Fra poche settimane si avvererà un sogno durato anni e la prima parte di Final Fantasy VII Remake arriverà su tutti gli scaffali, riempiendo di gioia i cuori di tutti quei fan che hanno atteso e sperato in un progetto tanto desiderato quanto complicato da portare a termine. Un progetto che, nonostante tutto, è ancora nebuloso: non sappiamo da quanti episodi sarà composto, fino a che punto arriverà questo primo capitolo, in che modo Square Enix gestirà il resto della storia e dei contenuti originali in questo rifacimento in divenire. Sviluppare un remake di questa portata è un'impresa titanica per tanti motivi e non stupisce che la compagnia nipponica abbia deciso di affrontarla proprio con il Final Fantasy più famoso in assoluto. Chissà perché, infatti, quando si parla di questo franchise, sembra quasi che prima di quel settimo episodio non ci sia stato nulla.
Possiamo capire i nostri amici yankee, che fino a un certo punto avevano difficoltà a contare i Final Fantasy visto che arrivavano saltellando - nel 1994, alla sua prima release statunitense, Final Fantasy VI effettivamente era Final Fantasy III - ma Square aveva già cambiato il modo di immaginare i giochi di ruolo nipponici, simbolizzati dalla formula Dragon Quest, molto tempo prima. La fama di Final Fantasy VII è figlia anche e soprattutto del marketing, del coraggio di sdoganarsi in occidente, del successo di PlayStation al giro di boa generazionale del mercato console, ma se Final Fantasy VII è un JRPG eccellente, Final Fantasy VI è un JRPG semplicemente straordinario. Oggi che c'è questa feroce tendenza a riproporre i grandi classici sotto una nuova veste, Final Fantasy VI raramente è nominato o richiesto: abbiamo avuto una specie di dimenticabile edizione rimasterizzata su sistemi mobile e nient'altro. Vediamo insieme che tipo di gioco era e potrebbe diventare in un ipotetico Final Fantasy VI Remake.
La storia
Final Fantasy VI presenta un intreccio che raramente si è visto in altri Final Fantasy, più che altro perché è nato in una condizione un po' particolare. Square comincia a sviluppare il gioco nel '92, ma all'epoca il creatore della serie Hironobu Sakaguchi era stato da poco promosso a vicepresidente esecutivo e, avendo in ballo altri progetti, non poteva impegnarsi a scrivere la sceneggiatura del nuovo JRPG: il suo ruolo sarebbe stato quello di produttore e supervisore, mentre la storia sarebbe stata scritta a otto mani da lui, il director Yoshinori Kitase, Tetsuya Nomura e Kaori Tanaka. La trama, infatti, si svolgeva in modo insolito, saltando da uno scenario all'altro e ruotando intorno a diversi protagonisti e ai rispettivi comprimari. Kitase avrebbe avuto il compito di ricomporre i pezzi del puzzle in una sceneggiatura coerente dal sapore molto più melodrammatico rispetto ai precedenti Final Fantasy che, pur sconfinando in territori bui come Final Fantasy IV, scivolavano via con maggior leggerezza.
No, la storia di Final Fantasy VI è tragica, sconfortante, a tratti disperata, e proprio per questo ogni momento di serenità, ogni vittoria e ogni siparietto comico guadagnano spessore, andando a bilanciare un'equazione che ancora oggi fatichiamo a credere possibile. Il cast comprende almeno undici personaggi principali, cui se ne aggiungono tre segreti da reclutare soddisfacendo determinate condizioni - un po' come Yuffie e Vincent in Final Fantasy VII - e qualche altro che si aggiunge temporaneamente al party in determinati momenti della storia. Un cast così ampio richiederebbe sforzi produttivi di notevole entità nell'ottica di un remake. Per cominciare servirebbero molti più doppiatori, ma questo è il meno: il problema sarebbe infatti bilanciare la nuova sceneggiatura in modo da dare il giusto spazio a ciascun personaggio, soprattutto a quelli che incidono maggiormente sull'intreccio come Celes, Edgar e Setzer. La maggior parte dei dialoghi andrebbe riscritta per favorire una nuova impostazione più cinematografica, una regia dinamica e un ritmo della narrazione molto diverso.
Per quanto complesse siano la sceneggiatura e la caratterizzazione dei personaggi, Final Fantasy VI resta comunque un gioco del 1994 che affidava gran parte della sua potenza narrativa alla pura e semplice immaginazione. Siamo sicuri che oggi Square Enix potrebbe reinventare momenti iconici come la scena dell'opera o la trasformazione di Kefka in mille modi diversi e non riuscirebbe comunque ad accontentare i fan che quegli stessi momenti li hanno completati nella loro mente. Ripensare Final Fantasy VI significherebbe anche cambiare il suo aspetto, abbandonando la meravigliosa pixel art a favore di un fotorealismo come quello che abbiamo ammirato nei trailer di Final Fantasy VII Remake. Personaggi che hanno vissuto incredibili avventure sotto forma di sprite colorati super deformed si trasformerebbero in individui proporzionati e verosimili. Il problema è paradossale: Final Fantasy VII, coi suoi modelli poligonali tozzi e squadrati, è invecchiato molto ma molto peggio della curatissima pixel art di Final Fantasy VI, e non è un caso se il restyling in alta risoluzione per sistemi mobile del sesto capitolo è stato aspramente criticato.
Il sistema di combattimento
Final Fantasy VI rappresenta probabilmente l'espressione più assoluta dell'Active Time Battle System introdotto nel franchise da Final Fantasy IV. Il combattimento si svolge a turni: i quattro personaggi schierati dal giocatore hanno diritto ad agire ogni volta che si riempie un indicatore individuale, accedendo così a una schiera di opzioni che comprendono l'attacco fisico, il consumo di oggetti, l'evocazione degli Esper e così via. La velocità dei turni può essere alterata da incantesimi come Haste, Slow o Stop. Sotto questo punto di vista, il sistema di combattimento non è affatto diverso da quello di Final Fantasy VII che Square Enix ha rivisto e corretto per il Remake, trasformandolo in una specie di action game ibrido che è possibile giocare sia in tempo reale, sia in una impostazione più classica e fedele all'originale.
Final Fantasy VI, però, si distingue da Final Fantasy VII in un altro senso. Se nel settimo capitolo è il giocatore a modificare i ruoli e i loadout dei personaggi, spostando la Materia da uno all'altro, nel sesto capitolo è la storia a contestualizzare il gameplay. Locke, per esempio, può rubare gli oggetti ai nemici, mentre Celes, il cavaliere runico, può usare l'abilità Runic per annullare il prossimo incantesimo lanciato in combattimento e ripristinare i suoi MP. Ogni personaggio possiede una capacità distintiva in combattimento che affonda le radici nella tradizione di Final Fantasy: in un certo senso, ciascun membro del cast rappresenta un Job, oppure ha gettato le basi per i Job che Square Enix ha ideato anni dopo. Il Machinist di Final Fantasy XIV, ad esempio, è ispirato alle abilità di Edgar Figaro. Sotto questa prospettiva, potremmo dire che il sistema di combattimento in Final Fantasy VII Remake ricorda tantissimo l'approccio di Final Fantasy VI, poi rivisto in Final Fantasy IX: nonostante sia ancora possibile personalizzare i membri del party con la Materia, ciascun personaggio è caratterizzato da abilità e attacchi contestualizzati.
Un sistema di combattimento come quello di Final Fantasy VI dovrebbe sopravvivere integralmente a un processo di rifacimento. I quattordici membri del cast garantiscono al giocatore la possibilità di ideare strategie sempre diverse e le varie meccaniche di gameplay rendono la scelta della formazione molto più intrigante. Alcuni personaggi combattono in modo interattivo, per così dire: gli attacchi speciali di Sabin, che rappresenta il Job del Monk, si eseguono immettendo comandi a rotazione come in un vero e proprio picchiaduro. Adattare questo sistema di combattimento a un Remake in stile Final Fantasy VII non sarebbe facile, ma sarebbe certamente possibile: in un certo senso, Square Enix si sta spianando la strada da sola, impostando un'evoluzione dell'Active Time Battle System che potrebbe abbracciare i remake di qualunque altro Final Fantasy che ne faceva uso originariamente.
Il mondo, prima e dopo
L'ultimo elemento cardine a identificare Final Fantasy VI è il mondo in cui si svolge l'avventura. Anzi, i mondi, perché chi ha giocato la sesta fantasia finale sa benissimo che c'è un prima e un dopo. La storia comincia nel cosiddetto World of Balance: i giocatori lo esplorano mentre seguono la sceneggiatura, incontrano i vari membri del party e in alcuni casi li reclutano, combattono le forze dell'Impero, viaggiano nella dimensione degli Esper e così via. È tutto molto tradizionale, è tutto molto Final Fantasy: la storia fila che è una meraviglia, i nostri affrontano l'imperatore Gestahl e lo sconfiggono. Poi Kefka, il consigliere dell'imperatore e il vero mastermind dietro ogni problema, combina un vero casino e distrugge il mondo. Letteralmente: la seconda parte del gioco si svolge infatti in una versione devastata e profondamente modificata della mappa, un mondo che il gioco definisce World of Ruin. Il giocatore si sveglia in questo mondo tempo dopo aver subito una sonora sconfitta e scopre di essere solo, nei panni di Celes, e di conoscere già il suo obiettivo: raggiungere Kefka in cima alla sua torre.
A questo punto Final Fantasy VI diventa un prototipo di open world. Il giocatore non è costretto a seguire un iter preciso per arrivare al finale: una volta reclutati alcuni personaggi essenziali, gli altri sono facoltativi e i Returners possono lanciare l'attacco finale a Kefka. In seguito, solo pochi anni dopo, Square avrebbe ripercorso questa strada con un altro esperimento ancor più riuscito: Chrono Trigger. Era il 1995 e il 2020 è dietro l'angolo: in questi venticinque anni il concetto di open world e di libertà di scelta nei videogiochi, e soprattutto nei videogiochi di ruolo, ha assunto complessità che allora erano impensabili. Oggi lo stacco tra World of Balance e World of Ruin può sembrare quasi dilettantesco, ma ha un senso a più livelli e rappresenta un pilastro di Final Fantasy VI: il dualismo è un tema importantissimo nel gioco, incarnato da numerosi personaggi che nel corso della storia devono trovare un equilibrio interiore e scendere a compromessi con le parti migliori o peggiori di loro.
In questo senso, e considerando la lunghezza di Final Fantasy VI in termini di narrativa, è facile immaginare una soluzione simile a quella di Final Fantasy VII Remake: un rifacimento episodico in cui l'ultimo o gli ultimi capitoli si svolgono completamente nel World of Ruin, un mondo che va a sostituire quello esplorato nelle release precedenti. È una soluzione sensata che peraltro consentirebbe di approcciare in modo diverso la parte finale dell'avventura, consentendo al giocatore di scegliere quali storyline secondarie completare per reclutare i personaggi che preferisce prima di affrontare Kefka Palazzo nella sua torre. In realtà, non sappiamo ancora come Square Enix intenda affrontare la questione nell'ambito di Final Fantasy VII. È chiaro che la società nipponica ha già in mente il numero preciso di episodi che vuole pubblicare, e anche in Final Fantasy VII succede qualcosa, nella storia, che cambia in modo importante l'aspetto del mondo: questa svolta significativa permetterebbe già di isolare idealmente l'ultimo episodio del Remake.
Profondamente diversi nell'aspetto e nelle origini, ma estremamente simili negli approcci rivoluzionari e nelle dinamiche narrative, Final Fantasy VI e Final Fantasy VII hanno in comune numerose feature che Square Enix sta ripensando col Remake del secondo e che potrebbero funzionare perfettamente anche in un eventuale rifacimento di Final Fantasy VI. In ogni caso, ci potrebbero volere anni e anni prima di vedere qualcosa in tal senso: Square Enix deve prima completare Final Fantasy VII Remake, e c'è sempre un Final Fantasy XVI che deve vedere la luce, anche se quando, come e dove nessuno lo sa. Le nostre sono solo idee e riflessioni sulla natura di Final Fantasy VI e su un eventuale ritorno in scena. Nel frattempo, non possiamo fare altro che consigliarvi di recuperare questo capolavoro assoluto del genere, nel caso in cui non l'abbiate mai giocato: non vogliamo essere schizzinosi e vi suggeriamo persino la tanto criticata versione mobile, se proprio non trovate di meglio. L'importante è giocarlo.