David Cage è una di quelle personalità che ci ricorda come il nostro settore sia incredibilmente multimediale, permeabile a suggestioni e modifiche che arrivano da tanti ambiti diversi: il fumetto, il cinema, il mondo musicale, la letteratura, solo per citarne alcuni senza neppure pretendere di esaurire tutte le possibilità. Il recente Detroit: Become Human è il punto di arrivo della carriera di Cage, dove le idee già sperimentate nelle produzioni precedenti trovano un senso, un potenziamento e un sintesi eccezionale, senza contare che le tematiche affrontate raggiungono un grado di maturità davvero significativo. Al tempo stesso non sembra essere questo, probabilmente, il punto più alto della sua carriera: per quello ci sarà ancora tempo. Resta comunque importante interpretare Detroit: Become Human non soltanto come prodotto a sé stante, ma nell'ottica dell'intera produzione di Cage: come si è arrivati agli androidi che provano emozioni e che suscitano importanti domande sulla bioetica?
Verso un nuovo genere
Probabilmente non se lo ricorderà nessuno, ma il primo titolo di Cage fu pubblicato nel '99, quando l'autore aveva appena trent'anni, e si chiamava Omikron: The Nomad Soul (anche noto semplicemente come The Nomad Soul). Notiamo fin da subito un concetto importante: che sia metaforico o letterale, il concetto di "anima" torna insistente in tutte le opere di Cage, punto fisso della sua riflessione sull'essere umano ma anche sulle possibilità di espressione di un determinato medium. Al di là di un nome evocativo, comunque, The Nomad Soul non era soltanto breve, ma anche un po' eccentrico: il protagonista condivideva le fattezze ed era doppiato da David Bowie; nel corso dell'avventura erano anche presenti i camei della moglie di Bowie e del chitarrista Reeves Gabrels. "Quanta attenzione per il mondo della musica", potreste notare, e fareste bene: perché Cage, prima di fondare Quantic Dream nel '97, lavorava nel mondo delle produzioni musicali, collaborando come musicista freelance in diverse televisioni statunitensi, nonché in film e progetti videoludici (ed è qui probabilmente che è iniziata la sua carriera nel settore).
È con Fahrenheit che le cose per Cage iniziano a cambiare. Ancora prima dell'arrivo di Heavy Rain, riconosciuto in modo unanime come il suo capolavoro, Fahrenheit si propone come prodotto realmente innovativo nel mondo videoludico, uno dei primi esemplari a rientrare nella categoria delle avventure narrative (o "drammi interattivi" se preferite). Si tratta di un genere che insiste sin da subito sulla narrazione della vicenda, sulle emozioni che essa suscita nel protagonista, e nella volontà di offrire meccaniche di gioco innovative, più fresche. Una freschezza che è rimasta poi nei fatti quasi invariata fino a Detroit: due levette analogiche per muovere l'eroe ed eseguire azioni elementari, Quick Time event per le fasi più concitate; ovviamente è sempre stata la narrazione il punto forte di giochi in cui ciò che viene raccontato e come viene raccontato è molto più importante del "giocare in modo attivo" fine a sé stesso, e da questo punto di vista Fahrenheit introduceva dialoghi con più scelte, tre protagonisti controllabili in momenti diversi e tre diversi finali di gioco come esito della vicenda. Curioso il fatto che il numero dei personaggi nei titoli di Cage si sia rivelato ciclico fino a questo momento: probabilmente sarà un caso, ma il rapporto è stato 3-4-2-3, tre protagonisti in Fahrenheit, quattro in Heavy Rain, due in Beyond: Due Anime e di nuovo tre in Detroit: Become Human, ovviamente mettendo da parte gli innumerevoli comprimari; è un modo inconscio per Cage di indicarci la quadratura del cerchio delle sue opere?
Oltre il proprio capolavoro
Heavy Rain dal punto di vista della profondità, del potenziamento delle meccaniche del dramma interattivo, dell'atmosfera di gioco, della regia e della credibilità dei propri personaggi, è attualmente riconociuto in modo piuttosto unanime il capolavoro di David Cage. Il "salto" rispetto a Fahrenheit è notevole, soprattutto dal punto di vista tecnologico: è una produzione di ben otto anni fa, e già allora sfruttava gli strumenti a disposizione per la cattura dei movimenti del volto (vennero utilizzati il PhysX di AGEIA per la fisica dei capelli, e il Vicon Peak MX40 per il moto del viso), nonché potenziamenti nella profondità di campo e rendering ad alta gamma dinamica.
Heavy Rain è stato anche il primo titolo di Cage a diventare un'esclusiva Sony, che da questo momento assume il ruolo di editore principale delle opere dell'autore; oltre ad essere un ottimo thriller psicologico, il titolo presenta questa volta ben 17 finali diversi (in Fahrenheit erano soltanto tre) e nonostante la presenza di quattro personaggi controllabili la narrazione è non solo avvincente, ma gestita con turni intelligenti tra i vari personaggi: Cage dimostra ancora una volta che il ruolo del regista è sempre più importante in questo genere, dove la priorità non spetta al gameplay ma al saper raccontare una buona storia tenendo incollato il pubblico degli spettatori. Da Heavy Rain in poi sembra che Cage si sia dovuto scontrare, prima ancora che con il pubblico (che ha comunque continuato ad apprezzare i suoi titoli) con il suo lato artistico: il gioco ha segnato un punto fermo importante nella sua carriera, e mostrato tutte le potenzialità di un genere che tuttavia, narrazione a parte, poteva (e può) essere variato fino ad un certo punto senza perdere per strada la propria identità. Nelle interviste che hanno preceduto il lancio del suo penultimo lavoro, cioè Beyond: Due Anime, l'autore è tornato quasi sempre a ribadire lo stesso concetto, cioè che Beyond non sarebbe stato un Heavy Rain 2, ma qualcosa di diverso; e dove questa diversità poteva essere cercata appunto solo in parte nelle meccaniche, l'ha inseguita nelle tematiche.
Beyond: Due Anime è così un dramma più intimo, e si concentra fondamentalmente su due protagonisti, Jodie, una ragazza dotata di poteri extrasensoriali, e Aiden, entità con cui entra presto in contatto. Beyond insiste ancora di più nella ricerca dell'emozione, nella profondità psicologica dei personaggi, nei momenti forti, inseguendo una sorta di dimensione epica o comunque quasi sempre spettacolarizzata. È questo il motivo per cui, ad esempio, Cage ha voluto che ogni scena del gioco fosse "unica", come se potessimo strapparla dal contesto per ammirarla in tutta la sua bellezza. Benché Beyond si sia dimostrato un ottimo titolo, sono stati in molti a notare questo sensazionalismo fine a sé stesso, che in molti casi ha portato a situazioni forzate ed eccessive, sempre ovviamente ragionando nel contesto di un'ottima avventura narrativa.
Gli Androidi
Detroit: Become Human è quindi il punto terminale di una carriera brillante, segnata dalla creazione di un genere realmente innovativo, e anche vincente (pensiamo a tutti i titoli Telltale Games pubblicati negli ultimi tre anni). Cage ha mostrato non tanto che cinema e videogiochi possono collaborare, ma addirittura che è possibile farli vivere in sinergia, raggiungendo così un prodotto artistico ancora più completo. E difficilmente si può pensare ad una credibilità narrativa superiore a quella di Detroit (avete già letto la nostra recensione?). Si torna a tre protagonisti, verosimili e tormentanti, alle prese con un'esistenza difficile in cui tutto ciò che chiedono è semplicemente continuare a poter vivere. Ma non è soltanto questo: mettiamo da parte un momento la storia raccontata, e pensiamo a "come" viene raccontata. Detroit non è solo un videogioco divertente, è un film girato da un regista competente, abile, in pieno fervore creativo: ogni inquadratura, turno di dialogo, prospettiva, cambio di ambientazione, è tutto dotato di significato nell'ottica dell'opera completa, mai fine a sè stesso. Questa è la prima e fondamentale maturità di Detroit: Become Human. Si può poi discutere sull'evoluzione (o involuzione) di una modalità di gioco che, lo ribadiamo, può essere variata solo fino a un certo punto, e che comunque non ha mai realmente deluso chi si è accostato alle opere di David Cage tenendo presente la sua carriera.