Forse avete già avuto modo di imbattervi nel concetto di ibridazione sulle nostre pagine. La tesi di Marshall McLuhan, secondo cui i media vivono in costante relazione, scambiando tra loro caratteristiche e metodologie per riadattare ed espandere i propri confini, ha rappresentato una grande fonte di ispirazione per le teorie mediali nate a partire dalla seconda metà inoltrata del XX secolo (in primis, il concetto di rimediazione proposto da Bolter e Grusin). Il medium che interessa a noi, quello videoludico, è forse l'esempio più calzante di questa ibridazione mediale, in quanto svolge un continuo dialogo con una svariata quantità di altre fonti, dalla letteratura, alla videoarte, alla musica, fino ad arrivare all'altro punto d'interesse che ci preme analizzare: il cinema. Questi due media vanno a braccetto quasi da sempre. Non è difficile ricordare episodi come la trasposizione videoludica di E.T. L'extra-terrestre per Atari o quella cinematografica di Super Mario Bros. Questi esempi (ma ce ne sarebbero molti altri da citare) sono il risultato dell'incontro più superficiale tra cinema e videogioco, quello svolto per la sola prospettiva di un possibile guadagno aggiuntivo su un successo commerciale.
Ma non è questa l'ibridazione tra media di cui stiamo parlando, in quanto l'unico scambio in corso è quello della proprietà intellettuale appartenente o al mercato videoludico o a quello cinematografico. In altre parole, è l'adattamento di un prodotto già affermato.
L'ibridazione alla quale ci riferiamo è un'operazione di scambio vero e proprio tra i due media, che sia di elementi tematici, tecnologici o applicativi. Parliamo di utilizzare le basi dell'inquadratura per realizzare una sequenza di gioco o i principi della rigiocabilità per creare una narrazione cinematografica.
Questa continua dialettica tra i due media è ciò che permette loro non solo di coesistere, ma anche di creare nuovi modi di approccio a un pubblico sempre più esigente a causa di un panorama mediale in costante espansione.
In questa serie di articoli vogliamo parlarvi del mondo videoludico, ma attraverso alcune pellicole cinematografiche. Può sembrare controproducente parlare di qualcosa attraverso ciò che potrebbe, a tratti, essere considerato un suo opposto, ma spesso un punto di vista esterno è in grado di offrire una visione d'insieme che permette di cogliere anche le più sottili sfumature.
Il primo film del quale vogliamo parlarvi è eXistenZ, un cult del 1999 tra fantascienza e horror scritto e diretto da David Cronenberg.
Dato che andremo molto a fondo nell'analisi, l'articolo conterrà spoiler riguardanti l'intera narrazione di eXistenZ. Di conseguenza, consigliamo di vedere il film prima di procedere nella lettura.
Perché eXistenZ
eXistenZ è un ottimo film dal quale far partire Confini di celluloide principalmente per due motivi. Il primo è la presenza di molti temi affini alla nostra ricerca dell'ibridazione tra cinema e videogioco. La seconda è più propriamente legata a Cronenberg.
In gran parte delle opere del regista, infatti, viene spesso fatto riferimento (a volte in modo indiretto, altre in modo apertamente diretto) a studi teorici svolti dai più rinomati studiosi.
Proprio il pensiero di McLuhan è al centro di un film come Videodrome (dove il sociologo può perfino essere facilmente ravvisato nei modi e nelle idee di uno degli antagonisti, il dottor Brian O'Blivion), dove a essere indagati sono i concetti dei media caldi e freddi, nonché la famosissima affermazione "il medium è il messaggio".
A differenza del film del 1983, eXistenZ non allude in modo diretto agli studi di McLuhan, ma risulta comunque interessante andare ad analizzare le varie analogie e i modi con cui quella che dovrebbe essere un'esperienza videoludica altamente interattiva è stata tradotta in una pellicola cinematografica priva d'interattività.
Le diverse realtà di Cronenberg
La trama alla base di eXistenZ è relativamente semplice: un addetto all'area marketing di una grande software house si ritrova a scappare insieme a una game designer in pericolo di vita, in quanto diversi individui vogliono mettere le mani sul suo ultimo progetto, un videogioco che dovrebbe ridefinire l'intera industria. Su carta non sembra una storia troppo complessa, ma la situazione si complica non appena la narrazione inizia a ramificarsi su diversi piani.
La realtà comincia a sovrapporsi alla finzione, facendo provare allo spettatore un costante senso di spaesamento, che lo porta a chiedersi dove finisca la vita biologica e inizi quella sintetica. Questo perché a essere introdotto sin da subito è il tema della realtà virtuale legata al mondo videoludico.
C'è un processo che il nostro cervello compie quando messo davanti a un film, che porta lo spettatore a identificare ciò che sta vedendo non direttamente (o necessariamente) con la realtà quotidiana, ma con la realtà che viene presentata dal film stesso. Se nei primi minuti ci viene presentato un supereroe, capiamo che nella "realtà" filmica quella cosa può accadere e ci sembra, pertanto, normale. Se vediamo carrozze e illuminazione a gas, ci adattiamo all'immaginario che stiamo guardando e lo iniziamo a dare per scontato, nonostante, una volta usciti dalla sala, torneremo ad ammirare automobili e illuminazione elettrica.
Di conseguenza, i primi minuti di eXistenZ ci posizionano all'interno di un mondo che automaticamente diamo per scontato: "quella è la realtà". Di certo non ci immaginiamo che ciò a cui stiamo assistendo, in realtà, non è altro che una seduta di gioco (almeno non subito). Ted e Allegra per noi sono l'addetto all'area marketing e la game designer perché il film ce li presenta in tal modo e noi diamo per appurato che sia così, pur essendo consci della tradizione millenaria di ribaltamenti e colpi di scena che l'umanità si porta dietro.
Questo intreccio di mondi e situazioni non fa altro che aumentare l'attaccamento con la "realtà" che il film ha creato durante i primi minuti, accentuato dalla costante ansia da parte di Ted per l'incolumità del proprio corpo biologico.
Esattamente come in un videogioco, Ted inizia a non provare alcuna paura per il proprio alter ego virtuale, mentre si dimostra costantemente preoccupato per la sua condizione al di fuori del gioco.
Tuttavia, scoprendo che il mondo reale non è quello mostrato all'inizio, ma un altro ancora, mai apparso su schermo, lo spettatore si trova privo (o quasi) di appigli per comprendere la realtà narrativa. Potrebbe perfino sentirsi "tradito" dal risvolto della narrazione, in quanto ha creduto a qualcosa che poi si è rivelata fittizia. È come se venisse tolto un terreno stabile e sicuro da sotto i piedi dello spettatore, che si ritrova a cadere rovinosamente sull'effettivo piano della realtà (o sedicente tale).
Quella che Cronenberg ci fa provare è proprio la messa in discussione del reale che possiamo esperire (non agli stessi livelli, certo) attraverso la realtà virtuale. Questa messa in discussione è sottolineata anche dal comportamento di Allegra al di fuori della stazione di servizio di Gas, dove, momentaneamente sola, si prende del tempo per sperimentare con la struttura di gioco e le sensazioni tattili, olfattive, visive e uditive sprigionate da texture, ambiente sonoro e altri dettagli.
Una messa in scena complessiva, quella scelta dal regista, estremamente più efficace di una qualsiasi ripresa in soggettiva.
Ted, il nostro alter ego
Nonostante Allegra Geller rappresenti una presenza importane ai fini della narrazione e sia il ponte finale tra il "mondo reale" e quello creato da trasCendenZ (il "vero" gioco che ci viene presentato alla fine del film), lo spettatore è spinto a identificarsi con il punto di vista di Ted per gran parte della pellicola, in quanto non solo risulta essere il filo conduttore che unisce tutti i differenti mondi, ma è anche colui che si trova costantemente spaesato dinanzi al mondo nel quale dovrebbe, in definitiva, vivere da sempre.
Privo di una bio-porta, sembra affascinato da qualsiasi elemento estraneo alla nostra realtà quotidiana. È posto allo stesso livello dello spettatore, che è appena entrato all'interno di quell'universo narrativo e non ha idea di cosa stia accadendo o di dove si trovi.
Come ogni persona che si immerge all'interno della realtà virtuale, Ted è sia il giocatore che l'alter ego, spinto dal gioco a compiere determinate azioni, ma in grado di pensare razionalmente e domandarsi cosa stia facendo e perché lo stia facendo. Insomma, coesistono due coscienze in un unico luogo, quello imposto dal videogioco.
La coscienza "esterna", inoltre, appartiene a chi ha creato tale gioco, altro tema portante della narrazione di eXistenZ.
Qui il game designer passa da preda a predatore, da costruttore a distruttore di mondi, a seconda del punto di vista scelto. Il dilemma che separa realtà e finzione viene passato al setaccio da questa figura ancora poco in voga nel 1999.
Il fatto che Ted non conosca quasi nulla del mondo nel quale vive, porta a domandarsi se non sia effettivamente solo lui l'unico vero giocatore. Per quanto il finale ci proponga un mondo più propriamente identificabile con il nostro, dove è la plastica a farla da padrona, la domanda posta alla fine fa riflettere lo spettatore riguardo al fatto che la partita potrebbe essere ancora in corso.
Ehi, ditemi la verità: siamo ancora nel gioco?
Questo dubbio è accentuato maggiormente dal fatto che, all'interno della fabbrica dove vengono prelevati i componenti per creare i Game Pod, Allegra sembra essere affetta dallo stesso loop che contraddistingue i personaggi non giocanti dai giocatori reali.
Unendo questi elementi si potrebbe effettivamente pensare che l'unico giocatore, che continua a giocare fino allo scorrere dei titoli di coda, sia Ted. Non abbiamo, quindi, alcuna certezza riguardo la sua natura, i suoi ideali, le sue intenzioni e, soprattutto, la realtà nella quale vive.
Codici e carne
Sicuramente la particolarità che salta immediatamente all'occhio, quella che rimane più a lungo impressa nella mente dello spettatore, è la natura organica degli oggetti che circondano i personaggi.
A partire dai Game Pod, per arrivare alle bio-porte e alla bizzarra pistola d'ossa, Cronenberg trasforma ciò che è comunemente associato a una forma sintetica ed elettronica in qualcosa di organico e senziente; il tutto in un periodo, quello a cavallo tra il XX e l'XXII secolo, durante il quale il processo sembra essere, casomai, l'inverso.
I Game Pod provano dolore fisico, prendono energia dal giocatore attraverso un collegamento diretto con il loro organismo e sono composti da organi e membrane.
Per quanto il processo di assemblaggio sia artificiale, è qualcosa che ricorda più la creazione della Creatura di Frankenstein che quella di una console da gioco.
Questa natura biologica porta all'attenzione dello spettatore tutta una dinamica della scelta da parte del giocatore, che si trova non più ad avere a che fare con un ammasso ingegneristico di plastica inanimata, ma con qualcosa di più simile a lui.
L'incognita della "fallibilità" (comunque appartenente a qualsiasi apparecchiatura elettronica, ovviamente), porta la relazione tra Allegra e il Game Pod a tutto un altro livello. Questo perché quello strano essere contiene l'unica copia esistente di eXistenZ, il gioco al quale la game designer ha lavorato per diversi anni della sua vita.
Tale attaccamento, unito all'organicità sia dell'oggetto che dell'esperienza, tramutano il gioco e il suo involucro esterno in una sorta di figlio per Allegra, che si trova in un costante stato di ansia per la sua salute e la sua incolumità.
E qui potremmo aprire una parentesi riguardante un'evidente somiglianza tra i Game Pod di eXistenZ e i Bridge Baby di Death Stranding.
Entrambi svolgono un compito particolare, quello di mostrare qualcosa di assente sul nostro piano della realtà attraverso una connessione che ricorda quella che il feto instaura con la madre durante il periodo di gestazione.
Nel caso del film di Cronenberg, permettono di accedere a un mondo "altro", mentre, in quello del gioco di Hideo Kojima, mostrano ciò che è celato all'occhio umano, ma non per questo meno presente e rilevante.
Oltre a tale senso di attaccamento materno, ciò che risulta evidente sin dai primi momenti è questo indissolubile legame con l'attrazione fisica e il rapporto (neanche troppo) velatamente carnale che si instaura tra i giocatori e il Pod. È un tema che trova la sua liberazione dall'ombra della pura suggestione nel momento in cui l'attrazione sessuale tra gli alter ego di Ted e Allegra all'interno di eXistenZ raggiunge il suo picco, cosa che permette loro di creare una connessione emotiva maggiore con il successivo stadio (ma potremmo anche chiamarlo livello) del gioco.
Costruire la tensione
Oltre alla trasposizione cinematografica delle dinamiche dell'esperienza virtuale, Cronenberg sembra aver "preso in prestito" un altro elemento particolarmente rilevante all'interno dell'industria videoludica odierna: il crafting.
Oggi presente in quasi ogni titolo, il crafting era una meccanica di gioco relativamente affermata già nel 1999, specialmente in diversi giochi di ruolo (e, a giudicare da quanto ci viene mostrato, quella del film sembra essere un'evoluzione meno didascalica e più "istintiva" di tale genere).
La scena in questione è quella del ristorante cinese, durante cui Ted ordina un piatto speciale dal quale riesce a ricavare una pistola d'ossa (come quella mostrata all'inizio del film).
Il momento della costruzione vera e propria dell'oggetto non poteva essere gestito (per ovvi motivi) con una barra che si riempiva mentre una nuvola di fumo copriva l'oggetto in procinto di essere creato. Cosa ha fatto, quindi, Cronenberg per amalgamare tale elemento con l'atmosfera data al film? Ha semplicemente inserito il tema della tensione al suo interno.
Vedere Ted, impotente mentre mangia esseri geneticamente modificati, unire i resti del suo pasto in un'arma organica tende a creare una sensazione che può variare dal più repellente dei disgusti alla più allettante delle curiosità.
Quelle parti erano lì per un motivo, oppure il personaggio di Ted ha improvvisato sul posto un'arma? E, soprattutto, cosa deve farci? Le risposte non tardano ad arrivare, ma quella scena, non più lunga di qualche minuto, rappresenta l'esempio perfetto di quanto intendiamo con l'ibridazione tra cinema e videogioco.
In questo caso, il cinema ha preso una meccanica videoludica e l'ha sfruttata in modo tale da renderla coerente con quanto intende proporre, ovvero una narrazione cinematografica.
Non si tratta più solo di prendere un prodotto videoludico e di trasporlo in forma filmica, ma di carpire un componente basilare di tale medium e di sfruttarlo a proprio vantaggio. Una specie di "comunione dei beni" tra due o più media.
Un mondo violento
Cronenberg non ha mai nascosto il tema della violenza nei suoi film. Basta ricordare l'iconica scena di Scanners (chi l'ha anche solo intravisto, sa di cosa stiamo parlando).
Per cui, eXistenZ non è certo un film che rinuncia a copiose quantità di sangue. Il che, associato a un film che parla a grandi linee di videogiochi, non può che far correre la mente alla preoccupazione dilagante riguardo i videogiochi troppo violenti che ha afflitto l'industria negli anni '90 (ma non solo); un periodo d'oro per class action e demonizzazione del medium videoludico.
L'uscita del film proprio alla fine del millennio lo ha posizionato su una sorta di ponte che unisce la "doppia natura" dei videogiochi: quella di passatempo per bambini, florida alla fine del secolo, e quella di nuova ed estremamente remunerativa industria dell'intrattenimento, che si sta affermando negli ultimi anni.
Il film di Cronenberg, in questo senso, sembra essere più vicino alla seconda natura, mostrando un'audience matura, in grado di gestire scelte morali e situazioni al limite dell'umano.
Cronenberg sembra suggerire che non solo i giocatori non sono l'unico pubblico di riferimento, ma sono anche quello minore, dato che nel mondo di trasCendenZ sembra che i videogiochi abbiano completamente monopolizzato il mercato, facendo perdere interesse per turismo, mansioni all'aperto e qualsiasi altra attività avente un legame superficiale con la realtà anche minimamente replicabile. Questo perché la tecnologia è arrivata a un livello tale da riuscire a fornire ai giocatori un "nuovo inizio" in un mondo dove possono essere ciò che desiderano (o, almeno, così credono).
Interessante, quindi, notare come in ogni mondo il tema del libero arbitrio e della moralità faccia la sua apparizione, riportandoci al discorso iniziale riguardante il confine tra finzione e realtà.
E se ciò che sto "vivendo" fosse effettivamente la realtà? Come faccio a discernere tra l'uno e l'altro se non ho appigli per distinguere la mia condizione fisica? Queste sono le domande che si pone eXistenZ e che, in definitiva, non trovano risposta. Ma, dopotutto, come rispondere a tali quesiti se non con altre domande?
In questa narrazione, che alcuni definirebbero in stile Inception (anche se corrono dieci anni di differenza tra il film di Nolan e quello di Cronenberg), abbiamo potuto ritrovare non solo i principi sui quali si fonda la teoria dell'ibridazione, ma anche molti spunti interessanti che dicono molto del mondo videoludico e della sua considerazione alla fine degli anni '90. Considerazione che Cronenberg non è stato l'unico a esplorare, dato che lo stesso anno è arrivata sugli schermi un'altra pellicola, prima di una trilogia di gran lunga più conosciuta di eXistenZ, che proponeva temi molto simili: The Matrix.
La nostra analisi di eXistenZ e, di conseguenza, il primo appuntamento con Confini di celluloide si conclude qui.
Sentitevi liberi di consigliare a noi e agli utenti altri film che secondo voi contengono una buona dose di ibridazione con il mondo videoludico e fateci sapere quale pellicola volete vedere analizzata nel prossimo articolo.
Vi aspettiamo nei commenti.