puro divertimento.
Letteratura e ancora cinema
Per molti dei nostri lettori il nome Daniel B. Weiss potrebbe non significare nulla. In realtà questo giovane scrittore statunitense non solo è fra gli sceneggiatori della serie televisiva Il Trono di Spade, ma è anche l'autore di un romanzo molto apprezzato al di là dell'oceano. Stiamo parlando di Lucky Wander Boy, un racconto che fa leva sulla nostalgia per un'epoca ormai andata, quella dei videogiochi anni '70 e '80, per raccontare la storia di Adam Pennyman, il protagonista, e delle sue fissazioni, del suo rapporto con le donne e con la vita, oltre che della sua mezza ossessione per un videogioco che cerca spasmodicamente di recuperare, Lucky Wander Boy appunto.
Il videogame (fittizio) in questione è simile a prodotti quali Donkey Kong e Popeye, salvo poi cambiare radicalmente e trasformarsi in qualcosa di più misterioso: nel secondo mondo, infatti, la grafica migliora di molto e il personaggio viene proiettato in un vasto deserto dove non ci sono nemici e lui è chiamato solo a raccogliere oggetti lungo il percorso. Dopo questo quadro ci sarebbe un terzo mondo che nessuno ha però mai raggiunto (Adam ci era andato vicino quando era un ragazzino, ma nulla più) e che nasconderebbe un segreto tutto da scoprire. Sempre in tema di giochi fittizi, il più famoso di tutti i giochi immaginari, almeno sul grande schermo, resta probabilmente The Last Starfighter. Nel 1984 arrivò nei cinema di tutto il mondo "Giochi stellari" (titolo originale: The Last Starfighter) di Nick Castle, tra i primissimi film assieme a "Tron" di Steven Lisberger a utilizzare per gli effetti speciali la grafica computerizzata. La pellicola narrava di un talentuoso videogiocatore di nome Alex Rogan, abilissimo in particolare nel coin-op Starfighter, uno sparatutto con astronavi in cui l'obiettivo era quello di distruggere ogni nave stellare aliena.
Quest'ultimo era in realtà un simulatore utilizzato per selezionare i migliori piloti di Gunstar, i caccia da guerra di una unione planetaria chiamata Lega Stellare. Alex veniva quindi prelevato contro la propria volontà, condotto nello spazio e arruolato nell'esercito per la difesa delle frontiere della galassia contro Xur e l'armata di Ko-dan. Migliaia di ragazzini in tutto il mondo guardavano il lungometraggio e una volta usciti dai cinema sognavano di giocare a The Last Starfighter, venire reclutati e salvare la galassia come Alex. E Atari era disposta, in parte ovviamente, ad accontentarli. Una "vera" edizione di questo cabinato derivato da quello del videogioco Star Wars del 1983, doveva infatti essere realizzato dalla società di software statunitense in contemporanea al rilascio della pellicola, ma a causa della crisi dei videogiochi di quel periodo e degli alti costi di produzione, lo sviluppo del coin-op venne bloccato quando questi era ormai giunto al 75%. Contemporaneamente allo sviluppo dell'arcade, l'azienda portò avanti anche le versioni del gioco per le sue console Atari 2600/5200 e per i suoi computer ad 8 bit Atari 400/800, ma anche in questo caso il titolo subì ritardi in fase di sviluppo e alcune cancellazioni (versioni per Atari 400/800/5200). Il prodotto, tra l'altro, non aveva nulla della versione arcade che si vedeva nel film, perché la realizzazione di The Last Starfighter era incentrata su un gioco già in corso di realizzazione denominato Orbiter, uno sparatutto a sua volta nato da una precedente produzione, Star Raiders. Alla fine uscì solo la versione per Atari 2600 che però fu in vendita solo nel 1984 con il nome di Solaris. Ad ogni modo nel 2007 la società Rouge Synapse ha pubblicato una versione freeware per sistemi Win32 del gioco, cercando di riprodurre la grafica e la modalità di gioco dell'arcade del film. Ma di fatto resta un prodotto a sé stante.