62

Persona 3 Reload e il decennio perduto di una generazione senza futuro

Uno spaccato della storia moderna giapponese in uno dei JRPG più importanti della sua epoca.

SPECIALE di Fabio Di Felice   —   02/01/2025
Il protagonista di Persona 3: Reload impugna il suo Evoker
Persona 3 Reload
Persona 3 Reload
Articoli News Video Immagini

La chiamano Sindrome dell'apatia. Colpisce i giovani adulti e li svuota di ogni emozione. Li trovi buttati per terra, in strada, come rifiuti. Se ti avvicini, non spiccicano una parola. Guardano il vuoto. Una generazione perduta che, negli occhi spenti, sogna un mondo diverso. Virtuale, forse. Un mondo che non esiste. Ne soffre chi non riesce a rifugiarsi nell'alcova accogliente della società, chi non si conforma, chi durante l'Ora Oscura non trova il conforto dell'ignoranza. È il grande mistero che anima Persona 3, anche nella sua recente incarnazione Persona 3: Reload. Un mucchio di adolescenti e adulti ormai perduti.

Pur essendo ambientato in un mondo di fantasia, Persona 3 è profondamente immerso nella storia e nella cultura giapponese. Attraverso metafore raffinate e allegorie piuttosto esplicite, la saga ha sempre puntato il dito con coraggio sulle derive di una società dove vige il detto: deru kui wa utareru, il chiodo che sporge verrà martellato. Questa massima può essere intesa in due modi, entrambi però rimandano a una certa difficoltà dell'individuo di spiccare sulla collettività: il tuo percorso sarà difficile se ti distingui dagli altri, e la società farà di tutto per martellarti e rimetterti in riga.

Un'immagine di Persona 3 The Movie che illustra i sintomi della Sindrome dell'apatia
Un'immagine di Persona 3 The Movie che illustra i sintomi della Sindrome dell'apatia

Nel suo raccontare una generazione perduta, Persona 3 affonda le radici in uno dei momenti più difficili della storia giapponese moderna, quello che ha esacerbato i cosiddetti wakamono mondai, i problemi giovanili. Molti di essi sono poi con il tempo diventati vere e proprie subculture, come quella degli otaku, o fenomeni globali, come quello degli hikikomori. L'origine è quello che in Giappone definiscono Ushinawareta Jūnen, il decennio perduto, il peggior momento di stagnazione economica giapponese, lo stesso che ha generato un altissimo livello di sfiducia nel futuro in un'intera generazione di ragazzi.

Baboru Keiki, la bolla che esplode

È il destino di una bolla, quello di scoppiare. Una sorte scritta nella sua stessa definizione. La baboru keiki, la bolla speculativa che anima l'economia giapponese sul finire degli anni '80, non fa eccezione. L'apprezzamento dello yen e la concessione di prestiti a basso tasso d'interesse spingono le imprese a speculare sul mercato azionario e immobiliare. Abbiamo imparato a conoscerla anche nei videogiochi: è uno dei pilastri su cui si fonda la storia di Yakuza 0.

La sua esplosione nel 1991, la conseguente perdita di valore degli immobili, l'aumento improvviso dei tassi d'interesse delle banche e l'impossibilità delle imprese di sanare debiti immensi, che non venivano coperti nemmeno con il pignoramento delle proprietà dal momento che queste ultime avevano perso valore, crea un vero e proprio buco finanziario. I giapponesi, con un bel po' di ottimismo, chiamano "decennio perduto" quello che va dal 1990 al 2000, salvo poi correggersi in corsa e allungare la crisi. L'Ushinawareta Nijūnen, il ventennio perduto, si estende fino a inglobare la crisi finanziaria mondiale del 2008. Improvvisamente, il boom economico giapponese, che aveva portato in fretta il paese a diventare una delle più grandi potenze economiche al mondo, svanisce. Prima della crisi otto su dieci delle maggiori banche mondiali erano giapponesi; il 60% dell'intero mercato azionario veniva scambiato alla borsa di Tokyo. Dopo, il gap economico tra le diverse generazioni di giapponesi diviene incolmabile.

Japan Sinks

Ci sono però anche altri avvenimenti che gettano nello sconforto la gioventù nipponica. Il primo, e il più distruttivo, è il grande terremoto di Hanshin, che colpisce soprattutto la cittadina di Kobe. Oggi Kobe è famosa per la carne di manzo che esporta nel mondo; è una cittadina vivace, molto turistica. Prima del terremoto era il principale porto del Paese, ma non si riprenderà mai dal colpo inferto dalla calamità naturale.

Le terribili immagini del terremoto di Kobe del 1995
Le terribili immagini del terremoto di Kobe del 1995

Il terremoto che colpisce Kobe il 7 gennaio del 1995 viene classificato come un 7 nella scala di intensità sismica Shindo, ovvero il massimo in assoluto del grado di scuotimento secondo l'Agenzia Meteorologica Giapponese. I suoi numeri sono semplicemente spaventosi: rade al suolo 200.000 abitazioni (tra queste gli studi di Konami dove si sta lavorando al primo Metal Gear Solid), provoca quasi 7.000 vittime e causa la più grande perdita nella storia della borsa di Tokyo, con l'indice Nikkei 225 che perde oltre 1.000 punti solo nel giorno della scossa. I danni ammontano a 102,5 miliardi di dollari, pari al 2,5% del PIL del Paese. E soprattutto provoca un'immensa ondata di sfiducia verso il Giappone, che fino a questo momento è sempre stato considerato all'avanguardia nella gestione dei cataclismi naturali.

Infine, ad animare questi anni di diffidenza e di metamorfosi, ci sono il postmodernismo e la globalizzazione. Il Giappone è un paese che ha avuto un'epoca moderna eccezionalmente breve: dal dopoguerra ha vissuto un'intensa trasformazione e, quando l'Occidente vive la crisi della grande narrazione, con il postmodernismo che mette in discussione la sua identità, il Giappone appare già come un paese postmoderno. La scissione tra la gioventù e la popolazione più anziana è già in atto: i giovani sono alle prese con la tensione delle idee globali di libertà e auto espressione in un ambiente conservatore pieno di pressioni sociali.

Fuuka è vittima di ijime, bullismo, un problema molto sentito dai ragazzi giapponesi
Fuuka è vittima di ijime, bullismo, un problema molto sentito dai ragazzi giapponesi

Sono proprio questi i giovani "da martellare", quelli che combattono contro il concetto di conformismo. Quelli che la società comincia a considerare devianti. Li chiamano wakamono mondai, ovvero problemi giovanili. Sono gli hikikomori, ma anche gli otaku che preferiscono i loro mondi virtuali e senza regole, le enjo kōsai, le minorenni che si intrattengono per soldi con gli adulti, e i niito, ovvero i giovani che, presi dallo sconforto, decidono di non studiare né lavorare, scivolando nell'apatia.

Coloro che non possono essere salvati

Eccola, la generazione perduta. È quella che ha perso la possibilità di rientrare nei gangli di una società dove un errore del percorso può compromettere per sempre le tue possibilità di carriera. È composta da coloro che hanno deciso di isolarsi, in sé stessi o nelle loro case, all'interno dei mondi virtuali o della fiction. Questi sono infatti gli anni in cui la subcultura degli otaku esplode, non solo a livello nazionale, con opere come Neon Genesis Evangelion che, nonostante il messaggio finale di apertura verso il mondo, provoca quasi una reazione inversa di maggiore escapismo all'interno della fantasia.

Shinji Ikari, il protagonista di Neon Genesis Evangelion, è l'emblema della sua generazione e dell'apatia che la contraddistingue
Shinji Ikari, il protagonista di Neon Genesis Evangelion, è l'emblema della sua generazione e dell'apatia che la contraddistingue

C'è un modo di dire giapponese, l'ennesimo, che descrive questa generazione: shikata ga nai, letteralmente: non può essere fatto nulla, non possono essere salvati. La pressione sociale di appartenere a un sistema che non offre più le stesse opportunità di prima porta queste persone a una vera e propria paralisi emotiva. Una generazione che cresce guardando i propri genitori far parte di un sistema stabile e prospero, solo per poi far fronte a una realtà dove il duro lavoro non garantisce più il successo.

Uscito originariamente nel 2006, Persona 3 si inserisce perfettamente nel ventennio perduto. Quella giapponese è una gioventù ancora in transizione, che oltre alle difficoltà universali di un'età complessa come l'adolescenza, affronta anche un contesto sociale tutt'altro che facile. Questo tema è centrale negli ultimi capitoli della serie Persona, dove i social link offrono un sistema per costruire e migliorare le proprie abilità sociali, rappresentando una metafora del grado di inserimento nella società. È un approccio iper-produttivo, dove le giornate dei protagonisti diventano routine volte a massimizzare specifiche caratteristiche personali.

Il rapporto con Maya inizia nel virtuale: due ragazzi che decidono di rifugiarsi in un mondo alternativo
Il rapporto con Maya inizia nel virtuale: due ragazzi che decidono di rifugiarsi in un mondo alternativo

In Persona 3 seguiamo la storia di uno studente che deve lottare per uscire dal suo guscio e, in qualche modo, fungere da guida per gli altri personaggi, che rappresentano ciascuno una lente attraverso cui esplorare le pressioni sociali giapponesi: il dovere e la responsabilità, l'insicurezza, il crollo delle strutture familiari, l'ossessione per il miglioramento personale, ma anche le derive dell'ijime, il bullismo, e il fenomeno sociale degli hikikomori. Ma è soprattutto la lotta contro l'apatia generazionale a fare da sfondo alla narrazione di Persona 3.

L’ora buia

Il videogioco di ATLUS esplora il tentativo di ribellarsi alle ombre metaforiche che hanno paralizzato un'intera generazione. Nel titolo, queste nascono da un esperimento fallito avvenuto (non a caso) dieci anni prima, negli anni '90, e che ha creato un buco, uno spazio in cui le paure prosperano, alimentando la sfiducia e la perdita di stimoli, specialmente nei giovani. La scuola, che è un luogo centrale per la preparazione alla vita adulta, si trasforma durante l'Ora Buia in un dungeon chiamato Tartaro, abitato dalle stesse ombre. Nella mitologia, il Tartaro è un luogo situato ancora più in basso dell'inferno; in Persona 3 la scuola è il posto dove si fanno "le prove" per il vero contesto sociale, è qui che si manifestano ansie e paure legate al futuro. È qui che, secondo la rigida società giapponese, si intraprende il percorso che ti porterà verso una carriera proficua. La scuola è il centro nevralgico dell'esistenza dei ragazzi, ma lo è anche il "fuori," il rapporto con gli altri, spesso diversi per età, estrazione, pensiero. Raggiungere gli altri diventa fondamentale per cercare di non cadere nell'apatia.

È attraverso la paura della morte che i protagonisti di Persona 3 Reload sfuggono all'apatia?
È attraverso la paura della morte che i protagonisti di Persona 3 Reload sfuggono all'apatia?

Forse è l'evoker, simbolo potente e controverso, l'elemento che colpisce di più della lotta contro l'apatia in Persona 3. Una vera e propria arma da fuoco, una pistola che i protagonisti puntano alla propria testa per poi far fuoco e risvegliare il loro potere sopito. Questo gesto, provocatorio e carico di significato, tocca l'ultimo grande tabù della società giapponese: il suicidio. L'atto simbolico di premere il grilletto sembra suggerire che solo affrontando le proprie paure più profonde si può superare l'apatia e riscoprire un senso nella vita. Se l'apatia è una condizione di annullamento totale, allora solo la paura più forte, quella della morte, può risvegliare il potenziale nascosto dei protagonisti. È un po' come se il gioco volesse ribellarsi a quel detto spietato, shikata ga nai, non possono essere salvati. Persona 3 propone, invece, una possibilità di resistere attraverso la costruzione di una comunità solida, caritatevole, pronta ad aiutarti. È una visione che si allinea alla prospettiva profondamente giapponese del singolo che si annienta per il bene della collettività. Resta però il modo di spezzare un ciclo di isolamento, di uscire dall'individualismo che caratterizza la generazione perduta, per vivere anche attraverso gli altri.