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La prova di Detroit: Become Human

Nuova prova per l'atteso titolo di David Cage e Quantic Dream

PROVATO di Aligi Comandini   —   23/04/2018

Ormai saldamente in testa in questa generazione di console, Sony è riuscita a costruire una rete di sviluppatori first party di solidità invidiabile, e l'ha attivata alla perfezione cadenzando le esclusive in modo da lasciare un'impronta marcata in ogni quarto del 2018. God of War, ad esempio, è stato un successo di critica straordinario ed è arrivato nei negozi in compagnia di uno Yakuza 6 non poco atteso dalla nicchia occidentale dei fan della serie SEGA; dal canto suo, l'atteso Spider-Man dovrebbe senza troppi problemi conquistare sia gli amanti dei supereroi che del buon gioco nel mese di settembre e chiudere l'annata col botto, mentre l'E3 potrebbe facilmente riservare altri annunci a sorpresa. Titoli del genere sono un punto di forza impressionante su cui contare, ma al contempo rischiano di oscurare un'altra esclusiva estremamente importante di Sony: quel Detroit che dovrebbe rappresentare l'opera magna di David Cage e dei suoi Quantic Dream. Il motivo per cui ci sono meno certezze su un prodotto simile è presto detto: si tratta di un videogame incentrato quasi esclusivamente sulla narrativa - come le altre opere della casa - e la sua validità è quindi direttamente proporzionale all'abilità dei suoi autori. Cage non è il solo a decidere il destino dei personaggi questa volta, ma le sue opere sono sempre state altalenanti, a tratti confusionarie e non prive di incongruenze, quindi è difficile capire se con Detroit avremo un gioco superiore ad Heavy Rain o un progetto meno riuscito dei suoi altri (ben più caotici) lavori. Per chiarire almeno in parte i nostri dubbi, Sony Italia ha pensato bene di mettere a disposizione della stampa le prime tre ore del gioco durante un bell'evento organizzato a Milano. Ovviamente siamo usciti dalla prova con più domande che risposte, ma almeno ora abbiamo un'idea più precisa di cosa ci aspetta, e non vediamo l'ora di svelarlo anche a voi.

2038. Distopia o semplice futuro?

A rappresentare Quantic Dream all'evento c'era anche Adam Williams, ovvero il lead writer del titolo. E sì, avete capito bene: lead writer, a dimostrazione del fatto che la trama di Detroit non è tutta farina del "Davidone nazionale". Proprio il buon Adam ha peraltro confermato alcune delle nostre prime impressioni, svelandoci come l'intenzione del team fosse sì creare un titolo strettamente legato alla fantascienza, ma non necessariamente vicino ad opere di mostri sacri come Asimov o Dick, e invero più ispirato dal mondo reale. D'altro canto molte delle tecnologie usate in Detroit non sono più sogni irrealizzabili nell'era in cui viviamo, e l'autore ha sottolineato più volte come il background del gioco non sia altro che "la nostra quotidianità, ma con gli androidi". A volerla dire tutta, siamo lieti di una filosofia di fondo del genere: lo scontro con la fantascienza classica non era certo facile, e mantenere uno stretto contatto con la realtà aiuta non solo a trasmettere più facilmente le emozioni ai giocatori, ma anche a dire la propria slegati da tematiche viste e straviste in opere dello stesso tipo.

La prova di Detroit: Become Human

Considerando che sono gli androidi l'elemento portante della narrativa, è del tutto normale che attorno a loro ruotino le vicende della campagna, ma non è il caso di aspettarsi un solo punto di vista generalizzato da Detroit. La storia principale permette infatti di giocare con tre diversi androidi: Kara, Markus e Connor, tutti "devianti" dotati di una propria individualità, e pertanto estremamente diversi tra loro. Markus, ad esempio, parte come androide modello al servizio di un artista che incarna quel poco di buono che c'è nella razza umana, ma viene rapidamente travolto da un turbine di eventi drammatici che lo porterà a guidare una vera e propria resistenza; Connor, invece, è un cacciatore di androidi freddo e distaccato, ma dotato di capacità superiori ai sintetici normali. L'avventura di Kara è invece più "umana" e personale: parte come domestica in una casa dove un padre alcoolizzato e allo sfascio è ormai divenuto un pericolo per se stesso e per la sua figlioletta, e si ritrova improvvisamente senza un ruolo, senza un soldo, e senza una meta. Ora, al di fuori di queste premesse (scoperte in gran parte nei primi minuti) non vogliamo ovviamente svelarvi altro, ma una cosa ci teniamo a precisarvela: la narrativa di questo gioco non è lineare, e sembra voler esser ben più complessa di quella osservata nelle opere precedenti dei Quantic Dream.

Rami d'oro, rami di ferro

La parola d'ordine, in questo caso, è "flowchart". Ogni capitolo del gioco infatti pone il giocatore davanti a numerose scelte, che modificano sensibilmente l'andamento della trama. Una volta concluso il capitolo è possibile vedere quali bivi narrativi sono stati ignorati in un comodo schema, per facilitare anche approcci diversi in prove successive e indirizzare l'utente verso dettagli mancati. Come prevedibile, nei capitoli iniziali non vi sono moltissime soluzioni, eppure abbiamo notato enormi cambiamenti tra una prova e l'altra, con certi eventi assolutamente inaspettati (e le cui conseguenze risultano seriamente imprevedibili). In generale crediamo che ci sia un filone narrativo primario, poiché è evidente che i Quantum vogliano ricongiungere le storie dei tre androidi durante la campagna; è però davvero difficile capire come sceglieranno di districare la matassa, e fino a che punto le cose si complicheranno avanzando.

La prova di Detroit: Become Human

Le tre storie non sono poi diverse solo per le caratteristiche dei loro protagonisti: sono narrate in modi differenti. Le fasi di Connor, per chiarire, sono simili a un noir, e gli richiedono di interagire con agenti di polizia e di investigare su scene del crimine. Markus invece può osservare le conseguenze della diffusione degli androidi sul "mondo reale", dove per strada non mancano le proteste di persone che hanno perso il lavoro a causa della diffusione dei sintetici ad ogni livello. Tra le tre, dobbiamo dirlo, proprio la parte di Kara ci è parsa la più debole: i Quantic Dream hanno strutturato i suoi capitoli per colpire alla pancia, ma ci sono parecchi stereotipi in azione, e la figura del "padre drogato" con cui la protagonista ha a che fare a inizio gioco ci ha trasmesso davvero poco. Detto ciò, il resto del giocato ci ha convinto, e il ritmo dell'avventura si è rivelato in generale più alto rispetto a quanto visto in altri giochi di Cage. Certo, non aspettatevi grosse novità a livello di gameplay: si parla di azioni guidate e interazioni predefinite all'interno della mappa, con una manciata di soluzioni extra e scene più complesse da analizzare. Il fulcro è quindi, e lo ribadiamo ancora una volta, la sola storia, ed è bello constatare che ci sia parecchio potenziale in questo campo. Le vicende dei tre protagonisti ci hanno appassionato quanto basta da farci venir voglia di continuare, ora non resta che vedere se la trama reggerà fino alla fine.

Detroit: Become Human è chiaramente un progetto molto ambizioso, e dal punto di vista tecnologico è indubbiamente il titolo dei Quantum Dream che colpisce di più. Le perplessità, quindi, risiedono esclusivamente nella qualità della narrativa, che pur avvalendosi di più autori non è certo di facile gestione, considerati i protagonisti multipli e il numero notevole di bivi presenti nei vari capitoli. Le basi per una grande storia ci sono tutte, starà agli sviluppatori riuscire a sbrogliare la matassa nel modo migliore sul finale.

CERTEZZE

  • Tre linee narrative molto diverse fra loro, tutte molto interessanti
  • Animazioni facciali impressionanti, e comparto tecnico in generale lodevolissimo
  • Ambientazione affascinante

DUBBI

  • Riusciranno i Quantic Dream a chiudere degnamente una storia così complessa?