Google ha accettato di pagare una multa da 3,8 milioni di dollari per risolvere un contenzioso legale riguardante accuse di discriminazione nell'assunzione e nel trattamento economico di alcune sue dipendenti in particolare, sia in base al sesso che alla provenienza geografica.
Le accuse, condotte dall'US Department of Labor, parlano di trattamenti discriminatori nella gestione del personale e nei compensi economici, avendo raccolto una buona quantità di prove a supporto della teoria e il fatto che Google abbia accettato di pagare la multa fa pensare che tali prove siano piuttosto evidenti.
Le indagini condotte dall'ufficio federale sui Contract Compliance Programs ha scoperto effettivamente delle disparità nel trattamento economico di alcuni dipendenti. In particolare, sembra che le dipendenti donne nel ruolo di software engineer presso gli uffici di Mountain View e Washington abbiano percepito sistematicamente dei salari più bassi rispetto a colleghi maschi di pari livello tra il 2014 e il 2017.
Dalle indagini è emerso anche che a software engineer femmine e dipendenti asiatici siano stati offerti contratti con salari più bassi nel corso dell'anno terminato il 31 agosto 2017. Il Department of Labor ha dunque annunciato che Google ha accettato di pagare la multa milionaria, una "piccola" somma per un gigante da oltre un bilione di dollari ma comunque significativa.
Questa sarà ripartita in 1,35 milioni di dollari per il ricalcolo dei compensi più interessi a 2.565 engineer femmine, ovvero circa 528 dollari ciascuna. Altri 1,23 milioni di dollari andranno con il medesimo sistema ai 1.757 soggetti tra dipendenti donne e asiatici/asiatiche che hanno subito il trattamento discriminatorio. Il restante 1,25 milioni di dollari verranno accantonati per aggiustamenti riguardanti il trattamento economico dei lavoratori per i prossimi 5 anni, in modo da assicurare una normalizzazione del trattamento per tutti.
La notizia arriva a stretto giro dopo l'altra cattiva notizia da parte di Google, riguardante la chiusura dei team interni di Stadia con la riorganizzazione del servizio esclusivamente come "piattaforma".