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Fuoco e cenere

Abbiamo ingannato l'attesa di Dark Souls III tastando una build pressoché finale

PROVATO di Marco Perri   —   01/03/2016

Tra arrivo e navetta, di Amburgo non si è visto molto; ci fideremo quindi delle parole degli autoctoni. Ne abbiamo interpellati a più riprese e chiunque non ha potuto fare a meno di indicare la propria città come la più bella della Germania. Ci crediamo, veramente; anche alla leggenda che ad Amburgo la neve scenda con il sole perché, be', è tutto vero.

Fuoco e cenere

Poi, mentre all'esterno nevica e l'attesa per mettere le mani sulla versione ormai finale del codice di Dark Souls III diventa palpabile, fuori dall'albergo fa la sua comparsa un giovane e massiccio giornalista che, in mezzo a nevischio e venti polari, con immensa tranquillità dà sfoggio di bermuda e t-shirt. Sarebbe il tripudio dei luoghi comuni se non fosse che la sua maglia con inciso un accattivante "Praise the Sun" ci strappa un sorriso. Analizzando quindi meglio le file dei colleghi d'oltralpe, episodi del genere si moltiplicano: chi una felpa, chi un cappello, chi una borsa. Nel lustro che abbiamo alle spalle, From Software è forse l'unica mente nipponica ad aver partorito non solo qualità ma anche e soprattutto un'identità di brand precisa, autorevole, appassionante. Davanti a noi vi era un gruppo eterogeneo per nazionalità, radici, storia, cultura, approccio alla vita e alla socialità; eppure, guardandoli negli occhi non era difficile veder riflesse le stesse, identiche tonnellate di ore che tra armi, boss e ambientazioni ci hanno accompagnato negli ultimi sei anni, episodio dopo episodio. Capiamo la critica, il disappunto, l'impossibilità di apprezzarla di alcuni, eppure la saga dei Souls unisce e lega i suoi fan nel profondo e anche solo per questo motivo meriterebbe stima infinita. Ne meritano in egual misura i team che l'hanno curata e il suo creatore, che avremmo incontrato a breve. Dove? In una chiesa.

Entrambe le mani su una versione quasi finale di Dark Souls III: stavolta, il viaggio, è ancora più cupo

Tutti in chiesa

Abbiamo impiegato un po' a razionalizzare il fatto che Bandai Namco avesse ambientato l'evento in una chiesa evangelico-luterana al centro di Amburgo. Eravamo tutti lì, intenti a pensare a quale rito sconsacrante avesse reso quel posto libera preda di tutto quel corredo non proprio clericale che circonda il brand dei Souls. Eppure, ci sbagliavamo: oltre che splendida e incredibilmente suggestiva, quella St. John's Church è una chiesa assolutamente consacrata.

Fuoco e cenere
Fuoco e cenere

Vien da sé l'iniziale imbarazzo nel vedere come le panche da messa si fossero tramutate in posizioni da gioco e la sala fosse gremita di monitor e console. Per non parlare della birra a fiumi servita all'interno da camerieri di un'affabilità da manuale. Siamo in Germania, è vero, luogo dove certe tradizioni hanno un differente legame con le consuetudini sociali. In parole povere: si fanno meno problemi. È pomeriggio e la luce inizia ad affievolirsi, si comincia con la presentazione. Atsuo Yoshimura lo conoscete? È il producer internazionale di Bandai Namco: giovane, affettuoso, molto disponibile ma soprattutto è un giapponese che sa l'inglese. Strano, in effetti: l'industry nipponica non risplende di poliglotti e Miyazaki, al suo ingresso sul palco, ne è dimostrazione palese. Una bella coppia, senza dubbio, con il buon Hidetaka a dettare tempi e danze snocciolando informazioni su quanto aspettarsi dalla imminente iterazione del franchise. L'approccio di un fan dei Souls a ogni nuovo episodio è intimo, quasi sacro, pertanto non invaderemo la vostra dimensione appassionata dandovi chissà quale spoiler criminale. Leggete tranquilli: non vi diremo i nomi dei luoghi (anche perché la build mostrata era inglese, pertanto meglio non avventurarsi in traduzioni avventate), né delle armi, né delle classi. Un paio di novità, però, vogliamo condividerle: la prima è il sistema delle Abilità che From ha implementato, tramite il quale un ulteriore filtro di gameplay ci permetterà di scatenare nuove mosse in base all'arma impugnata. Lo ripetiamo a memoria, come a scuola, in quanto in quelle tre ore di gioco non siamo riusciti a sperimentarne la bontà. La seconda, invece, eccome se la abbiamo assaporata. Non c'è a ora un nome ufficiale, la chiameremo semplicemente Oscurità. Che poi è la colonna portante di trailer e storia dato in pasto a media e fan in questi mesi.

Nero dentro

Avete presente la gioia nell'uccidere un boss in un Souls? No? Peccato. Se sì, saprete di come, con il tempo, sia stata un pochino annacquata dalla presenza di nemici meno difficili del previsto. Però, diamine, quando si supera questo o quell'ostacolo di fine area la sensazione che attraversa la pelle è sempre bella. Miyazaki interviene a gamba tesa: proprio quando, nella sezione iniziale, dopo aver percorso qualche decine di metri, ci troviamo di fronte al primo boss, è con piacere che ne notiamo un'evoluzione inaspettata quanto apprezzata.

Fuoco e cenere
Fuoco e cenere

Non vi diremo né in cosa né come: sappiate solo che lo stoico cavaliere, a un certo punto, mostra con arroganza il suo lato oscuro, ecco, e le cose si complicano. Potrebbe sembrare un pattern particolare quanto unico e invece no: la caratteristica si ripete con un nemico minore, poco dopo. E ancora, un poco più avanti, a rendere difficile e spaventoso un avversario che altrimenti ci saremmo mangiati a colazione. Ne capite il senso e la portata?Con uno stratagemma banale ma intelligente, Miyazaki colora di un nuovo significato non solo gli ambienti, notoriamente ostili al giocatore, ma anche quegli incontri minori che stoppano la fluidità d'avanzamento e mettono un muro umano, organico, a rendere le cose interessanti. Per ora abbiamo assistito alla "trasformazione" solo di mostri tremendamente abbordabili e nonostante questo l'oscurità li ha resi altrettanto ostici; la curiosità frizza al solo pensiero di cosa questa idea farà diventare nemici e boss avanzati. Il creatore è tornato, e si vede. Lo si nota da tanti fattori: non c'è più un limite al respawn dei nemici, ad esempio. Pensavate di farvi ancora una volta dodici vasche e bonificare l'area? L'eredità di Shibuya e Tanimura inizia e finisce in Dark Souls II. Altro elemento fondamentale: il level design. In quelle tre sezioni esplorate è la verticalità a farla da padrona, garantendo tutto quel substrato di scorciatoie, passaggi e segreti figli del primo, inimitabile Dark Souls. Poi, però, arriva la strizzata che non ti aspetti: il ritorno dell'hub centrale, apparente crocevia di strade, personaggi non giocanti e troni in lontananza a rimandare a quel fulcro di Demon's Souls dal quale partire per l'avventura. Déjà vu? Non proprio.

Cenere d'intorno

I troni dei Re di Cenere ci sono, è vero, ma non servono a nulla se non a riempire l'ambientazione: il sistema di teletrasporto è rimasto invariato da Dark Souls II, con l'unica eccezione che stavolta per attivare determinati falò servirà avere una spada da conficcare. Poco male, sarà solo un altro elemento per il quale divertirsi a girare per le mappe. Andiamo avanti, più o meno tranquilli, più o meno con il fegato in fiamme per questa o quella schermata di Game Over. Dai, non ve lo stiamo più nemmeno a ripetere, tanto meno in quella che, per quanto di una build pressoché finale, è una sessione pronta a essere buttata via di lì a poco: Dark Souls III non fa eccezione e a poco serve avere esperienza di gameplay e sapere come ragionano i designers.

Fuoco e cenere
Fuoco e cenere

Morirete tanto e nonostante l'enfasi di movimenti e combat system riprenda molto da Bloodborne, il DNA dei Souls è stato preservato intatto, libero di scatenare il potenziale in quelli che a prima vista appaiono come ambienti tridimensionali piuttosto ricchi. Avanziamo ancora, un drago, poi un altro boss, poi una nuova area. Colori caldi, dal giallo al verde, atmosfere sognanti ed eteree, meno pulite e definite del predecessore. E poi l'enfasi riposta su quanto si vedere in lontananza ad esaltare uno sfondo pieno di aspettative. Oh be', Dark Souls era anche questo e Miyazaki lo sa benissimo: tutto, nella geografia, deve tornare con pignola precisione. Non a caso la sezione successiva è forzatamente scollegata da un abisso, così da liberarsi dalle catene geografiche e potersi esprimere con i propri colori, segmenti di design e particolarità d'ambientazione. A Miyazaki piace Berserk, lo sapevamo, ma qui è così palese da far sorridere: sembra di stare in mezzo al panorama d'inquisizione tanto caro a Kentaro Miura e al suo manga prediletto, con tanto di richiami d'ambientazione, di personaggi, di design dei fondali. Bello, ispirato, crudo: la creatura è tornata nelle mani di chi l'ha resa grande, anche prendendo in prestito idee e contorni altrui. È tutto perfetto? No, ad esempio il sistema di aggancio continua a non convincere ma basta così, non ha senso vederne più di tanto. Lasciamo sul tavolo il joypad, una sensazione strana che avremmo poi razionalizzato il giorno successivo: la voglia di averne ancora. Ce ne sarebbe anche un'altra ma è più intima: la consapevolezza di essere circondati da tanti appassionati del brand non è una sensazione che capita tutti i giorni, pertanto vien da sé il promuovere con plauso la bella cornice. Il press tour di Amburgo non finiva qui e, dopo una breve pausa, abbiamo trascorso una mezz'oretta con Hidetaka Miyazaki e scoperto tanti lati del suo carattere che ignoravamo e che - fidatevi - vi piaceranno perché estremamente confidenziali e assolutamente non convenzionali. Alzi la mano chi tornerà su queste pagine tra un paio di giorni per il nostro approfondimento.

CERTEZZE

  • Verticale, con tanto da esplorare
  • Il fattore Oscurità è stimolante
  • Comparto artistico sempre di riferimento

DUBBI

  • Sistema di lock-on ancora impreciso
  • Stabilità del frame rate