Dal momento che Once Upon a Katamari è una folle avventura a base di viaggi nel tempo, ne facciamo uno anche noi. In tre tappe. Torniamo indietro di una ventina di anni, a quando Keita Takahashi era un artista appena laureato alla Musashino Art University. Entrato in Namco, voleva presentare la sua idea per un videogioco in cui un esserino faceva rotolare una palla che diventava sempre più grande. Non era facile, però, scavalcare i paletti che esistevano tra un reparto e l'altro. Riuscì a farlo solo con la sua perseveranza e l'amore per la sua idea.
Poi, seconda tappa: viaggiamo ancora, fino a quando Katamari Damacy è uscito ed è diventato un successo, un cult istantaneo. È a questo punto che si è creata una frattura: da una parte Takahashi, che voleva passare a un altro videogioco, dall'altra Namco, che avrebbe voluto sfruttare il successo commerciale di Katamari. La Storia ci ha insegnato come sono andate le cose. Ultimo salto in avanti: Keita Takahashi ha appena lasciato Namco, stanco delle divergenze creative. È il 2010. Intraprenderà una carriera solista che lo porterà a To a T, il suo ultimo videogioco uscito proprio quest'anno. Il suo figlioccio, Katamari Damacy, invece, prospererà al punto da accumulare nel suo rotolare forsennato una quindicina di titoli, tra sequel, remake e remaster, prima di addormentarsi per un bel po' di tempo.
E finalmente arriviamo a oggi. Usciamo dalla capsula del tempo e ci troviamo davanti Once Upon a Katamari, il nuovo capitolo della serie dopo 14 anni di assenza. Un videogioco che, nella netta separazione con il suo autore principale, ha un compito tutt'altro che semplice: inventare qualcosa che arricchisca una formula già in nuce semplice e perfetta. Un esserino celestiale che spinge un'enorme palla, un Katamari, che attrae a sé gli oggetti più piccoli fino ad assorbirli e diventare più grande. In piena tradizione iperbolica giapponese, il diametro del Katamari cresce fino all'estremo: ingloba oggetti di uso comune, poi le persone, poi le case. Poi il mondo. Il tutto accompagnato da una colonna sonora super orecchiabile, con un tema principale diventato inconfondibile, che sottolinea perfettamente uno stile grafico stilizzato, colorato e ironico. In due parole: Katamari Damacy.
Ma come fai a migliorare una formula così efficace, che già in due righe di testo esprime tutto il suo potenziale divertimento? Forse è proprio per questa sua perfetta forma primitiva che il Principe ha dormito a lungo prima di Once Upon a Katamari. Poi un'idea lo ha destato: viaggiare attraverso le epoche storiche per inglobare, nella sua lunga rotolata attraverso il vissuto dell'umanità, oggetti, reperti, manufatti e persone che appartengono a diversi momenti della Storia.
C'era una volta un Katamari
È proprio il caso di usare questa espressione: da che mondo è mondo, il Re del Cosmo, creatore dei cieli e della terra, non sa tenere a bada le mani. Questa volta, mentre riordina il suo lussuoso appartamento celeste, urta inavvertitamente una pergamena che contiene la Terra, la Luna e tutte le altre stelle, finendo per cancellare la storia umana. Per fortuna, da un genitore così sbadato è venuta fuori una prole tanto responsabile: il Principe si rimbocca le maniche e si mette in testa di recuperare, con il suo Katamari, ogni oggetto, ogni edificio, ogni piccolo frammento che abbia mai abitato il pianeta Terra. Così, la famiglia reale si prepara e parte per un viaggio attraverso le epoche, nel quale visiterà il passato collezionando un pezzo per volta tutta la storia umana. Come avrete intuito, la vicenda che fa da sfondo a Once Upon a Katamari è un contorno divertente che non si prende mai più tempo del dovuto. C'è qualche siparietto comico tra un livello e l'altro, ma è tutto un pretesto per il compulsivo raccogliere, rotolare, inglobare.
La chiave di tutto, e il pepe della produzione, è chiaramente il viaggio nel tempo. Non è la prima volta che il Principe se ne va a zonzo tra le epoche, lo aveva già fatto nello spin-off mobile Katamari Amore, ma è di certo la prima volta che questa caratteristica è tanto centrale nell'avventura. Si parte dal Giappone del Periodo Edo e - utilizzando quest'epoca come un timone per misurare i progressi nell'avventura - si passa attraverso dieci ambientazioni storiche che spaziano dall'antica Grecia fino alla Preistoria, passando per l'Egitto dei faraoni, affrontando piccoli livelli che ci vedono risolvere richieste decisamente sopra le righe.
Rotoliamo un po' all'indietro: è lecito che possa esserci qualcuno che non sappia come funziona la serie Katamari. Come abbiamo detto, questo capitolo arriva dopo moltissimi anni di stasi. Si parte con un obiettivo chiaro in ogni livello: per esempio, collezionare un certo numero di oggetti, oppure raggiungere una precisa grandezza, o magari riuscire a inglobare un bersaglio specifico. C'è solitamente un tempo entro cui portare a termine la missione, e da cui dipende il punteggio finale. A questo punto, bando alle ciance: si comincia a spingere il Katamari utilizzando i due stick analogici, cercando di inglobare tutto ciò che risulta più piccolo di noi.
Ecco la magia di Katamari Damacy: gli oggetti si appiccicano (con un soddisfacente effetto sonoro) alla nostra palla, aumentandone il diametro e rendendo più facile attrarre a sé altre cose sempre più assurde. Cibo, oggetti di cancelleria e poi bottiglie, quindi piccoli animali, poi i mobili di una casa, segnaletica stradale, pali della luce e via dicendo. Continuando a rotolare, il nostro senso di scala cambia in tempo reale: il mondo attorno a noi rimpicciolisce mentre il Katamari passa sopra a tutto - persone, cavalli, automobili. La sensazione di coinvolgere nel nostro movimento inarrestabile strade, appartamenti e poi perfino montagne è impagabile. Alcuni dei livelli più divertenti, alla fine, ci vedono rotolare per passare sopra a enormi dinosauri e immensi kraken marini.
Le novità del Principe
Ovviamente Once Upon a Katamari non si limita a chiedervi di diventare solamente più grandi. Abbiamo anzi trovato deliziose le idee che il videogioco mette in campo per rendere varia una meccanica che - in fin dei conti - è la ripetizione della stessa idea: raccogliere oggetti passandoci sopra. Questo capitolo della serie, però, fa di tutto per sperimentare. Per esempio, quando si visita l'antica Grecia, uno dei livelli chiede di diventare abbastanza grandi da poter inglobare Socrate, Platone e gli altri padri della filosofia classica. Una volta catturati nel Katamari, questi ultimi ci regalano anche una preziosa perla scelta tra le loro massime passate alla Storia.
In un livello del Giappone feudale, un ragazzino deve mangiare abbastanza da irrobustirsi al punto da poter indossare l'antica armatura da samurai del padre, e quindi bisognerà lanciarsi su tavolate di cibo, ingurgitandone il più possibile. Nel selvaggio West, la febbre dell'oro è alle stelle, e il vostro Katamari dovrà attaccarsi a pepite, vene d'oro e vari oggetti preziosi. Ci sono missioni che diventano quasi dei puzzle: a volte, per esempio, viene chiesto di attaccare al Katamari solo un certo numero di oggetti. In un caso bisogna scegliere quelli che ci sembrano più di valore, e ci verrà dato un punteggio a seconda di quanto il nostro Katamari risulta prezioso. In un altro caso, ci viene chiesto di fare una stima a occhio della grandezza della palla, e di fermarci soltanto quando avremo raggiunto due, cinque o dieci metri.
Queste idee rendono il gameplay stimolante, e persiste lungo tutta la durata del gioco la voglia di vedere quale altro assurdo obiettivo ti metterà davanti Once Upon a Katamari. Sempre con lo stile dissacrante e iconico che è rimasto appiccicato addosso alla saga, come i milioni di oggetti raccolti in questi vent'anni di esistenza. Tutto è stilizzato, semplice, ma piacevole da vedere, con il senso di scala che varia per offrirci uno sguardo più ampio di quartieri vivaci e pieni di vita. Ci sono perfino delle occasioni in cui i livelli assumono un certo lirismo. Uno in particolare, nel quale il nostro Katamari pieno d'acqua restituisce la vita a un arido deserto egizio.
Un'altra novità di Once Upon a Katamari è la presenza di alcuni strumenti che troviamo nei livelli e che hanno diversi effetti: un orologio che blocca il tempo, un razzo che ci fa muovere più velocemente, un magnete che attira a sé tutti gli oggetti abbastanza piccoli nei paraggi, e un radar che segnala la posizione dei collezionabili. A dirla tutta, l'utilizzo di questi strumenti non è quasi mai centrale nelle dinamiche del livello, e considerando l'estro che il videogioco dimostra in altri ambiti, avremmo sperato che ci fossero dispositivi ben più strambi di questi. Se c'è una piccola delusione che ci portiamo a casa da questo capitolo di Katamari, è tutta qua.
Un Re e la sua corona
Un'altra caratteristica che è parzialmente cambiata rispetto al passato, e che non ci ha convinti del tutto, è la necessità di raccogliere dei collezionabili per sbloccare i livelli successivi. Questa stramba idea di progressione lega l'avanzamento della campagna non più all'effettivo superamento delle condizioni di vittoria, ma al ritrovamento delle corone del Re del Cosmo all'interno del livello. Le corone vanno individuate e inglobate prima dello scadere del tempo, e alcune di esse rappresentano una sfida nella sfida, dal momento che sono posizionate in zone nascoste oppure inserite in ambienti particolarmente pieni di dettagli, che le rendono difficili da individuare. A volte hanno una taglia colossale, e bisogna diventare molto grandi prima di riuscire a raccoglierle.
Sbloccare i livelli richiede un certo numero di corone e quindi raccoglierle diventa ancora più importante del superare l'obiettivo del livello. Alcune missioni speciali hanno anche altri requisiti d'accesso, per esempio legati al numero di personaggi sbloccati. In ogni caso, tutto viene spiegato minuziosamente dal Re dell'Universo, che non manca mai di presentare personalmente il briefing di ogni missione, con un discorso pomposo che ci illustra per filo e per segno gli obiettivi. Una premessa un po' ciarliera (e poco utile, perché l'interfaccia è molto chiara), che fortunatamente è possibile saltare, ignorando le parole del Re e cominciando a rotolare. Il sovrano si offenderà cominciando a inveire, ma peggio per lui.
Once Upon a Katamari contiene anche una modalità multigiocatore - contro la CPU o contro altri giocatori online - intitolata KatamariBall. Si tratta di battaglie in cui quattro Katamari si sfidano raccogliendo risorse e poi consegnandole a un punto di raccolta, evitando di essere divorati dagli avversari più grossi. Un'aggiunta gradita, che però ci è sembrata poco in linea con ciò che rende divertente Once Upon a Katamari. Non è nelle asperità della competitività che questo videogioco spicca. Vive di altri tempi, più distesi, rilassati. Psichedelici.
Conclusioni
Once Upon a Katamari parte dall'idea semplice e geniale della serie e la sposta attraverso il tempo, per offrire uno spaccato esilarante della Storia umana. Dentro ci sono tante idee per variare una formula che, di base, resta sempre uguale, ma proprio grazie all'estro e alle trovate assurde è costantemente spassosa, cullata da musiche irresistibili e da una confezione straordinariamente giapponese. Se avete amato questo brand in passato, questo ritorno vi farà fischiettare allegri per giorni; se non ci avete mai giocato, è davvero un buon momento per dargli una possibilità e scoprire quanto può essere divertente rotolare sopra un gruppo di filosofi greci o attraverso un branco di velociraptor.
PRO
- Una formula che resta spassosa a distanza di vent'anni
- Colonna sonora irresistibile
- Moltissime idee che rendono stimolante il gioco
CONTRO
- Avremmo voluto degli strumenti più creativi
- La progressione attraverso i collezionabili non ci ha fatto impazzire
- KatamariBall è un'aggiunta non così riuscita