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Caso Calenda, videogiochi e pregiudizi: solo una questione generazionale?

Negli ultimi giorni le dichiarazioni dell'ex ministro Calenda hanno scatenato un vespaio di polemiche sui social. Ripercorriamo l'intera vicenda con qualche considerazione a margine

NOTIZIA di Davide Spotti   —   05/11/2018

Nel fine settimana hanno fatto particolarmente discutere le frasi di Carlo Calenda, ex ministro dello sviluppo economico dei governi Renzi e Gentiloni, all'indirizzo dei videogiochi e di chi li usufruisce abitualmente. "Sarà forte ma io considero i giochi elettronici una delle cause dell'incapacità di leggere, giocare e sviluppare il ragionamento. In casa mia non entrano", ha scritto su Twitter nella giornata di sabato.

Ne è scaturita l'inevitabile polemica da social, che ha coinvolto semplici follower, addetti ai lavori, giornalisti di settore e appassionati di vecchia data. C'è chi ha osservato che non avrebbe molto senso mettersi a sindacare sulle scelte private di un padre di famiglia riguardo all'educazione da impartire ai propri figli. Tesi indubbiamente condivisibile, ma pur sempre fuori focus rispetto al punto su cui sembrerebbe soffermarsi la riflessione iniziale dell'On. Calenda, ovvero l'idea che fruire videogiochi sia generalmente e insindacabilmente un'attività che "causa l'incapacità di leggere, giocare, e sviluppare un ragionamento".

Checché se ne dica, la frase sembrerebbe esprimere un giudizio di portata generale, indipendente dalle pur legittime convinzioni personali sulla protezione dei più piccoli. Proprio perché l'On. Calenda è una figura di rilievo pubblico, per inciso in possesso di una pagina Twitter seguita da decine di migliaia di persone, sarebbe senz'altro stato più lungimirante - ma anche più costruttivo - avviare un dialogo sul tema provando a pesare con più attenzione le parole. Serve a poco la premessa iniziale "sarà forte", se il concetto che si vuole esprimere finisce per essere ingiustificatamente tagliato con l'accetta.

Se è vero, come è vero, che qualsiasi opinione debba considerarsi legittima e pienamente tutelata dal dettato costituzionale, crediamo anche che sarebbe il caso di sfatare una volta per tutte l'idea che tutti i pareri si equivalgano in autorevolezza. Senza la necessaria comprensione di una realtà complessa - peraltro in rapida e costante evoluzione - sarebbe caldamente preferibile astenersi dall'esprimere giudizi di valore, specie nel caso in cui essi non poggino su basi solide o magari siano dettati da forme di pregiudizio. Diremo di più: in un mondo ideale spetterebbe proprio a chi ricopre (o ha ricoperto) ruoli di prestigio - nella fattispecie incarichi di natura politica - dare l'esempio dimostrando per quanto possibile flessibilità mentale, apertura al dialogo e capacità critiche basate sull'analisi di dati oggettivi. In alternativa sarebbe pur sempre apprezzabile la facoltà di astenersi da immani figuracce.

Dopotutto il vero autogol messo a segno dall'ex ministro è proprio questo: aver deciso di esporsi pubblicamente su una materia complessa e così vasta, senza essersi preso la briga di analizzarla nei dettagli e di portare dati concreti a sostegno delle proprie tesi. Tra l'altro provate a pensarci: che senso avrebbe mettersi a dibattere sui social di un presunto analfabetismo che affliggerebbe i fruitori di videogiochi, se poi non ci si prende nemmeno la briga di suffragare le proprie affermazioni con argomentazioni circostanziate?

Nel caso specifico fa specie anche che un ex ministro dello sviluppo economico abbia dimostrato di sottovalutare con tale leggerezza le potenzialità di un settore che da anni muove volumi di denaro superiori a quelli di cinema e musica messi assieme. L'On. Calenda dovrebbe forse interrogarsi sui motivi per cui in Italia le istituzioni continuano a dimostrare una totale miopia nei confronti di un mercato che genera crescita e che in altri contesti rappresenta un indotto di rilievo. Senza andare a scomodare gli Stati Uniti o il Regno Unito, le realtà scandinave, la Germania o il Giappone, bisognerebbe chiedersi come mai abbiamo ancora così tanto da imparare da Paesi come la Polonia o la Romania (di certo non il traino dell'economia mondiale), che negli ultimi anni hanno dimostrato un vivo interesse nei confronti dell'industria dei videogiochi. Perché di questo non si parla?

Ps4 Pad

Peraltro nella giornata di ieri l'On. Calenda ha continuato a rispondere ai commenti degli utenti e, per quanto possibile, ha provato a correggere il senso delle proprie dichiarazioni iniziali, rimarcando di non aver mai voluto accusare la categoria dei videogiocatori nel suo complesso. "Francamente è una lettera che descrive una posizione che non ho preso", ha scritto in riferimento al testo pubblicato dal fondatore di Ovosonico, Massimo Guarini, sulle pagine del Corriere della Sera. "Non ho condannato un settore, che ho anzi finanziato al Mise, né condannato un mezzo, né giudicato le persone che lo usano. Ne ho sottolineato i rischi per i bambini. Non riconoscerlo è a mio avviso grave".

E poi ha proseguito: "Considero i videogiochi una delle cause della diminuzione della lettura nei bambini, ritengo che soprattutto nelle famiglie più fragili vengano usati come intrattenimento unico per i bambini. Non vuol dire che chi usa un videogioco è un cretino".

Ora, partendo dal presupposto che la frase che abbiamo riportato in apertura non ci sembra prestarsi a interpretazioni difformi da quelle che gli sono state attribuite da chi vi sta scrivendo, da Guarini o da qualsiasi altra persona del settore che abbia preso una posizione in merito nelle ultime 48 ore, seppur consci che Twitter non sia propriamente il luogo più adatto per trattare tematiche complesse in modo analitico, l'ex ministro farebbe bene a riflettere sulle contraddizioni che emergono, ancora una volta, dalle sue parole.

In uno degli ultimi tweet scrive: "Dipende da tanti fattori. Quanto è solida la famiglia nel proporre anche alternative, quanto il bambino/ragazzo abbia un approccio compulsivo etc. Dunque vanno gestiti con grandissima cautela quando si parla di bambini. Mi sembra così ovvio". Ci perdonerà l'On. Calenda, ma a noi sembra più ovvio il rischio di scadere di nuovo in valutazioni approssimative, basate più su considerazioni di natura personale (o dovremmo forse dire generazionale?), ma soprattutto senza prendersi la briga di citare fonti e senza suffragare le proprie argomentazioni con dati scientifici. Per carità, gli studi sugli effetti dei videogiochi esistono già da qualche anno a questa parte, ma sono anche ben lungi dall'essersi uniformati in una direzione piuttosto che in un'altra, a maggior ragione sul tema dei minori. Qui, qui e qui altri riferimenti.

Gaming

A nostro modesto parere l'approccio dell'On. Calenda sarebbe stato tollerabile su un profilo utilizzato a scopi esclusivamente privati. Ci riesce difficile trovare giustificazioni se l'account viene di norma usato per discutere pubblicamente di politica, istituzioni o economia. In assenza di questa semplice ma pur sempre rilevante distinzione concettuale, sembra davvero che un ex ministro dello sviluppo economico voglia ridurre il settore più ricco e avanzato dell'intrattenimento a un fenomeno riconducibile all'educazione dei propri figli tra le mura domestiche. Ed è evidente che non possa partire un confronto costruttivo da queste premesse, ci pare ovvio.

Nel frattempo però sorge anche un altro interrogativo. Le tesi propugnate dall'On. Calenda non potrebbero forse considerarsi ugualmente valide, tout court, per qualsiasi altro ambito legato alla formazione dell'individuo? O davvero vogliamo raccontarci che lasciare i propri figli in balìa di programmi televisivi spazzatura o fuori target, accesso indiscriminato a siti internet e uso compulsivo di strumenti come gli smartphone possa considerarsi comunemente salutare ai fini del corretto sviluppo psicofisico dei bambini?

Ecco, forse allora l'On. Calenda farebbe bene a decidere una volta per tutte come porsi in rapporto a questo argomento. E qualora volesse continuare ad occuparsi della faccenda attraverso il suo profilo "istituzionale", dovrebbe evidentemente prendersi la briga anche di ampliare il proprio campo di valutazione ai metodi di fruizione di tutti quanti i media, al ruolo della famiglia come guida informata sui contenuti, inclusa la necessità di diversificazione delle attività di svago dei più giovani. Un approccio che, tra l'altro, non escluderebbe a priori l'eventualità che i più piccoli fruiscano videogiochi adatti al loro target, in maniera sana e controllata. Basta volerlo.