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Fallout 76, diario di viaggio - Parte 1

Bethesda tenta il colpaccio unendo Fallout al survival multiplayer... o forse no?

PROVATO di Emanuele Gregori   —   16/11/2018

Inizia quest'oggi il nostro lungo percorso che ci porterà (indicativamente al termine della prossima settima) a dare un giudizio complessivo e finale di quella che è l'esperienza che Fallout 76 ci regala durante i suoi primi vagiti di vita. È evidente che, trattandosi di un titolo always online e incentrato sulle attività da compiere in gruppo, sarà poi necessario attendere per capire come Bethesda avrà intenzione di supportare il suo nuovo esperimento e per questo torneremo a parlarne regolarmente, con la speranza che possa, nei mesi, tramutarsi in una grande esperienza corale. Noi dal canto nostro abbiamo già passato circa venticinque ore sul titolo, arrivando a metà di quella che è la progressione del personaggio e completando una discreta quantità di quest principali e secondarie, tralasciando ancora del tutto la componente competitiva. Le impressioni generali vanno attualmente dal discreto al buono, al netto di una serie di problemi insiti nel DNA di Bethesda, di cui Fallout 76 non è certamente esente.

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La storia dei pionieri del nuovo-nuovo mondo

È il 2102, e il giorno è di quelli da ricordare, il Reclamation Day. Dopo venticinque anni chiusi in un grande barattolo di cemento e acciaio, possiamo finalmente tornare in superficie a gustarci gli odori della terra e i raggi del sole. Non ci ricordiamo bene neanche il nostro viso e la nostra corporatura, motivo per il quale ci guardiamo allo specchio e mettiamo a posto i nostri tratti. Il Vault 76 è ormai quasi deserto e le uniche voci che riempiono le fredde pareti del rifugio antiatomico, sono quelle dei robot che ci comunicano le informazioni base per la sopravvivenza nel mondo esterno. Raccogliamo il nostro camp da viaggio, utile per costruire le nostre strutture nel territorio della West Virginia e anche qualche stimpak e radaway, perché non si sa mai cosa potremmo incontrare fuori da qui. Per concludere, giusto per farci sentire un po' S.P.E.C.I.A.L., un pacchetto di carte che ci ricorda come possiamo aumentare le nostre statistiche, perché in fondo tutto è un gioco, anche la propria capacità di contrattare e la fortuna nel rinvenire oggetti utili. L'enorme portone è di fronte a noi, siamo pronti per uscire e l'emozione ci pervade quasi completamente. Un caricamento non troppo lungo, ma certamente lontano dalle esigenze del giocatore moderno, ci separa dal mondo esterno. L'Appalachia si presenta sconfinata e bellissima, svariate volte più grande dei territori che i nostri futuri figli calcheranno negli anni a venire, seppur vuota e inanimata, condita da una grande quantità di creature mutanti e di robot che, ironicamente, rappresentano l'ultima testimonianza della presenza dell'uomo sulla Terra.

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Ora siamo i pionieri del nuovo-nuovo mondo e starà a noi seguire le tracce del sopraintendente, l'unico essere umano ad averci preceduti, scomparso come tutti gli altri. Tramite i suoi olonastri entriamo in contatto con le fazioni del posto e scopriamo di più su ciò che è successo negli ultimi anni di vita sulla terra. La "grande guerra", scoppiata nel 2077 ha portato alla quasi completa estinzione della razza umana, costretta a rifugiarsi nei luoghi che sono stati la nostra casa per un quarto di secolo. Noi non siamo gli unici, solo il territorio americano conta centinaia di vault, ma la speranza che tanti siano ancora vivi va affievolendosi sempre più mentre esploriamo la zona. Una strana forma di mutazione, simile agli effetti di un'eruzione vulcanica, ha portato alla morte di decine di migliaia di persone rimaste all'esterno, altre ancora sono mutate talmente tanto da essere ora considerati "ardenti". Scopriamo che le ricerche su questa mutazione e la possibilità di far regredire la malattia sono alla base del compito del nostro viaggio, arrivando anche a scontrarsi, nelle ultime battute e dopo un lungo addestramento, con quelle creature che la mutazione stessa l'hanno avviata: le Bestie Ardenti, enormi pipistrelli che volano nei cieli dell'Appalachia e che sembrano avere intenzione di spazzare via tutto ciò che si muove. Durante le grandi camminate veniamo a contatto con una serie di personaggi pittoreschi, che si rivelano sempre essere dei robot, talmente avanzati e soli da aver ormai messo in pratica tutte le loro conoscenze in termini di coscienza umana. Ne replicano i dialetti, le inflessioni della voce, le diavolerie, i sotterfugi e addirittura, se possibile, gli atteggiamenti e le risposte.

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È un mondo ostile, nel quale anche i pochi altri essere umani che incontriamo, tutti sopravvissuti del vault 76 come noi, si dimostrano diffidenti e sempre pronti a puntarci una pistola contro, seppur mai mossi all'ingaggio, consci che la taglia sulla loro testa potrebbe risultare un peso troppo difficile da gestire. Inoltre, c'è forse una discreta consapevolezza di dover unire le forze, e per questo in molti casi si sceglie di stringersi la mano ed allearsi, così da tenere sempre sott'occhio i propri compagni (fino a tre) e spostarsi in un attimo nelle loro vicinanze senza pagare tappi. Sarebbe stato bello e sensato anche dividersi i compiti delle mansioni che ci vengono assegnate, ma a quanto pare il sovraintendente continua a volere che tutti siano pronti a tutto, e questo si tramuta nell'impossibilità di alleggerire spostamenti disumani e lunghissimi, almeno finché non avremo già calcato quei territori e saremo in grado di tornarci in un batter d'occhio, ma sempre pagando una specifica quantità di tappi a non-si-sa-bene-chi. Con i nostri compagni scambiamo oggetti, armi ed armature, proteggiamo campi rivendicati da noi, partecipiamo ad eventi pubblici di discreta varietà ed esploriamo - tanto - alla scoperta di nuove risorse e delle bellezze e le insidie che la West Virginia ci sta regalando. Sono parecchi giorni che camminiamo, senza mai fermarci. Poche decine di minuti di sonno tra un letto di fortuna e un sacco a pelo, ma siamo ancora vivi, e tanti passi avanti sono già stati fatti. Ci fermiamo per un po' pronti a continuare questo racconto a breve, sperando di non incrociare le strade con un Deathclaw, dato che l'ultimo con cui abbiamo fatto amicizia ci è costato qualche osso rotto e tanta paura.

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La tecnica che (invece) conta

Quelle che avete appena letto potrebbero essere, in maniera stringata e romanzata, le prime pagine del diario del nostro personaggio, lanciato nel deliro dell'Appalachia e pronto a sostenere il peso della riconquista della Terra. La verità è che abbiamo deciso di intraprendere questo esperimento così che il giudizio non risulti completamente spezzettato all'uscita della recensione vera e propria, ma allo stesso tempo facendovi arrivare le nostre generali sensazioni, vissute provando a fondo il gioco. Allo stato attuale Fallout 76 si presenta non come un survival, definizione lontanissima dalla realtà del titolo, ma come un vero e proprio Fallout in cooperativa, che aggiunge qualche elemento di sopravvivenza di poco conto. L'impossibilità di perdere il proprio equipaggiamento e i propri soldi dopo la morte, ma solo i materiali raccolti (comunque recuperabili tornando sul luogo della dipartita), è una dichiarazione piuttosto esplicita delle intenzioni dei ragazzi di Bethesda, mettendo in chiaro la volontà di creare una grande epopea multiplayer, in un mondo che, a dispetto di quanto tanti si aspettavano, funziona piuttosto bene in compagnia e regala intrattenimento di altissimo livello. Ciò che veramente non funziona, e che denota l'inesperienza del team con titoli di questo tipo, è la necessità di dover compiere tutti gli stessi obiettivi, non potendo dividersi i compiti, riducendo sostanzialmente la cooperazione al mero gusto di avanzare insieme, distruggendo però qualsivoglia immedesimazione nello spirito di gruppo, che invece più volte viene rimarcato. In più di un'occasione, la campagna e le varie missioni richiedono il raggiungimento di più posti contemporaneamente, a grande distanza l'uno dall'altro. Questo elemento, che in solitaria genera un forte senso di stanca in poco tempo, si tramuta in un grande divertimento se vissuto in compagnia, ma che avrebbe avuto senso poter dividere per velocizzare il recupero di determinati oggetti, o l'inserimento di codici ed olonastri nei terminali.

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Perché alla fine dei conti, che ci piaccia o no, la campagna di Fallout 76 è questa: un'infinità di ore di andirivieni, dedicate all'esplorazione di larga parte della mappa, seguendo il percorso fatto dal sovraintendente, e arrivando, presumibilmente, a scoprire qualcosa di più di ciò che è l'origine dell'universo di Fallout. Tutto questo avviene all'interno di un mondo estremamente più grande dei precedenti, forse meno ricco in termini di interni, ma in grado di regalare anche più di uno scorcio interessante. Coadiuvato da server che si sono comportati egregiamente, Fallout 76 si sta dimostrando un titolo migliore di quello che ci saremmo aspettati, se si digeriscono esperienze di questo genere. Ciò che attualmente, e ci teniamo a dirlo, sta distruggendo qualsiasi potenziale entusiasmo, è un comparto tecnico disarmante, fatto di texture imbarazzanti, animazioni arretrate di un decennio e un sistema di illuminazione migliorato, ma ancora legato pesantemente al passato. Come se tutto questo non bastasse, Fallout 76 è segnato da troppi bug , condito da personaggi che si incastrano, impossibilità di proseguire nelle quest e obiettivi che scompaiono durante il loro compimento. Noi stessi, nelle venticinque ore di gioco accumulate, ne avremo passate almeno cinque a cercare di risolvere problematiche scaturite da un codice sporco e poco verificato, costretti a riavviare diverse volte il titolo e sperare che qualcosa potesse in qualche modo consentirci di avanzare.

Il primo passo di avvicinamento alla recensione è strano, particolare e convincente solo a metà. Chi scrive è uno dei grandi delusi di Fallout 4 ed il fatto che questo 76 parta esattamente dalla stessa base non prometteva certamente bene. La realtà è che lo spostamento nell'universo multiplayer sembra aver funzionato piuttosto bene, relegando l'esperienza in singolo a qualcosa di assolutamente secondario. Chiaramente si tratta ancora di un assaggio, seppur corposo, di ciò che dovrà arrivare con il tempo. L'impressione è quella di trovarsi attualmente all'interno di un grande esperimento di Bethesda e, in quanto tale, siamo pronti a concedere il beneficio del dubbio. Certamente se il gioco non dovesse decollare e nell'endgame si attestasse sulle poche attività di gruppo presenti, l'esperimento si potrebbe considerare fallito, almeno in queste prime battute, ma è ancora troppo presto per bollare 76 come grande delusione. Il gioco c'è, e funziona bene. I suoi contenuti invece sono tutti da dimostrare.

CERTEZZE

  • L'impianto di gioco funziona bene
  • I server vanno e non risentono di questa prima esperienza
  • Di narrazione ce ne è tanta...

DUBBI

  • ...ma male si amalgama con l'esperienza di gruppo
  • Tecnicamente lascia a desiderare
  • Pregate di non incappare in un bug, altrimenti la vostra fine è vicina