Lorelei and the Laser Eyes non è un videogioco comune: è una produzione fuori dal tempo, un viaggio che richiede d'esser vissuto accompagnati da diversi fogli di carta e una penna, strumenti indispensabili per forzare la scatola degli enigmi messa in piedi dai creativi di Simogo al fine di riportare le lancette dell'orologio indietro di un paio di decadi. L'obiettivo dello studio svedese, almeno sul piano ludico, è infatti quello di rispolverare l'ispirazione dei survival horror dei tardi anni '90, rimuovendo qualsiasi forma di combattimento e raddoppiando sulle dinamiche mutuate dalle antiche avventure punta e clicca, al fine di trasformare anche gli istanti che si trascorrono lontano dallo schermo in importantissime appendici dell'esperienza, rendendo la lenta soluzione del grande puzzle interattivo un'ossessione pervasiva di ogni giornata.
Insomma, il nuovo titolo della fucina indipendente che ha dato i natali a opere come Sayonara Wild Hearts, Year Walk e Device 6 è quanto di più distante possa esistere dai binari del mercato di massa. Ma l'arte deve necessariamente sottostare alle regole del mercato? Deve per forza inseguire la ricchezza? Che cos'è davvero l'arte? E cosa significa, invece, essere artisti? Ironicamente sono proprio queste le domande che tingono di rosso i corridoi dell'Hotel Letztes Jahr in cui è ambientata l'avventura, teatro di metaforiche vicende interattive volenterose di rinchiudere lo spettatore - termine che non utilizziamo per caso - in un labirinto metafisico al centro del quale agguantare un tesoro inafferrabile: la verità. Una volta varcato quel cancello non c'è modo di tornare indietro: nella recensione di Lorelei and the Laser Eyes raccontiamo la spirale senza via d'uscita realizzata dagli artisti di Simogo.
Mano sugli occhi, tre dita alzate: la storia
Una giovane donna scende da un'automobile nel bel mezzo di un bosco dell'Europa centrale, poco distante da un imponente Hotel all'apparenza disabitato; nella borsetta che si porta appresso, la "Signorina" ha solamente lo stretto indispensabile fra cui l'enigmatica lettera d'invito firmata Renzo Nero - discusso regista italiano in procinto di girare il suo capolavoro - che l'ha convinta a raggiungere quel luogo dimenticato da dio. E questo è tutto: non c'è nessun'altra informazione, non si sa chi sia la donna, non si conosce il motivo della sua visita, mentre le coordinate temporali appaiono più che mai confuse. La trama di Lorelei and the Laser Eyes non si può raccontare né tanto meno riassumere a grandi linee perché coincide con l'anima stessa del progetto, è il motore che spinge a sondare ogni centimetro quadrato dell'albergo, trovando la sua essenza nel turbine di emozioni che scaturiscono dalla scoperta esattamente come accaduto sui lidi spaziali dell'Outer Wilds di Mobius Digital, ma anche in mezzo alle inquietanti nebbie di una serie culto come Silent Hill.
È un thriller investigativo, è la caccia a un antico tesoro perduto, è un viaggio psicologico che pone quesiti filosofici, è la storia di una donna misteriosa e della manciata di bizzarri comprimari che la circondano, e riesce a essere tutte queste cose in contemporanea, senza che una singola natura vada a prevalere sulle altre, quasi a ricordare la struttura frammentata del romanzo Casa di Foglie di Mark Z. Danielewski. Come una novella Arianna, la protagonista si troverà a inseguire diversi fili rossi nel grande labirinto del Letztes Jahr, raccogliendo scampoli di informazioni che si riveleranno più preziose di qualsiasi tesoro e che, oltre a regolare l'interezza della progressione, convergeranno tutte verso un unico centro. Dialoghi, documenti, lettere, locandine cinematografiche, articoli di giornale, persino videogiochi all'interno del videogioco, costituiscono le tessere di un intricato mosaico sul quale è impossibile maturare una visione d'insieme se non pochi istanti prima dello scorrere dei titoli di coda, quando il caos assume contorni chiari e netti che - purtroppo - lasciano giusto qualche sottile spiraglio per l'interpretazione.
Carta, penna e schermo: il gameplay
Tutto, ma proprio tutto nell'Hotel Letztes Jahr è un enigma: sono enigmi le scorciatoie, sono enigmi le mappe, è un enigma qualunque libro che si trova poggiato sugli scaffali delle stanze e lo sono anche le stanze stesse, così come l'ascensore fuori servizio, il telefono che siede nella reception e persino la macchinetta per fare il caffè. Lorelei and the Laser Eyes è un'esperienza in cui la progressione combacia con la comprensione: certo, spesso capita di dover raccogliere e aggiungere all'inventario chiavi o altri oggetti particolari, ma nella maggior parte dei casi basta l'intuizione di un istante o il riconoscimento di un singolo schema per spalancare all'improvviso dozzine di strade in precedenza inaccessibili. L'importante, in sostanza, non è tanto risolvere il puzzle di turno, ma capire il linguaggio che quel puzzle sta utilizzando per comunicare con l'utente.
Nella borsetta della protagonista c'è un libretto di istruzioni che mette subito le cose in chiaro: questo gioco richiede la conoscenza di sistemi presi dal vissuto - come la matematica, la logica, i sistemi di conteggio del tempo... - e soprattutto domanda di "giocare" anche fuori dal confine dello schermo. Carta e penna non sono dunque accessori opzionali, ma strumenti indispensabili al punto tale che i Simogo hanno asciugato ai minimi termini il sistema di controlli, consentendo di utilizzare una sola mano per destreggiarsi nei corridoi. L'esplorazione delle sale, nella maggior parte dei casi ancorata a un sistema di telecamere fisse, richiama da vicino le atmosfere dei survival horror degli anni '90: di fatto l'unica differenza strutturale rispetto a manieri ben più famosi è che qualsiasi dinamica d'azione è sostituita dalle interazioni con l'ambiente, mentre l'unica arma disponibile è il ragionamento.
L'Introspezione è dunque fondamentale, e non solo al di fuori del mondo virtuale: sostituendo il menù di pausa, questa meccanica consente di sfruttare la memoria fotografica della protagonista per avere a disposizione in qualsiasi momento tutti gli stralci d'informazione raccolti, essenziali per aprirsi un percorso attraverso gli strati di realtà attraverso cui si dipana la componente narrativa. Per quanto riguarda i puzzle, questi riescono a dimostrarsi quasi sempre impegnativi e intuitivi al tempo stesso, salvo nei casi in cui manca all'appello qualche tessera fondamentale: la progressione nella grande mappa aperta dell'Hotel adotta una struttura radiale, pertanto se capita di rimanere bloccati in una direzione è sufficiente imboccarne un'altra fino a trovare proprio l'oggetto o la chiave di decrittazione che tanto a lungo era sfuggita.
Le soluzioni degli enigmi sono spesso casuali o comunque generate proceduralmente, dunque per arrivare fino in fondo è possibile fare affidamento solo sulle proprie forze: a tal proposito, l'asticella generale della difficoltà si posiziona mediamente al di sopra degli standard del genere, tanto che gli stessi sviluppatori hanno dichiarato d'aspettarsi che solo una frazione minima del pubblico possa riuscire a portarlo a termine. Insomma, questo è Lorelei and the Laser Eyes: un viaggio attraverso un intricato labirinto che pone il giocatore dinanzi a rompicapi, crittogrammi e pattern ricorsivi che possono essere riconosciuti e spezzati attraverso singoli lampi d'ispirazione, al fine di ricomporre le briciole di verità che tratteggiano diverse vicende metafisiche... o forse brutalmente concrete.
Bianco, nero e rosso: arte e tecnica
Bianco, nero e pennellate di rosso: l'intera palette cromatica si esaurisce attorno a questi tre colori, utilizzati per dipingere personaggi e ambientazioni che definire ispirati sarebbe un eufemismo. A sorprendere è il grado d'attenzione riservato ai particolari, come per esempio i loghi delle corporazioni presenti nel mondo di gioco, le opere d'arte virtuali o le locandine cinematografiche anni '50, dettagli che arricchiscono uno sforzo artistico che semplicemente si presenta diverso da qualsiasi progetto in circolazione. La medesima cura investe l'intero comparto sonoro, tra pochi brani molto significativi e una pioggia di effetti che restano impressi nella memoria, ma soprattutto la scrittura, che viaggia tra dialoghi surreali, suggestioni filosofiche, meta-racconti, giornali fittizi e documenti ufficiali che riescono a celare informazioni essenziali senza mai volare troppo vicino al sole, fra l'altro tutti localizzati in maniera eccellente in italiano.
L'elemento più affascinante, tuttavia, risiede nella natura camaleontica dell'esperienza: la struttura di Lorelei and the Laser Eyes cambia di continuo e senza preavviso, trasformandosi in un videogioco low-poly in stile PlayStation ancorato a comandi tank, assumendo i connotati dell'avventura grafica vettoriale, giocando con le prospettive, stravolgendo le regole della telecamera o aprendo a segmenti da avventura testuale. Insomma, il concetto del labirinto insondabile arriva a oltrepassare il limite delle meccaniche di gioco per investire anche la messa in scena: l'effetto sorpresa la fa da padrone, esplorando i corridoi dell'albergo potrebbe accadere davvero di tutto, e forse l'unico spigolo risiede nel fatto che non tutte le variazioni sul tema siano perfettamente integrate nel tessuto narrativo.
Gli Occhi Laser
Ricapitolando, Lorelei and the Laser Eyes germoglia dallo scheletro dei survival horror primordiali e decide di sacrificare l'azione, prende ispirazione dai vecchi punta e clicca, premia enormemente chi si munisce di carta e penna, si gioca attraverso un singolo input oltre al movimento e tratta tematiche difficilmente vendibili: è quindi evidente che l'opera dei Simogo non sia pensata per soddisfare tutti i palati, anzi, si potrebbe discutere del fatto che non sia assolutamente pensata per soddisfare qualcuno. Semplicemente esiste, è un videogioco che gli sviluppatori hanno scelto di creare, e in quanto tale si rivelerà buono quanto lo sarà il suo pubblico.
Data la natura del progetto è molto difficile analizzarlo in maniera chiara ed esplicita senza guastare l'esperienza di gioco: esprimersi in maniera vaga è quasi un obbligo, perché ogni elemento si muove nell'ottica di trasformare la ventina di ore che costituiscono l'avventura in una ricerca ossessiva capace di lasciare immobili a riflettere davanti al monitor anche per svariati minuti, senza che si percepisca nemmeno per un secondo la sensazione di star sprecando tempo. La volontà di realizzare una grande opera d'arte e le implicazioni del viaggio dell'artista sono fra le poche costanti che accompagnano il fumoso peregrinare nell'albergo: che si tratti di un messaggio pensato per valicare il limite dello schermo? Di barriere l'opera dei Simogo riesce a infrangerne parecchie, soffrendo solamente un finale che si ferma a un passo dalla vicenda universale.
Conclusioni
Lorelei and the Laser Eyes è semplicemente Lorelei and the Laser Eyes: è difficile trovare altre parole per descrivere questo videogioco, perché rifugge qualsiasi genere diffuso o termine di paragone in favore della sua strana identità, che incarna la summa della produzione dei Simogo e forse proprio per questa ragione manca di un pizzico di universalità nell'intento. L'Hotel Letztes Jahr è un labirinto fuori dallo spazio e dal tempo che custodisce, al di là dei circa centocinquanta enigmi in cui è frammentato, un thriller investigativo, una ricerca simil Arturiana e una profonda riflessione sull'arte, incorniciando il tutto in uno stile estetico fuori di testa prima di intrappolare il giocatore in un'avventura che si rivela una vera e propria ossessione.
PRO
- Offre un'esperienza unica, non solo per gli amanti degli enigmi
- La ricerca di una soluzione al mistero narrativo diventa un'ossessione
- Puzzle complessi ma al tempo stesso sempre intuitivi
- Stile artistico, scrittura del mondo e sonoro fuori di testa
CONTRO
- Avrebbe potuto raccontare una storia universale ma sceglie di non farlo
- Barriera d'ingresso alta per chi non se la cava con crittogrammi e schemi logici