C'è questo luogo comune, da che ne abbiamo memoria, per cui l'acronimo MMORPG - che significa Massively Multiplayer Online Role Playing Game - identificherebbe essenzialmente non tanto quei titoli in cui si può o si deve interagire con gli altri giocatori, quanto quei mondi in cui ci si rischia di perdere per sempre, di sprofondare letteralmente in un vortice di statistiche, oggetti, boss e missioni secondarie. Quante volte avete letto o sentito dire: "Eh, mi piacerebbe giocarci, ma ci vuole troppo tempo..." oppure "Ah, una volta ci giocavo, ma non riuscivo a fare altro"? È tutto assolutamente vero, o meglio lo era quando i MMORPG appartenevano a un'altra generazione più sperimentale.
Lasciamo stare tutti i discorsi sul free-to-play, le sottoscrizioni e così via: il punto non è questo. Il punto è che, sì, i MMORPG erano e sono ancora esperienze in cui si finisce a giocare per centinaia e centinaia di ore, ma il modo e le motivazioni sono cambiati e, stranamente, uno degli esempi più eclatanti oggi è proprio il re dei MMO, World of Warcraft, che in un certo senso ha alimentato il luogo comune.
A un paio di mesi dall'uscita dell'espansione Dragonflight e in occasione dell'aggiornamento 10.0.5, ci siamo trovati davanti alla nuova funzionalità di gioco, l'Emporio, a riflettere su come il colossal Blizzard sia profondamente cambiato, ma anche su come questa battaglia contro i luoghi comuni sia ancora lunga e piena di ostacoli.
La deriva casual di Dragonflight
Sebbene sia andato online solo per finire in manutenzione, l'Emporio è arrivato su World of Warcraft con l'aggiornamento 10.0.5: si tratta di una nuova funzionalità che si spiega veramente in poche righe. L'Emporio (lo trovate a Roccavanto e a Orgrimmar) è un chioschetto che propone, in un'interfaccia raffinata, una serie di collezionabili da acquistare con una nuova valuta: la Moneta del Mercante. Una certa quantità di questa valuta sarà assegnata ai giocatori con la sottoscrizione attiva il primo giorno di ogni mese, quando si rinnoverà anche l'inventario nell'Emporio: la rotazione mensile non escluderà per sempre i collezionabili sostituiti, che torneranno poi disponibili in futuro. I giocatori potranno guadagnare altre Monete del Mercante raggiungendo gli obiettivi elencati nel Diario del Viaggiatore, una nuova sezione della Guida alle Avventure, e raggiungendo un certo numero di obiettivi si otterrà pure una ricompensa speciale.
Gli obiettivi proposti nel Diario interessano ogni tipo di contenuto: spedizioni, incursioni, PvP, artigianato, combattimenti tra mascotte, eccetera. E la cosa più interessante - o irrilevante, questo dipende da voi - è che nell'Emporio non c'è assolutamente niente che influenzi il gameplay: i collezionabili sono tutti di tipo cosmetico, come accessori per la trasmogrificazione, cavalcature e mascotte.
Per un giocatore di lunga data, che ha passato ore a farmare nelle prime espansioni, o che ripete e ripete e ripete la stessa spedizione o incursione per un'arma o un cimelio, l'Emporio è la cosa più lontana possibile dallo spirito di World of Warcraft per come ci ha abituati Blizzard. Avvicina il MMORPG più famoso del mondo ai titoli free-to-play, in cui i cosmetici si pagano con i soldi reali, o richiedono talmente tanto impegno nel gioco che strisciare la carta di credito diventa una soluzione paradossalmente più economica (come a dire, il tempo è denaro).
Il fatto è che nell'Emporio di WoW non c'è niente che si paghi coi soldi reali, e per assurdo Blizzard intende inserire nella rotazione mensile anche certe cavalcature o mascotte che sono state a pagamento sul negozio di BattleNet per anni. È una soluzione inverosimile, se pensiamo al fatto che stiamo parlando della stessa compagnia che ha monetizzato il suo Overwatch 2 con un discutibile Pass Battaglia.
Ora bisogna capire che la parte "casual" sta proprio nel fatto che molti di questi collezionabili sono accessibili anche a chi ha appena cominciato a giocare e non è necessario essere di massimo livello e vestiti completamente di viola per poter mettere le mani sulle Monete del Mercante. Senza contare che, molto spesso, chi s'interessa ai contenuti di massimo livello è anche storicamente meno interessato alla parte casual o collezionabile, soprattutto perché di casual nell'endgame di WoW - e di qualunque altro MMORPG - non c'è assolutamente nulla. Ovviamente ci sono casi e casi, ma generalmente parlando, la comunità "hardcore" di WoW preferisce dedicare il tempo ad alzare il punteggio nelle Mitiche+ che a giocare a Gira la moda edizione Azeroth.
Tuttavia, questa bizzarra deriva casual non dovrebbe stupire chi gioca Dragonflight con una certa assiduità, perché l'ultima espansione di World of Warcraft, soprattutto se paragonata alla precedente, Shadowlands, ha ammiccato con forza proprio alla parte più smaliziata della comunità giocante. E così facendo, ha sostanzialmente trovato uno strano ma efficace equilibrio che non si vedeva da tantissimi anni.
C'è spazio per tutti
Una delle differenze più eclatanti nell'approccio continuativo tra Dragonflight e Shadowlands sta proprio nel modo in cui Blizzard ha gestito la cosiddetta Fama nell'ultima espansione: se in Shadowlands aumentare di Fama con le congreghe era praticamente obbligatorio in termini di gameplay, soprattutto in ottica endgame, tra Vincoli dell'anima, missioni secondarie e altri bonus che influenzavano la progressione, in Dragonflight la Fama serve essenzialmente a collezionare mascotte e costumi, a cominciare nuove sottotrame che approfondiscono la nostra conoscenza delle Isole dei Draghi e delle loro culture, a sbloccare nuove missioni secondarie e modi migliori per completarle. Fondamentalmente un giocatore potrebbe arrivare al massimo livello e tuffarsi nell'endgame senza passare un solo minuto a mettere da parte la Fama: semplicemente non serve a migliorare il personaggio.
Il paradosso è che la Fama riempie il gioco di contenuti, e Blizzard ha dovuto pure rivedere la distribuzione nel tempo e nello spazio delle missioni giornaliere per evitare che i giocatori potessero esaurire le cose da fare in poco tempo. Il giocatore casual che "tiene famiglia" o lavora la sera e non può partecipare all'endgame tradizionale, fatto di ore e ore di tentativi sui boss con gente a caso o compagni di gilda, ha comunque tanti contenuti con cui sbizzarrirsi, venendo premiato a ogni nuovo livello di Fama raggiunto.
Un'altra componente del gioco che Blizzard ha radicalmente riprogettato in ottica più casual è l'artigianato, ma anche lì c'è una doverosa distinzione da fare. Se in passato l'artigianato era profondamente passivo - ti mettevi lì, cliccavi un pulsante e guardavi un indicatore per tutta la durata della produzione - e relativamente utile, poiché alcune professioni erano nettamente migliori di altre, ora è molto più articolato e interattivo: forse non raggiunge gli inarrivabili livelli di complessità di Final Fantasy XIV, e sotto certi aspetti s'incarta pure su sé stesso, ma ha finalmente un senso sia sul piano del gameplay che su quello sociale.
L'introduzione del sistema di Ordini ha rivalutato la figura del giocatore artigiano, che diventa effettivamente famoso per la sua abilità, magari più unica che rara, nel fabbricare determinati oggetti a una certa qualità. Il suo nome gira, la gente lo cerca, ed ecco che magicamente al giocatore casual, che magari non ha mai messo piede in un'incursione, lo cercano anche quelli che in incursione ci passano così tanto tempo da non averne da dedicare all'artigianato.
L'artigianato in Dragonflight è un'esperienza molto diversa rispetto al passato, che richiede tempo e dedizione, ma che può essere approfondita anche da chi ha poco tempo da dedicare al gioco, e magari si diverte a giocare all'asta o a esplorare le quattro regioni delle Isole dei Draghi in cerca di materie prime con cui fare pratica e migliorare le sue competenze in questa o quella professione. Ancora un altro paradosso: per assurdo, un giocatore che può dedicare a WoW solo poche ore a settimana, può ipoteticamente incentrarle sull'artigianato e diventare, in quelle poche ore, molto ma molto più ricco del giocatore hardcore che lo stesso tempo lo trascorre nelle incursioni. E magari equipaggiarsi anche altrettanto bene.
Il ché non significa che al giocatore casual quei contenuti siano preclusi: la modalità Ricerca delle incursioni - che talvolta riesce a essere più frustrante di una modalità Eroica, provare per credere - serve proprio a far vedere anche quella parte del gioco a chi non può vivere la vita di gilda o dedicarsi regolarmente all'endgame.
Cambia WoW o cambiano i tempi?
Quando abbiamo intravisto i sempre più audaci "collezionabili" nelle dinamiche collaudate di World of Warcraft, ci siamo chiesti fino a che punto Blizzard intendesse spingere la componente casual tra cosmetici, giocattoli e mascotte. L'introduzione di innumerevoli tesori, cavalcature e collezionabili già in Shadowlands faceva pensare a un interesse nei confronti di quella parte dei giocatori che non si fa ossessionare dai numeretti e dalle performance, ma è chiaro che con Dragonflight si è voluto abbracciare un pubblico molto più vasto, senza però trascurare la progressione verticale che ha sempre caratterizzato questo tipo di esperienza. In questo senso, infatti, nulla è cambiato: l'Emporio, per dire, non ha rubato spazio ai contenuti endgame, alle Mitiche+ o al gameplay di alto livello, che anzi è sempre sotto scrutinio per garantire ai giocatori un'esperienza ottimale, come dimostra l'imminente rework del Paladino specializzato Castigo.
Blizzard sembrerebbe aver capito, insomma, che i tempi sono cambiati e che un approccio più spensierato potrebbe essere, forse, il modo migliore per prolungare il ciclo vitale di un titolo che è sul mercato da ormai 18 anni: ci rendiamo conto per primi, guardandoci intorno quando ci colleghiamo, che prima o poi anche i giocatori più irriducibili si fermano, chiudono con le incursioni e si dedicano alla vita privata, al lavoro o alla famiglia.
Sono quelli che non si perdevano un try contro Arthas in Wrath of the Lich King la sera prima di un esame o di un compito in classe e che oggi, più di dieci anni dopo, non possono giocare perché devono (vogliono?) guardare Rapunzel col pupo sul divano. In un certo senso, la nuova deriva più casual di World of Warcraft - che potrebbe essere solo temporanea, anche se non lo sembra affatto - sembrerebbe essere figlia di un cambio generazionale, più che di un cambio di mentalità al vertice, anche se tutti i rimpasti di Irvine degli ultimi tempi suggerirebbero sicuramente un approccio più moderato e meno... intransigente, per così dire, all'evoluzione di un gioco che ha rivoluzionato l'intero genere e che non potrebbe mai e poi mai sparire dalla scena come un free-to-play coreano qualunque.
Da questo punto di vista, Dragonflight rappresenta quasi un momento di rigenerazione per World of Warcraft, e siamo curiosi di scoprire se Blizzard riuscirà a mantenere questo slancio o se finirà per sprecarne l'ottimo potenziale nel giro di qualche aggiornamento. Ma soprattutto, abbiamo l'impressione che non si stia riuscendo a trasmettere in maniera efficace questo cambiamento filosofico: parliamo di WoW e continuiamo a leggere "Eh, mi piacerebbe giocarci, ma ci vuole troppo tempo..." oppure "Ah, una volta ci giocavo, ma non riuscivo a fare altro" e non possiamo biasimare chi guarda Azeroth con curiosità o nostalgia ma non vuole cadere in tentazione. Sorride e guarda avanti, cercando un nuovo gioco da installare sul PC o sulla console di turno, neanche fosse un amore finito amichevolmente. Alla fine, insomma, il gioco un po' è cambiato, ma forse siamo cambiati troppo noi.