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La storia del parkour nei videogiochi

Ripercorriamo la storia del parkour nei videogiochi, dai primi esperimenti con Prince of Persia fino ai più recenti risultati di Dying Light

SPECIALE di Mattia Pescitelli   —   19/02/2022

Il movimento è da sempre uno dei cardini espressivi del linguaggio videoludico. La ricerca della dinamicità segue di pari passo l'evoluzione del medium, raggiungendo nuovi picchi man mano che la tecnologia si sviluppa in tempi sempre meno dilatati. Oggi, grazie all'implementazione di varie tecniche, tra le quali la più conosciuta è senz'altro il motion capture, i videogiochi sono in grado di restituire animazioni sempre più convincenti ed elaborate. Ma, come per ogni tipo di storia, c'è sempre un'origine, un "terreno di prova" dal quale si è dovuti partire.

Ripercorriamo, quindi, la storia del parkour nei videogiochi, alla ricerca della sua genesi e del processo evolutivo che ha contribuito a dare nuovo significato all'esplorazione dei mondi di gioco virtuali.

La (vera) storia del parkour

Parkour: la disciplina affonda le sue radici nel 'metodo naturale' impiegato durante l'addestramento delle forze armate francesi agli inizia del XX secolo
Parkour: la disciplina affonda le sue radici nel "metodo naturale" impiegato durante l'addestramento delle forze armate francesi agli inizia del XX secolo

Pur trovando radici quasi ancestrali, il parkour come vera e propria disciplina nasce solo alla fine del secolo scorso, grazie alla diffusione di tale pratica attraverso il palcoscenico globale dei mezzi di comunicazione di massa. Prima del loro indubbio successo socio-culturale, però, quegli ideali che hanno spinto persone da ogni parte del mondo a cimentarsi con la pericolosa "art du déplacement" (arte del movimento) erano alla base dell'addestramento militare noto come "méthode naturelle" (metodo naturale), introdotto dall'ufficiale Georges Hébert (ispirato dal modo di approcciarsi alla vita quotidiana da parte di alcune tribù indigene che aveva incontrato in Africa) agli albori della Prima Guerra Mondiale e quasi immediatamente divenuto lo standard di addestramento per tutte le forze armate francesi.

Questo metodo portò anche alla creazione dei "parcours du combattant", ovvero i percorsi che solitamente vediamo affrontare nei film dalle reclute alle prime armi o che, in parte, possiamo oggi trovare perfino nei parchi pubblici.

Con un importante salto temporale, raggiungiamo ora la fine del XX secolo, all'incirca a ottant'anni di distanza rispetto alle introduzioni di Hébert in ambito militare. Sempre in Francia, un giovane ragazzo di nome David Belle, classe 1973, trasferitosi a Lisses, un piccolo comune nella regione dell'Île-de-France, decide che avrebbe dedicato la sua esistenza al "parcours", una tipologia di allenamento talmente radicale da diventare quasi uno stile di vita. David trova ispirazione proprio nelle gesta del padre, un pompiere che, in un certo qual modo, gli ha "tramandato" i suoi ideali. È proprio a Lisses che David, insieme a un numero ristretto di altri ragazzi, ha fondato il primo vero e proprio gruppo dedicato a quella che, in futuro, si sarebbe imposta come disciplina.

Chiamatisi Yamakasi, nome derivante da "ya makási" ("uomo forte"), termine della lingua Lingala, parlata principalmente nella Repubblica Democratica del Congo (un ritorno alla natura primigenia e anche alle ispirazioni hébertiane di origine africana), questo collettivo seguiva regole ferree e paritarie, che abolivano qualsiasi imposizione gerarchica. Da questo gruppo, che ha iniziato a farsi conoscere tramite eventi dal vivo, ma anche grazie alla diffusione di contenuti audiovisivi attraverso diversi media, il parkour (Hubert Koundé ha suggerito a Belle di cambiare la "C" di "parcours" con la "K" perché ha un suono più forte e dinamico, conseguentemente eliminando anche la "S" muta, in quanto superflua, in contrasto con gli ideali di essenziale efficienza) ha cominciato a farsi un nome a livello internazionale.

Parkour: David Belle, colui che è considerato il fondatore del 'movimento', mentre esegue uno 'speed vault'
Parkour: David Belle, colui che è considerato il fondatore del "movimento", mentre esegue uno "speed vault"

Siamo agli albori degli anni Duemila, eppure, considerando le testimonianze lasciateci da diverse documentazioni visive, non era affatto nuovo trovare in svariati prodotti d'intrattenimento elementi acrobatici per molti versi similari alle pratiche del parkour o del "freerunning". Basti pensare alle miriadi di film d'arti marziali provenienti dalla fucina cinematografica di Hong Kong o ai diversi videogiochi platform che iniziavano a introdurre tali meccaniche in concomitanza con lo sviluppo di questa nuova tendenza.

Come accennavamo, infatti, seppur il parkour come disciplina si sia affermato solo negli ultimi vent'anni (è stato riconosciuto come disciplina ufficiale dal CONI solo nel 2017), le sue origini non istituzionalizzate e classificate risalgono, con molta probabilità, alle tribù di cacciatori-raccoglitori del Paleolitico, se non prima, addirittura. Dopotutto, si tratta di movimenti insiti nell'essere umano e nel suo retaggio, la cui stessa naturalezza è venerata da "traceuse" e "traceur" (tracciatrici e tracciatori, ovvero coloro che praticano parkour) che hanno convertito il freddo e calcolato paesaggio urbano in una rinnovata giungla esperienziale.

I primi passi del parkour nei videogiochi

Parkour: il primo capitolo di Prince of Persia ha gettato le fondamenta per un nuovo modo di concepire il movimento all'interno dei videogiochi
Parkour: il primo capitolo di Prince of Persia ha gettato le fondamenta per un nuovo modo di concepire il movimento all'interno dei videogiochi

Se viene chiesto di guardare al passato e andare a caccia di titoli ormai detti "rétro", ai più verranno in mente avventure come quelle di Super Mario, Sonic, Ghosts 'n Goblins, videogiochi dove il movimento era (ed è) parte integrante del gameplay. Certo, le animazioni di spostamento non erano che un rudimento stilizzato e indicativo di quei gesti, atti sì a evocarli, ma con un minimo se non inesistente intento di verosimiglianza. Tuttavia, è indubbio che è proprio da questi primi passi svolti dai videogiochi a piattaforme che hanno, poi, attinto quei titoli che cominciarono a introdurre movimenti più complessi e articolati. Uno dei più rilevanti è senza ombra di dubbio il Prince of Persia del 1989.

Utilizzando la tecnica del rotoscoping (ovvero ricalcare fotogramma per fotogramma un'immagine in movimento, così da ottenere un'animazione più fluida e realistica) e, come fonte di riferimento, filmati di suo fratello che corre o salta, oltre alla sequenza del combattimento finale del film La leggenda di Robin Hood, datato 1938, per realizzare i duelli con la spada, il game designer Jordan Mechner è riuscito (grazie a un procedimento attuato solo a causa della sua relativa inesperienza con disegni e animazioni) a compiere il "balzo della fede" che avrebbe successivamente spianato la strada a un mondo di opportunità esplorative. Dopo il successo riscosso dall'opera di Mechner, altri videogiochi hanno seguito la via tracciata dal suo videogioco.

Parkour: Aladdin è la prova che un platform più dinamico e variegato iniziava a immettersi nel campo visivo di grandi case di sviluppo e aziende internazionali lontane dal mondo videoludico
Parkour: Aladdin è la prova che un platform più dinamico e variegato iniziava a immettersi nel campo visivo di grandi case di sviluppo e aziende internazionali lontane dal mondo videoludico

Ne è un esempio il tie-in di Aladdin del 1993 per SNES sviluppato da Capcom. Sotto la guida di un insospettabile Shinji Mikami, questo titolo su licenza mostra come l'interesse per la fluidità e la spettacolarizzazione del movimento vengano subito visti di buon occhio sia da grandi case di sviluppo, sia da realtà produttive relativamente distanti dal mondo videoludico, interessate al medium solo per trasmettere un'immagine quanto più sfaccettata possibile del proprio prodotto (con obiettivo un'inequivocabile fonte supplementare di guadagno).

Alla fine degli anni Novanta, questi primi esperimenti in termini di movimento virtuale incrociano due nuove realtà: da una parte, le prospettive fornite dalla tridimensionalità; dall'altra, il crescente successo del parkour come pratica socialmente riconosciuta, capace di confluire in diversi ambiti culturali (tra cui le possibilità fornite dall'universo degli stunt televisivi e cinematografici). In questo periodo di fermento, i videogiochi non sono rimasti in disparte, ma hanno colto la palla al balzo, riconoscendo una centralità della libertà di movimento nel futuro dei mondi virtuali.

Nuove frontiere da esplorare

Parkour: la terza dimensione prende il sopravvento
Parkour: la terza dimensione prende il sopravvento

Con l'acquisizione del franchise di Prince of Persia da parte di Ubisoft (e con buona pace di Prince of Persia 3D), il parkour trova nuove modalità espressive grazie alla tridimensionalità. Con Le Sabbie del tempo, la saga videoludica inizia a implementare movimenti sempre più tecnici ed elaborati, a partire dagli iconici "wall run" orizzontali, diventati una sorta di marchio identificativo.

Molti videogiochi d'avventura (prima e durante le "conquiste" di Ubisoft) iniziarono a vedere nell'esplorazione e nel movimento un potenziale espressivo altamente coinvolgente. Pur rimanendo legati alla più tradizionale arrampicata (comunque, facente parte dei "movimenti" fondamentali del parkour) che aveva già caratterizzato i primi tentativi "platform", giochi come quelli della saga di Tomb Raider iniziavano a proporre nuovi modi di navigare mappe sempre più spaziose, ormai slegate dalla fissità della camera di gioco. Nel 2007 fu, perfino, pubblicato un videogioco dedicato al freerunning, dal titolo più che esplicativo: Free Running (termine da un lato pensato per essere più facilmente assimilabile da parte degli anglofoni rispetto al neologismo francese "parkour", ma dall'altro a volte utilizzato anche per indicare una metodologia di approccio leggermente più spettacolarizzante rispetto alla disciplina "tradizionale", la cui ideologia è quella di eliminare qualsiasi movimento che non sia funzionale alla massima efficienza di spostamento). Tuttavia, la vera svolta arriva, sempre nel 2007, con uno dei capisaldi delle avventure a mondo aperto, ovvero Assassin's Creed.

Parkour: l'esplorazione raggiunge nuove vette con Assassin's Creed
Parkour: l'esplorazione raggiunge nuove vette con Assassin's Creed

Il primo capitolo della fortunata saga ha portato la verticalità e la dinamicità di spostamento a livelli di rado sperimentati in passato. Attraverso le sue macroaree (che, forse, stando agli standard odierni, in molti considerano ormai "micro"), era possibile muoversi in completa libertà, arrampicandosi su una quantità talmente elevata di elementi dello scenario da far pensare di poter raggiungere qualsiasi luogo. Ovviamente, ciò non era possibile, ma c'è stato tempo per evolversi. Lo hanno dimostrato gli altri episodi della serie, ognuno con meccaniche di spostamento sempre più rifinite e ampliate, oltre a una miriade di nuovi titoli che hanno portato con loro le lezioni dei due franchise Ubisoft, ma anche tutto il bagaglio di esperienze maturato dai videogiochi d'azione e avventura che si sono susseguiti negli anni. Dalla saga di Uncharted, a God of War, passando per inFamous e Prototype fino a progetti meno ricordati come Enslaved, la verticalità nei videogiochi come mezzo esplorativo ha segnato gli ultimi anni del primo decennio del Duemila. Mentre dal lato della terza persona l'implementazione sembrava florida, ma ancora da rifinire, nel mondo dei videogiochi in prima persona si assisteva a un traguardo fondamentale per il parkour virtuale, che risponde al nome di Mirror's Edge.

Parkour: Mirror's Edge e la svolta della prima persona
Parkour: Mirror's Edge e la svolta della prima persona

Uscito nel 2008, il titolo di DICE ed Electronic Arts è una vera e propria lettera d'amore alla disciplina. Comprendendo gran parte dei movimenti "classici" di quest'ultima (pur non essendoci un "libro mastro delle mosse di parkour"), il gioco, più di quanto abbia fatto il primo Assassin's Creed, è riuscito a dare nuova significanza al movimento calcolato e funzionale. Potremmo generalmente attribuire alla saga Ubisoft un'affermazione del modello a mondo aperto liberamente esplorabile sia orizzontalmente che verticalmente, mentre al franchise EA una rinnovata importanza in termini di fluidità di movimento, animazioni e accuratezza (assicurata principalmente dalla visuale in prima persona). Due prospettive diverse, ma destinate a convergere durante il secondo decennio del XXI secolo.

Oltre il presente

Il percorso che ha vissuto il parkour all'interno del mondo videoludico nell'ultimo decennio è stato totalizzante, spaziando dall'inverosimile al (per lo più) simulativo. Passando anche per percorsi "alternativi" come i territori del mobile (con un titolo che non in molti si ricorderanno, ma che ha rappresentato una delle migliori esperienze del genere, Vector), la disciplina ha continuato a evolversi sia negli ambiti dei videogiochi in terza persona che in quelli in prima. Da una parte troviamo come nave ammiraglia sempre e comunque la saga di Assassin's Creed, la quale ha vissuto un'evoluzione del movimento che ha raggiunto il suo apice con Unity e Syndicate, per poi cadere in secondo piano nella più recente trilogia.

Proprio il capitolo francese era andato a ricercare e problematizzare le limitazioni che fino a quel momento avevano afflitto l'esplorazione nei videogiochi a mondo aperto, servendosi, tra l'altro, del territorio che ha visto la nascita del parkour come disciplina. Pur con alcune sbavature, lo spostamento all'interno della Parigi rivoluzionaria era e rimane estremamente soddisfacente, con anche un ritorno preponderante dei cosiddetti "vault" (ovvero i volteggi attuati per attraversare ostacoli non eccessivamente ostruenti), già introdotti in Assassin's Creed 3.

Parkour: le fonti d'ispirazione della disciplina si incontrano nuovamente all'interno di Sleeping Dogs
Parkour: le fonti d'ispirazione della disciplina si incontrano nuovamente all'interno di Sleeping Dogs

Ma non è solo la gallina dalle uova d'oro di Ubisoft a spingere verso una più fluida esplorazione ambientale. Se da un lato troviamo titoli come Watch Dogs (facente comunque parte della scuderia della casa di sviluppo francese), che con il secondo capitolo sembrava aver preso la piega del free running inteso come variante spettacolarizzata del parkour "classico", dall'altro troviamo piccole, raggianti comete come Sleeping Dogs, con i suoi inseguimenti al cardiopalma. Gli esempi sono troppi per poterli citare tutti, quindi, prima di suonare ridondanti, ci spostiamo, invece, nel mondo della soggettiva.

Da Mirror's Edge di acqua sotto i ponti ne è passata parecchia. Dopo quell'esperimento (e altri centinaia che portavano la verticalità all'interno delle possibilità di esplorazione e approccio alla mappa nei giochi in prima persona), l'industria ha proposto diverse implementazioni interessanti delle meccaniche di parkour all'interno dei suoi prodotti.

Parkour: libertà di movimento e competizione adrenalinica fanno squadra in sparatutto come Brink
Parkour: libertà di movimento e competizione adrenalinica fanno squadra in sparatutto come Brink

Una costante di queste tipologie di videogiochi sembra essere l'azione sfrenata unita alla leggerezza dei movimenti. Partendo da titoli come Brink e Titanfall, fino ad arrivare a giochi come Ghostrunner e Dying Light, è evidente come il filo conduttore sia quello dello scontro, corpo a corpo o a fuoco che sia. Il parkour sembra aver trovato nell'immersività e nella precisione dell'interazione in prima persona un potente alleato.

Il quadro venutosi a comporre sembra chiaro: se la terza persona fornisce delle animazioni più dettagliate e spettacolari, la prima persona propone un grado d'identificazione e accuratezza che difficilmente è possibile ricreare in differenti contesti virtuali.

Parkour: la disciplina ha raggiunto un livello di popolarità tale da permettere al suo 'fondatore', David Belle, di apparire come personaggio non giocante in Dying Light 2
Parkour: la disciplina ha raggiunto un livello di popolarità tale da permettere al suo "fondatore", David Belle, di apparire come personaggio non giocante in Dying Light 2

Attraverso sistemi di movimento sempre più rifiniti e complessi, ormai abbiamo raggiunto dei livelli di verosimiglianza decisamente impensabili solo una ventina di anni fa. Certo, ancora siamo lontani da un'effettiva concatenazione di azioni tale da poter effettivamente asserire che ci troviamo dinanzi alla perfezione dell'interazione ambientale virtuale. I più scettici potrebbero perfino dire che non usciremo mai da questa impasse tecnologica, in quanto è altamente improbabile riuscire a eliminare lo "stacco" tra un'azione e l'altra senza precludere una completa e reattiva capacità di movimento al giocatore che interagisce con il prodotto videoludico. Tuttavia, considerando che ciò che oggi sembra una banalità, solo qualche anno fa sembrava impossibile da realizzare, ci sentiamo di dare fiducia ai futuri sviluppi del medium, ora più che mai sotto l'attenzione di un pubblico mondiale, anche grazie, va detto, alla libertà suggeritagli dall'ideologia al tempo romantica e brutalista che alimenta il sempre cangiante percorso tracciato dal parkour.

Questa a grandi linee la storia del parkour nei videogiochi. Voi ricordate qualche altro intervento videoludico che, magari, ha segnato la vostra esperienza come giocatori? Fatecelo sapere nei commenti.