Il sospetto c'era ovviamente da tempo, ma ora ci sono anche le prove sul fatto che Facebook, Google e Oracle sappiano perfettamente se gli utenti guardano siti porno, con tanto di raccolta dati.
Uno studio portato avanti da ricercatori di Microsoft, Carnegie Mellon e Università della Pennsylvania ha esaminato ben 22.484 siti porno (sì, in effetti detto così fa un po' ridere) utilizzando dei tool per rilevare gli strumenti di tracciamento utilizzati da questi siti. In particolare, webXray è stato impiegato per effettuare il controllo, uno strumento in grado di far emergere i sistemi di tracciamento presenti nei siti e i dati che vengono raccolti nella navigazione. Praticamente la quasi totalità dei siti presi in esame cede i dati degli utenti a terzi: il 93% delle pagine analizzate effettua questa procedura e che gran parte di questi dati vengono raccolti da Google, Oracle e Facebook in percentuali piuttosto diverse ma spartendosi praticamente tutti i tracker.
In base ai dati dello studio, relativi al 2018, il 74% erano tracker riferiti a Google e associati, il 24% collegati a Oracle e il 10% a Facebook. Secondo quanto riferito, inoltre, nemmeno l'utilizzo della modalità incognito dei browser può tenere gli utenti al riparo da questo scambio di dati, visto che questo avviene comunque anche se non viene salvata la cronologia, dunque di fatto navigando sulla quasi totalità di siti porno si può stare sicuri che i nostri dati relativi all'utente e alla navigazione finiscano in mano a Google, Oracle e Facebook.
Sia Google che Facebook hanno comunque dichiarato che le informazioni raccolte non vengono utilizzate per creare profili di marketing: "Non autorizziamo pubblicità Google Ads su siti web con contenuti per adulti e proibiamo la pubblicità personalizzata e i profili pubblicitari basati sugli interessi sessuali di un utente o su attività correlate online", ha riferito un portavoce di Google a Business Insider, con affermazioni simili date anche dagli omologhi di Facebook. I tracker presenti sui siti porno possono essere utilizzati per raccogliere dati sul traffico, oppure per consentire le condivisioni su piattaforme social, ma il problema è che risulta difficile rilevare precisamente cosa venga fatto dei dati relativi agli utenti e il caso Cambridge Analytica, che ha portato alla più alta multa di sempre per un'azienda hi-tech da parte della FTC americana, ne è un esempio lampante.