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I Bar, le nostre sale giochi

Altro che cabinati extralusso, Outrun si giocava tra le schedine del Totocalcio, Street Fighetr tra pacchetti di MS e Fernet...

SPECIALE di Francesco Serino   —   31/01/2025
Una sala giochi con dei cabinati

Quanto siano cambiati i videogiochi e il loro ruolo all'interno della società, si può notare anche sbirciando all'interno dei bar. Il primo marchingegno elettronico a varcare la soglia di questi luoghi penso sia stato il Juke Box e prima di allora era solo biliardo, carte e calcio balilla. Poi fu la volta dei flipper americani che portarono un po' di sding e sdang tra caffè, Fernet e lieviti, spianando la strada al definitivo sbarco dei videogiochi a fare da sfondo a colazioni e aperitivi per un'intera, fulgida decade.

Palestre videoludiche

Se amavi i videogiochi, e probabilmente tra gli ottanta e i novanta era così, non potevi non ficcanasare all'interno di ogni bar in cui ti imbattevi. La maggior parte di essi nascondeva al loro interno quello che solitamente era un cabinato solitario, solitamente un po' in disparte, oltre l'immancabile frigo dei gelati sempre sommerso dai quotidiani sfogliati fino alla pagina dei cinema. C'erano le sale giochi ma non in ogni angolo come invece trovavi i bar, dove certo non c'erano i cabinati più all'avanguardia ma potevi comunque divertirti con giochi che a casa ti sognavi. Suona incredibile oggi, ma spesso era nei bar che trovavi la grafica migliore, il gioco che avresti sognato per mesi di veder girare sulla tua console.

Quanti di voi hanno conosciuto questi tre individui tra le schedine del totocalcio?
Quanti di voi hanno conosciuto questi tre individui tra le schedine del totocalcio?

Migliaia di appassionati hanno conosciuto Street Fighter 2 non attraverso schermi deluxe e manopole di titanio ma stretti tra i cartoni del latte e telefoni a gettoni; migliaia di appassionati si sono trasformati in Cody, Guy e Haggar di Final Fight tra le ultime schedine giocate prima delle partite della domenica, tra gli effluvi delle sigarette del cavallaro ingiallito oramai sfondo perenne, mosca da bancone. L'insegna del bar non era importante, quasi tutti erano chiamati col cognome del proprietario. Nelle giornate estive più sfilacciate ogni tanto si andava anche in tour, attraversando a piedi i quartieri per raggiungere quel bar che, si mormorava, aveva messo un gioco tanto bello quanto mai visto prima.

Il tour dei bar

Poi c'erano i bar con la saletta annessa, un vero e proprio tesoro di cabinati e muffa che ai tempi ci apparivano come un centro di controllo tecnico avanzato della CIA. Gli immancabili erano Tetris e Pang, se eri fortunato Rampage e Wonderboy, nei pressi della città militare che all'epoca brulicava di giovani alle prese con la leva, era facile imbattersi negli erotici Poker Ladies e Gal's Panic che era, e resta, un grandissimo gioco. Di videogiochi se ne trovavano anche nei bar dei paesi più piccoli, pronti ad accogliere la marmaglia estiva con questi voluminosi cabinati che nulla avevano da spartire con la maggior parte della popolazione. Ottuagenari rosolati dai campi, donnone col cesto in testa che all'ombra del campanile venivano travolti da ipnotiche musiche midi di provenienza giapponese, e chissà cosa diavolo pensavano.

Schedine e videogiochi, che strano mix!
Schedine e videogiochi, che strano mix!

E c'erano già i Ricchi e Poveri che ricordo nel televisore del bar a cantare in una Domenica In, perché c'era già Domenica In, mentre ci divertivamo con WWF Superstars dopo una giornata campale, skateboard poggiati in un angolo, Reebook Pump gonfiate il giusto. Altro che circolo nerd: il bar ti metteva a stretto contatto con gente che non avresti mai frequentato, sicuramente qualche bullo di troppo. Ma questo era il mondo dei videogiochi, o almeno lo è stato in Italia per una decina di anni perché poi le cose cambiarono e molto, molto velocemente. Di quei bar ne sono rimasti parecchi, e ammetto che con la scusa di un caffè qualche volta ci entro immaginando che nulla sia cambiato. In uno di questi, sul muro, sono persino riuscito a notare l'alone di diverso colore lasciato dai cabinati dell'epoca, perché alcuni di questi posti non sono cambiati per niente solo che flipper e cabinati hanno lasciato il posto ai videopoker, o ancora peggio a un vuoto che a vederlo fa male al cuore.

Spazi vuoti

L'unione tra bar e videogiochi era così forte che ancora oggi l'odore di caffè e lieviti mi riporta a determinati titoli, per esempio Super Volley della Video System anche in versione cyborg, Double Dragon e Dragon Ninja, ma questi sono solo i primi di una lista in realtà lunghissima. Se andavo in un quartiere nuovo, era proprio davanti ai cabinati dei bar che probabilmente avrei incontrato qualche coetaneo con i miei stessi interessi.

Altri bar negli anni hanno sostituito la finta radica arancione con futuristici banconi laccati di bianco, posizionato faretti ovunque per illuminare la musica lounge e i prestampati disponibili a ogni ora; il barista ha la barba fatta ed è un loquace bilingue, su richiesta vengono servite centrifughe e frullati energizzanti e tutto è pulito, tutto è a norma. Ma la sensazione, almeno per chi è vittima di certi ricordi, è che manchi sempre qualcosa: non una pianta, non l'ennesimo frigo per powerdrink, né altro. Mancano i videogiochi, e quei ragazzacci dalle ginocchia sbertucciate col naso a un palmo dallo schermo che sbraitano e s'arruffano per mosse che non entrano, e vite conservate miracolosamente fino all'ultimo.

Ho smesso di comprare Tekken da tempo, ma se me lo trovassi in un bar due monete da cinquanta ce le spenderei volentieri
Ho smesso di comprare Tekken da tempo, ma se me lo trovassi in un bar due monete da cinquanta ce le spenderei volentieri

Che poi non c'erano solo loro, di tanto in tanto ci vedevi pure qualche personaggio più grande. Nel mio bar c'erano due gemelli decisamente attempati che se li beccavi a giocare, potevi anche ripassare il giorno dopo. Erano pure bravi sti maledetti gemelli, completisti a tutti gli effetti visto che ogni gioco volevano finirlo e strafinirlo. Erano videogiocatori senza sapere di esserlo, senza spillette o trenta platini ad accettarlo; lasciavano il loro nome in classifica, solo tre lettere, e tanto gli bastava. Al di là della nostalgia, è incredibile come un'usanza tanto comune sia divenuta oggi così aliena, pensateci: se oggi un quindicenne entrando in un bar vedesse un cabinato di Tekken 8, farebbe la stessa faccia che farei io davanti a un calamaro abbandonato a terra nei camerini di Zara.

Io però 50cent ce li metterei dentro, e tu?