Tante sono state dette e tante se ne continueranno a dire, anche su questi lidi, per quanto concerne il messaggio, il simbolismo e l'eredità che si porterà dietro Death Stranding. Quando però mancano poche ore all'arrivo sul mercato del primo titolo di Hideo Kojima da sviluppatore indipendente, ci sembra giusto approfondire anche quei dettagli meno narrativi e più giocosi. Per questo abbiamo deciso di raccontarvi un po' come funziona la ricostruzione degli Stati Uniti all'interno del mondo post apocalittico di Death Stranding. È un open world o no? C'è libertà di movimento? Si può davvero andare ovunque la mappa presenti un orizzonte? Queste e altre domande sono alla base dello speciale che state per leggere.
Gli Stati Uniti in scala
Partiamo da una grande verità: Death Stranding non è un oper world. Come vi abbiamo già accennato nel corso della recensione, la riproduzione del continente americano ha portato alla sua suddivisione in tre diverse sezioni. Mentre della terza non parleremo approfonditamente, in quanto principalmente legata ad avvenimenti narrativi, le prime due rappresentano il vero fulcro del titolo. Il viaggio di Sam, ed il nostro insieme a lui, prende avvio nella regione orientale, quella che per intenderci possiamo posizionare tra New York e Chicago. La seconda invece, decisamente più grande e varia, raccoglie tutto il territorio centrale e occidentale. Le due mappe non costituiscono una riproduzione fedele delle zone interessate, né tanto meno presentano nomi riconducibili alla realtà. Chiunque abbia una certa conoscenza del territorio degli Stati Uniti potrà magari ritrovare alcune particolari conformazioni del terreno, quanto meno per ciò che concerne l'idea di canyon e paludi, ma provare a descrivere sensatamente le similitudini comporterebbe anche un certo grado di presunzione nei confronti della geografia conosciuta.
Orientarsi sulla mappa avviene quindi grazie ai nodi che andremo a sbloccare nel corso dell'avventura, siano essi principali o del tutto accessori. Una volta raggiunte le regioni da connettere alla rete chirale, la nostra cartina del continente ci segnerà il punto appena conosciuto, aiutandoci nel collocare la zona in una ipotetica mappa dell'attuale Stato.
D'altronde sappiamo come nell'idea di Hideo Kojima e del suo team, gli anni intercorsi tra il Death Stranding e lo sviluppo della vicenda hanno mutato non solo la società e le gerarchie in gioco, ma anche il mondo è cambiato con il passare del tempo, caduto sotto il peso di una cronopioggia incessante che ha corroso tutto e accelerato ogni tipo di evento naturale. Il terreno si è infatti scavato, le rocce sono smussate e le strutture di un tempo ormai passato risultano un lontano ricordo. Tutto il mondo è vicino all'idea della ripartenza, come fosse ad uno stato primordiale dopo la fine di un ciclo e l'inizio del suo successivo.
Noi ci muoviamo in questo territorio vergine, fatto di lunghe distese verdeggianti e altissimi picchi montani, provando a riprenderci dopo la visione di alcuni degli scorci più evocativi di sempre. In questo senso la realizzazione degli ambienti di gioco è davvero affascinante, in grado di generare, con le giuste differenze stilistiche, quell'idea di libertà che un paio d'anni fa aveva portato alla mente Breath of the Wild.
Ma quanto è grande Death Stranding?
Cerchiamo di essere chiari sulla portata di queste macro regioni. Death Stranding è un gioco immenso dal punto di vista delle attività da compiere. Parliamo di centinaia e centinaia di incarichi differenti, ai quali si aggiungono poi tutte quelle spedizioni aggiuntive e potenzialmente infinite, legate ai carichi smarriti dagli altri giocatori. È certamente vero che il nostro compito si limita al recuperare un pacco e consegnarlo al diretto interessato, ma ciò che avviene nel mezzo rappresenta il fulcro dell'esperienza. Quel qualcosa che si esperisce nella prosecuzione del viaggio viene plasmato anche dalla mappa stessa.
Questo suo essere enorme non si rispecchia, però, nell'estensione di un mondo che certamente non colpirà quei giocatori ossessionati dalla grandezza delle zone di gioco. Al contrario le mappe si presentano contenute e sostanzialmente vuote, costellate di percorsi impervi e della necessità di ricostruire strutture ed autostrade, utili così a mettere in piedi una vera e propria rete elettrica e a facilitare il passaggio a noi e a chi ci seguirà a ruota.
Aprire la mappa olografica utilizzando le manette-link di Sam permette di visionare con comodità tutta la regione, con i suoi punti di interesse, i centri logistici e i prepper, così come le strutture create da noi e dagli altri giocatori in giro per la rete. Ogni tipologia di elemento ha un suo simbolo di riconoscimento e un proprio colore, e ognuno di essi può essere collegato tramite punti di interesse applicati da noi. Conoscere la mappa, la sua prospettiva, studiare il territorio e decidere in che direzione muoversi, sono tutti elementi alla base del gameplay di Death Stranding ed è per questo che risulta utile e ben implementata la possibilità di visionare la strada scelta anche al di fuori del menù, come se si trattasse di un vero e proprio GPS in realtà aumentata.
Passando dalla prima alla seconda mappa ciò che salta subito all'occhio è la sua varietà. Se infatti la zona orientale risulta tutta abbastanza simile a se stessa, se non per un paio di luoghi alberati e una distesa rocciosa, la seconda riesce a colpire proprio per le differenze nei terreni. Si va da una steppa arida e pianeggiante, fino ai picchi montani innevati, passando per ammassi rocciosi praticamente impossibili da superare a bordo di un mezzo, perlomeno prima di essere riusciti a costruire l'autostrada dedicata.
È proprio questa varietà a togliere il fiato, che viene ulteriormente impreziosita dal cambiamento dei terreni al passaggio nostro e degli altri giocatori collegati online. Camminare sugli stessi sentieri, appiattire la stessa neve o sfrecciare su un autocarro nella medesima zona fangosa, non farà altro che disegnare sul terreno di gioco una qualche strada o pertugio che permetta di comprendere meglio in quale direzione muoversi, oltre che idealmente utile a sentirsi meno abbandonati nel corso del nostro viaggio altrimenti solitario.
Il futuro di questo mondo
Nonostante abbiamo avuto modo di giocare già "insieme" ad altre centinaia di persone, è impossibile non domandarsi sulla direzione che questo mondo condiviso prenderà nel corso delle settimane e dei mesi. Difficile fare confronti con qualcosa di già visto prima, anche all'interno della stesso curriculum di Kojima. Metal Gear Solid V: The Phantom Pain introduceva un concetto forse simile, seppur più basilare, legato al disarmo nucleare. Quella stessa idea di condivisione asincrona è ciò che funge da cardine per Death Stranding, ma qui oltre a risultare enormemente più articolata, reagisce anche ad un deus ex machina che vince sopra tutto il resto: la cronopioggia.
Già nel corso della nostra partita, quando ci trovavamo ormai nelle battute finali, una buona parte delle strutture costruite nei giorni precedenti cominciava a cedere sotto il peso incessante dell'agente atmosferico. È chiaro che si può ovviare al problema riparando le strutture danneggiate, ma è altrettanto vero che questo richiede tempo e risorse e che, a volte, ci si trova anche nella condizione di preferire una nuova struttura posizionata in maniera migliore.
Ci sarà certamente modo di tornare a parlare di questo elemento, così importante e caratterizzante per l'esperienza di Death Stranding. Nel frattempo vi consigliamo di giocarlo sempre connessi online, anche per dare più valore al vostro viaggio dall'est all'ovest!