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Quanti danni sta facendo la guerra culturale al mondo dei videogiochi?

La guerra culturale dei videogiochi ha raggiunto dei livelli parossistici, lì dove ormai la polarizzazione si nutre di argomenti senza senso per giustificarsi.

NOTIZIA di Simone Tagliaferri   —   03/02/2025
Henry, il protagonista di Kingdom Come: Deliverance 2

Ultimamente il mondo dei videogiochi pare aver scoperto un nuovo e innovativo concetto di verosimiglianza storica, che viene applicato in modo creativo, cioè quando fa più comodo, solitamente per alimentare quella guerra culturale che sta facendo danni enormi all'industria, concentrata più nel doversi costantemente difendere dalle polemiche che nel fare giochi, che sempre più spesso vengono oscurati dalle stesse.

Danni collaterali

Abbiamo appena assistito all'ennesima battaglia contro Assassin's Creed Shadows, per la presenza di una lottatrice di sumo, in nome della storicità, dopo che si è dibattuto per mesi sulla definizione di samurai e se questa sia applicabile o meno a un personaggio storicamente confermato, di cui però non esiste una documentazione che ne attesti il ruolo vero e proprio nella società in cui ha vissuto parte della sua vita, ma si tralascia sempre di citare il fatto che è il protagonista del nuovo capitolo di una serie in cui si passa il tempo a correre sui tetti e in cui la storia è sempre stata usata in modo molto libero dagli autori.

Yasuke, il protagonista di Assassin's Creed Shadows
Yasuke, il protagonista di Assassin's Creed Shadows

Si intavolano discussioni feroci sulla presenza o meno di neri e gay nella Boemia medievale, con gli sviluppatori che devono diventare dei novelli Marc Bloch per dimostrare che l'omosessualità esisteva anche allora e che, per quanto la società fosse molto più chiusa di oggi, c'era comunque la possibilità di una presenza esterna, visto che gli scambi commerciali e le relazioni diplomatiche tra luoghi lontani non erano rarità come si suol pensare, ma si perde di vista il fatto che non esiste un mondo di gioco storicamente accurato come quello di Kingdom Come: Deliverance 2 in un gioco di ruolo, a prescindere da qualche dettaglio che potrebbe essere fuori posto.

Firaxis ha dovuto addirittura giustificare il fatto di aver chiesto una consulenza a dei nativi americani per rappresentare dei nativi americani, in un gioco in cui la cura dei tratti dei leader e delle civiltà è importantissima (Sid Meier's Civilization VII).

Insomma, si passa moltissimo tempo a cercare il particolare faccia attizzare le torce alle folle inferocite, appellandosi a concetti anche nobili come quello di verosimiglianza storica (quando applicato con criterio e consapevolezza) dimenticandosi completamente dei giochi e del loro valore, al di fuori delle polemiche strumentali che li riguardano.

Si urla "fuori la politica dei videogiochi", ma si fa politica con praticamente ogni videogioco di richiamo (perché aumenta l'esposizione, probabilmente), spesso per dei dettagli che qualche anno fa sarebbero passati inosservati o, più semplicemente, si sarebbero persi in mezzo a tutto il resto. Siamo in una strana epoca fatta di liste nere, di richieste di boicottaggio e di incapacità di discutere di qualsiasi argomento senza polarizzarsi, in cui l'estremismo di una parte si sente giustificato dall'estremismo dell'altra, in un gioco a rincorrersi verso il basso che appare sempre più dannoso, in un'industria sempre più fragile, che avrebbe bisogno di maggiore compattezza invece che di scontri continui.

Questo è un editoriale scritto da un membro della redazione e non è necessariamente rappresentativo della linea editoriale di Multiplayer.it.