Facciamo un bel salto nel passato. Era il 1971 e Ted Dabney e Nolan Bushnell lavoravano ancora per la Ampex, una compagnia che si occupava di nastri magnetici. Dietro le quinte, i due stavano però progettando Computer Space, un videogioco, all'epoca un oggetto tecnologico misterioso e comprensibile da pochissime persone. In anni precedenti, Bushnell era stato uno dei pochi fortunati ad aver potuto provare Space War (1961) di Steve Russell al MIT e ne aveva intuito subito le potenzialità commerciali. Vendettero il gioco alla Nutting Associates, che ne produsse 2.200 esemplari. Il riscontro fu praticamente nullo, a causa della troppa complessità del titolo (Bushnell stesso ammise che un gioco che richiedeva di leggere il manuale in un bar o in una sala giochi non poteva semplicemente funzionare), ma i due ormai erano avviati lungo una strada da cui non potevano e non volevano tornare indietro. Il gioco successivo sarebbe stato più semplice e accessibile. Prima però bisognava fondare una compagnia per realizzarlo.
Bushnell e Dabney, insieme a Larry Bryan, un altro programmatore della Ampex, decisero quindi di scendere in affari con il nome di Syzygy (in italiano Sizigia, ossia l'allineamento di tre corpi celesti). Sarebbe stato perfetto da associare a una delle compagnie che hanno cambiato il mondo, ma sfortuna volle che fosse già registrato. Quindi optarono per Atari, un termine che viene dal gioco del GO. Bryan si tirò indietro all'ultimo momento e il 27 giugno del 1972 Atari fu fondata dai soli Bushnell e Dabney, che affittarono anche un ufficio a Scott Boulevard (Santa Clara, California) per 700 dollari. Intanto fu assunto il primo impiegato della compagnia, il geniale Al Alcorn, un giovane ingegnere appena laureato a Berkeley. Mancava solo il primo prodotto.
L’industria che nacque da un furto
Per il primo gioco di Atari Bushnell decise di rifarsi a un'idea che aveva visto a una fiera commerciale: il prototipo di un simulatore di ping-pong realizzato da Ralph Baer per Magnavox (Baer è uno dei padri riconosciuti del settore, sarà sempre lui a "inventare" le console casalinghe con il Magnavox Odyssey). Era un gioco semplicissimo: ogni giocatore guidava una delle due racchette poste ai lati dello schermo e doveva riuscire a colpire una pallina rimbalzante. Non farcela equivaleva a far segnare un punto all'avversario. Bushnell affidò l'idea di sviluppare Pong ad Alcorn, che ci aggiunse molto di suo, come il cambio di traiettoria della palla a seconda della zona della racchetta che veniva colpita, quindi partì la produzione del primo prototipo del coin op, che nell'idea dei dirigenti di Atari sarebbe stato prodotto da Bally, uno dei più grossi attori dell'industria dei giochi a gettone, o coin op che dir si voglia (non erano necessariamente videogiochi... anzi, all'epoca non lo erano proprio). Realizzato il primo prototipo, Bushnell e i suoi decisero di testarlo sul campo piazzandolo nel bar di un loro amico: l'Andy Capps Bar. Quindi Bushnell partì alla volta di Chicago per andare a contrattare con Bally. Dopo pochi giorni dall'installazione del cabinato arancione nel bar, Bill Gattis, il proprietario, chiamò Bushnell per dirgli che era rotto.
Bushnell spedì sul posto Alcorn per portare assistenza, ma quest'ultimo si accorse che non c'era nessun guasto: semplicemente il cassone era così pieno di monetine da essersi bloccato. Appreso del successo del test, Bushnell capì che Atari aveva qualcosa di grosso in mano e avrebbe potuto guadagnare molto di più andando da sola che insieme a Bally e così fece, svincolandosi dalla contrattazione con una scusa. Il 29 novembre 1972 Pong fu annunciato e il primo cabinato uscì dalla fabbrica della compagnia.
Pong rappresentò il primo massiccio successo dell'industria dei videogiochi, tanto da essere considerato il gioco che l'ha fatta nascere. Purtroppo per Atari l'eco di Pong arrivò anche a Magnavox, dove Baer e i suoi ci misero ben poco ad accorgersi del furto di idee. A differenza di Bushnell, che aveva un modo molto sciolto di gestire gli affari, Baer era un ingegnere estremamente preciso, che registrava tutti i suoi brevetti, compreso quello di "Bat and Ball", ovvero il suo prototipo di Pong. Nel 1974 Magnavox avviò una causa legale contro Atari, in cui i suoi avvocati portarono non solo il brevetto, ma dimostrarono anche la presenza di Bushnell alla fiera in cui era stato esibito il prototipo, grazie alla sua firma lasciata sul registro degli ospiti. Atari dovette scendere a compromessi e pagò 700.000 dollari a Magnavox per la licenza di pubblicazione del gioco. In questo modo la compagnia poté continuare a produrre il coin op, realizzandone anche delle varianti.
Innovazione e droghe di ogni tipo
La scena videoludica si dimostrò immediatamente iper competitiva, tanto che in breve tempo i cloni di pong si moltiplicarono. Si stima che per la fine del 1974 siano stati ordinati più di ottomila cabinati di Pong. Atari nel frattempo aveva cambiato uffici e affittato una fabbrica più grande. Quell'anno Ted Dabney lasciò la compagnia vendendo le sue quote a Bushnell. Atari divenne famosa per diversi motivi nella Silicon Valley. Il primo era la forte tendenza all'innovazione da cui era caratterizzata, che aveva attirato centinaia di talenti (da lì transiteranno nomi quali Steve Jobs, Steve Wozniak, Mark Cerny e tanti altri ancora); il secondo era la gestione decisamente allegra del personale fatta da Bushnell, che aveva una visione ben poco ortodossa di come dovevano funzionare le cose in un'azienda. Non che in Atari non si lavorasse molto, perché era vero l'esatto contrario, solo che il buon Nolan era molto flessibile negli orari e nel tollerare l'uso di alcol e droghe. Era anche uno splendido organizzatore di festini, che lo hanno visto emergere più volte fatto e ubriaco.
Sulla questione, rimasta un mito per anni, ma confermata da diverse fonti, Howard Scott Warshaw, che pure entrò in Atari in una fase successiva, quando Bushnell non c'era già più e la cultura aziendale stava subendo l'effetto Ray Kassar (di cui parleremo dopo), ebbe a scrivere nel suo libro "Once Upon Atari": "C'è sempre stata un'accesa discussione sul consumo di droghe dentro Atari. Voglio mettere la parola fine una volta per tutte alle chiacchiere in merito, assicurandovi che in Atari si consumava moltissima droga. Non tutti quanti, c'era chi si asteneva e chi era indulgente, ma una grande quantità di sostanze diverse furono consumate in un grande quantità di modi diversi da una grande quantità persone in vari dipartimenti. Nessuna droga è stata consumata da tutti e nessuno ha provato tutte le droghe, ma a un certo punto qualsiasi droga ha trovato qualcuno che la consumasse. Naturalmente, erano tutte droghe chimiche." Bushnell preferiva lavorare in modo dinamico e creativo e si assicurava che lo stesso facessero anche quelli che lo circondavano. Certo, alcune volte le riunioni dei dirigenti di Atari sembravano più dei droga party che degli incontri d'affari, ma le cose apparentemente funzionavano e nessuno si lamentava davvero.
In termini di innovazione, le attività in Atari non erano meno frenetiche di quelle ludiche, diciamo così. La filosofia di Bushnell era quella di dover essere sempre davanti agli altri, filosofia che seguiva sia con i prodotti, sia con pratiche commerciali estremamente aggressive, come quella della fondazione di Kee Games nel 1973, compagnia guidata da Joe Keenan, un amico di Bushnell, che aveva come scopo quello di superare il problema della richiesta di esclusive di alcuni distributori, producendo cloni dei titoli di Atari da vendere ad altri. Atari svelò le carte nel 1974, incorporando Kee Games, che cessò le attività nel 1978.
Accanto alle varianti di Pong ci fu anche un massiccio sviluppo di nuove idee, che portò al lancio di una moltitudine di prodotti inediti già nel 1974, come Space Race, Tank e Gotcha. Il 1975 fu l'anno della versione casalinga di Pong, nome in codice "Darlene", da una delle impiegate della compagnia, ossia di una console monogioco dedicata a quello che era già un classico da sala, il cui successo non accennava a diminuire. Arrivare nelle case delle persone era però un affare ben diverso dal produrre coin op, così come produrre una console vera e propria.
Concorrenza e parecchi sprechi avevano iniziato a pretendere la loro parte. Atari cresceva, ma non velocemente come avrebbe potuto a causa dei continui problemi finanziari e non poteva permettersi di sbagliare. Ad aiutarla arrivò Tom Quinn, il responsabile degli acquisti della divisione sport della catena Sears Roebuck che, intuite le potenzialità commerciali di Pong, ordinò prima 75.000 unità (in fondo era un simulatore di ping-pong, quindi uno sport), quindi portò l'ordine a 150.000 unità, chiedendo ad Atari l'esclusiva e finanziandone parte della produzione. Il successo fu tale che le console andarono tutte esaurite e Sears ne ordinò altre 100.000 per il Natale del 1976.
L’arrivo di Warner Brothers
Le cose andavano bene in Atari, ma Bushnell si rese conto che per rimanere competitiva sul mercato casalingo e su quello dei coin op, la compagnia aveva bisogno di massicci investimenti. Il 1976 vide l'uscita sul mercato della prima console a cartucce intercambiabili, il Video Entertainment System di Fairchild Semiconductor, poi ribattezzato Channel F. Atari iniziò quindi lo sviluppo di una sua console programmabile, mentre continuava a produrre coin op e versioni casalinghe di Pong, il cui successo continuava a crescere. Tra i titoli lanciati tra il 1975 e il 1976 spiccano Outlaw, Breakout, Le Mans e Night Driver.
Ben presto l'Atari VCS, poi Atari 2600, così si chiamava la prima console programmabile della compagnia ad arrivare sul mercato (internamente fu testata una soluzione differente, chiamata Game Brain, che fu cancellata), divenne il suo progetto principale, tanto che Bushnell decise di acquistare l'intera fabbrica di Grass Valley dove veniva prodotta. Il passaggio dai transistor alle CPU, iniziato nel 1975 grazie all'uscita del chip MOS 6052, era ormai completo. Per fare un nuovo salto in avanti Atari aveva solo bisogno di un partner che gli garantisse i capitali e il know-how necessari.
Tramite l'intercessione di Don Valentine, figura chiave dei primi anni dell'industria dei videogiochi, la compagnia di Bushnell trovò un compratore, la Warner Brothers di Steve Ross che perfezionò l'acquisizione dell'azienda il 1° ottobre del 1976 per 28 milioni di dollari, garantendo un investimento iniziale di 120 milioni di dollari e il mantenimento di Bushnell a capo della compagnia. A fare da guardia agli affari di Warner fu messo Manny Gerard, un manager dallo stile completamente opposto a quello di Bushnell. Cosa poteva andare storto?
Il 1977 fu l'anno del lancio dell'Atari VCS, che avvenne a giugno durante il CES di Chicago (Consumer Electronic Show). La console era presente in fiera con nove giochi e diversi controller. Gli ordini da parte delle catene commerciali furono moltissimi per il Natale di quell'anno, ma Atari non riuscì a soddisfarli tutti a causa di alcuni problemi produttivi e di controllo qualità, dovuti in buona parte all'inesperienza con un prodotto di quel tipo. La console montava una versione modificata del chip di MOS Technology, il 6507, ed era caratterizzata da un design, diventato iconico, di Steve Mayer e Ron Milner.
Nonostante i problemi, le vendite di Atari andavano bene. Nel 1977 riuscì a piazzare 850.000 sistemi da gioco, il 40% dei quali erano Atari VCS, che veniva venduta con due joystick, due rotary paddle e la cartuccia da gioco di Combat.
Il 1978 fu però un altro anno cruciale per la compagnia, quello in cui si manifestò con forza lo scontro di culture tra Atari e Warner. Semplicemente lo stile imposto da Bushnell cozzava con quello di Warner. Dopo nemmeno un anno dal lancio del VCS, Bushnell la considerava già un prodotto vecchio e da cambiare con qualcosa di nuovo, lì dove Warner voleva invece capitalizzare il suo investimento continuando a venderla, così da spremerla il più possibile.
Inoltre la gestione di Bushnell si era fatta ancora più distaccata, tanto che erano frequenti i periodi in cui non si trovava in azienda per andare in crociera o a svolgere altre attività. Ben presto i contrasti con Gerard e la dirigenza di Warner aumentarono a dismisura. Le scarse vendite dell'Atari VCS nel corso del 1978 convinsero la proprietà che c'era bisogno di dare una svolta ad Atari. Bushnell fu costretto a fare un passo indietro, con un accordo che gli garantì comunque una fetta dei guadagni della compagnia anche nel futuro (tanto che divenne estremamente ricco negli anni d'oro). Rimase nel consiglio di amministrazione fino a gennaio del 1979, quando fu completamente rimpiazzato da Ray Kassar, che prese il ruolo di CEO.
Kassar era completamente diverso da Bushnell. Tanto il secondo era alla mano e amava avere rapporti d'affari informali, quanto il primo, proveniente dall'industria tessile, era posato e impostato, nonché attentissimo al culto dell'immagine aziendale. Lì dove Bushnell vedeva il lato profondamente creativo e inventivo della produzione di videogiochi e di tecnologia, Kassar vedeva solo prodotti da vendere. Atari passò dall'essere una compagnia incentrata sulla ricerca e sviluppo, a una incentrata sul marketing, reparto che fu infoltito da Kassar e prese sempre più potere all'interno dell'azienda, entrando spesso di peso anche nella produzione dei giochi.
Kassar cominciò quindi un processo di revisione totale di Atari, tagliando i costi dove possibile e imponendo il suo stile più da Wall Street alla dirigenza. Molti furono i progetti dietro le quinte che furono cancellati per risparmiare, compreso il successore del VCS voluto da Bushnell: per Kassar la console era un prodotto a lungo termine, non uno da sostituire dopo soli due anni. Insomma, Warner voleva vedere il suo investimento iniziare a fruttare e così fu.
Piaccia o meno, la gestione Kassar permise ad Atari di crescere esponenzialmente, almeno nel breve periodo, andando a riorganizzare tutto ciò che Bushnell aveva fatto e dandogli una visione più commerciale.
La strategia di Kassar per il 1979, ossia di migliorare il marketing, con spot più rifiniti e mirati, e di aumentarne la portata, funzionò e l'Atari VCS iniziò a diffondersi a macchia d'olio. Il suo intuito per gli affari lo portò a ottenere dei grandi successi, come la pubblicazione di una versione casalinga di Space Invaders, il coin op del momento proveniente dal Giappone. Era iniziata quella che fu definita da molti l'epoca d'oro della compagnia, che durò fino al 1983.
In quegli anni i coin op si svilupparono diventando più colorati e dettagliati, il mercato casalingo esplose e i concorrenti si moltiplicarono. Atari stessa diversificò i suoi prodotti, lanciando ad esempio una linea di giocattoli elettronici guidata dal Touch Me, sostanzialmente un Simon portatile (il gioco in cui bisogna ripetere delle sequenze di colori, sempre più lunghe).
Tra il 1979 e il 1980 furono lanciate numerose hit, come Asteroids, Warlords, Missile Command e Battlezone, che i giocatori potevano trovare in sala giochi, oppure acquistare in versioni esclusive per Atari VCS. Il 1979 fu anche l'anno in cui Atari iniziò a produrre personal computer, lanciando l'Atari 400 e l'Atari 800. Il settore si rivelerà importantissimo per la compagnia negli anni della crisi. Le cose sembravano andare alla grande in Atari, che divenne la compagnia della Silicon Valley a crescere più velocemente di sempre e divenne un modello da seguire. Nel 1982 poteva vantare un giro d'affari di più di un miliardo di dollari. Il VCS aveva una base installata di più di 10 milioni di unità, grazie ai giochi prodotti dalla compagnia e alle conversioni arcade, i personal computer vendevano bene e ne erano stati piazzati più di 200.000: Ray Kassar era visto come uno dei migliori manager d'America e l'industria dei videogiochi era ormai esplosa, con decine di concorrenti nazionali e internazionali.
I motivi della crisi
Purtroppo l'industria era ancora giovane e nessuno aveva commesso abbastanza errori da poter capire come salvarla da una crisi che in pochi videro davvero arrivare. Ma facciamo un passo indietro e torniamo al 1979, quando Kassar e i suoi dirigenti ebbero l'idea folgorante di mostrare agli ingegneri il contributo di ogni gioco ai profitti aziendali. Fu in quel momento che David Crane, Larry Kaplan, Alan Miller e Bob Whitehead si resero conto di contare in quattro per il 60% circa delle vendite delle cartucce fatte dalla compagnia. I loro giochi erano tra i migliori in assoluto e tra i più amati dal pubblico. D'altro canto il loro stipendio era appena di 22.000 dollari circa l'anno, e non prevedeva alcun premio. La cosiddetta "Gang of Four", decise quindi di pretendere di più, imponendo alla compagnia un modello di compensazione basato sulle royalty, un po' come avveniva nel mondo della musica, del cinema e dei libri. Kassar, che considerava i videogiochi alla stregua di prodotti qualunque, diede alle loro richieste una risposta che è rimasta nella storia dell'aneddotica videoludica: "Per i progetti, non siete più importanti di chi li assembla nella catena di montaggio. Senza Atari, i vostri giochi non venderebbero niente." Il nostro ha poi rincarato la dose, definendo i quattro dei "designer di asciugamani". Sostanzialmente per lui chiunque poteva creare un videogioco, quindi gli ingegneri non dovevano accampare pretese.
I quattro, che si sentivano più artisti che "designer di asciugamani", non la presero bene e, lasciata Atari, fondarono una compagnia tutta loro, attiva ancora oggi: Activision (prima Computers Arts). Il nome era formato dalla fusione delle parole "Active" e "Television" e si proponeva solo di sviluppare nuovi titoli per Atari VCS e altre piattaforme, facendoli firmare dai loro autori. I primi giochi della neonata software house furono sviluppati nel garage di Crane e furono portati al CES, dove iniziò la guerra vera e propria con Atari, che già di suo non aveva preso bene l'abbandono. Kassar e i suoi avvocati fecero letteralmente fuoco e fiamme, portando in tribunale Activision per violazione di accordi di non divulgazione e utilizzo di materiali proprietari di Atari. L'obiettivo era quello di impedire ai quattro di produrre giochi per VCS, ma la sentenza di tribunale che seguì alla causa sancì invece il principio che erano liberi di farlo, pur dovendo pagare delle royalty ad Atari.
Quella sentenza sarà fondamentale per l'intera industria, perché consentirà la nascita di altri studi terze parti, che dà una parte garantiranno l'uscita di più giochi e dall'altra soffocheranno il mercato con un mare di brutte copie dei titoli più famosi.
Un altro problema che Atari sottovalutò enormemente fu quello della qualità dei giochi stessi. Kassar e i suoi pensavano che bastassero i nomi per vendere. Il reparto marketing voleva dei prodotti da lanciare sul mercato a prescindere dalla bontà degli stessi. In molte occasioni saltarono i normali processi di verifica della qualità dei giochi, che negli anni di Bushnell erano stati rigorosi, per quanto empirici (i prodotti accettati erano quelli che piacevano di più all'interno dell'azienda, sostanzialmente, con i focus group che vennero introdotti in un secondo momento). Il lancio della conversione per VCS di Pac-Man, il coin-op fenomeno del momento, fu la prima avvisaglia che qualcosa non stava più andando per il verso giusto: il gioco era qualitativamente orrendo e molto lontano dalla versione da sala giochi. I giocatori se ne lamentarono, molti lo restituirono, ma vendette comunque milioni di copie.
La situazione era diventata comunque insostenibile. I cestoni delle catene commerciali erano pieni di cloni dei giochi di Atari venduti per pochi spiccioli, lì dove i titoli ufficiali della compagnia costavano decine di dollari.
La cultura videoludica non era ancora tale da consentire agli acquirenti, per la gran parte genitori ignari che compravano giochi ai figli, di fare distinzioni tra un prodotto di buona qualità e uno no, quindi la possibilità di acquistare più giochi allo stesso prezzo, o a prezzo inferiore, di uno fece calare le vendite dei prodotti nuovi. Fu in uno scenario già ampiamente degradato che arrivò il caso E.T., che concentrò tutti i problemi dell'epoca in una cartuccia sola.
E.T. non fu colpa del già citato Howard Scott Warshaw, lo sviluppatore, come molti pensarono all'epoca ingenuamente e hanno continuato a pensare per anni. Warshaw ebbe l'unico demerito di aver accettato di realizzarlo in cinque settimane, un po' per compiacere la compagnia, un po' perché veniva dai successi di Yars' Revenge e Raiders of the Lost Ark e pensava di poter riuscire in tutto. Fu anche ampiamente ricompensato per lo sforzo a livello economico, c'è da dire, e di suo riuscì nell'impresa di confezionare un gioco completo nel pochissimo tempo a disposizione.
E.T. era un gioco brutto, sbagliato per molti aspetti, ma non sicuramente il peggiore che sia mai stato realizzato (fama ottenuta post crisi). Semplicemente era un prodotto fatto in fretta e furia che non aveva potuto essere testato davvero prima del lancio. Soprattutto, E.T. fu un gioco voluto fortemente da Warner, da Kassar, dal marketing e da Spielberg, che pensavano di poter conquistare il Natale sfruttando il successo del film e non si resero conto di quello che stavano facendo. L'importante era avere un prodotto da lanciare sul mercato e così fu. Nel Natale del 1982 E.T. riuscì a inondare le catene commerciali.
C'è da dire che vendette bene, inizialmente, superando 1,5 milioni di unità, tanto che internamente si pensava che gli sforzi di Warshaw fossero valsi a qualcosa. Il problema è che la qualità del gioco era così scarsa e lontana da quella del film che i giocatori iniziarono a riconsegnarlo in massa. Presto il rush iniziale delle vendite terminò e Atari, che aveva prodotto una quantità sterminata di cartucce, si ritrovò con un invenduto stratosferico che, unito a una situazione già di suo traballante, si ripercosse in modo letale sui bilanci. Sfatiamo anche il mito delle cartucce di E.T. seppellite nel deserto: lo furono, ma non erano milioni e finirono in un lotto insieme ad altri giochi, disseppelliti nel 2017 nel deserto di Alamogordo, in Nuovo Messico.
L’Atari Shock e l'arrivo dei Tramiel
Il cosiddetto Atari Shock, come lo definirono i giapponesi, iniziò nel 1983, con il resoconto finanziario di Atari, decisamente negativo, e si protrasse fino al 1985. Non fu una crisi dell'intera industria, in realtà, ma riguardò essenzialmente il mercato console USA, che passò dai 3,2 miliardi di dollari di fatturato complessivo del 1983 ai 100 milioni di dollari di fatturato del 1985, con le catene commerciali che facevano a gara nel cancellare ordini di videogiochi e console, portando al fallimento di produttori piccoli e grandi. L'interesse dei consumatori per i videogiochi era morto? No, semplicemente si era raffreddato da una parte e allargato dall'altra: il settore coin op, nonostante attraversasse una piccola crisi, dovuta anch'essa a un eccesso di espansione negli anni '70, che aveva portato a una contrazione naturale negli anni '80, era comunque vivo e vegeto, mentre il mercato dei personal computer era in crescita, con molti diversi concorrenti validi e sempre più economici ad affollare la scena. Sarà Nintendo a far rinascere il settore console negli USA, applicando una politica iper protezionistica basata proprio sugli errori commessi da Atari. Ma questa, come si suol dire, è un'altra storia.
Va inoltre aggiunto che nel resto del mondo i contraccolpi dell'Atari Shock furono molto limitati, dato che praticamente ogni nazione ha sviluppato un mercato dei videogiochi in modo autonomo e in forme talmente particolari, che non è davvero possibile individuare una linea comune.
Il crollo cambierà enormemente Atari, marchio compreso (da Atari, Inc. ad Atari Corporation) che da allora non tornerà più ai fasti dell'età dell'oro. Diciamo che da qui in poi la storia diventa meno interessante, anche se non mancano le sorprese. Detta in breve, nel 1984 Jack Tramiel, l'ex-capo di Commodore, acquista la compagnia e la sottopone a una dieta impressionante, facendola focalizzare sulla produzione di personal computer. Il suo obiettivo pare fosse quello di vendicarsi di Commodore, da cui era stato sostanzialmente estromesso. L'unico settore di Atari a non essere toccato, perché di fatto scorporato dalla vendita, fu quello coin op. Nel 1985 furono lanciati l'Atari ST, un computer a 16-bit di discreto successo, e l'Atari XE, un computer a 8-bit a basso costo. Il problema per Tramiel, che pensava solo a battere Commodore, fu che il mercato USA era in mano ad Apple con i suoi prodotti, lì dove la sua ex-compagnia aveva ormai trovato fortuna all'estero, in particolare sul mercato europeo. Insomma, non riuscì che a ritagliarsi una nicchia di mercato per rimanere a galla. L'epopea dei computer di Atari si concluse nel 1992 con il Falcon, che rimase in produzione per un solo anno e attualmente è considerato un oggetto da collezione.
La coda della storia
In realtà anche dopo l'Atari Shock, la compagnia non abbandonò mai davvero il mercato console, almeno non fino al 1993. Purtroppo non riuscì più a realizzare un prodotto di successo, schiacciata com'era da una parte dalla sua fama e dall'altra dall'arrembante concorrenza dei giapponesi, Nintendo in particolare, che gli erano sempre un passo avanti, se non a livello tecnologico, quantomeno per la comprensione del nuovo mercato. Nel 1982 fui lanciata l'Atari 5200, concepita come un refresh dell'Atari VCS che doveva competere con l'Intellivision di Mattel. Ebbe però uno scarsissimo successo e finì risucchiata dalla crisi e battuta addirittura dalla neonata ColecoVision. Nel 1984 fu la volta della più performante Atari 7800, che scontò però la coda della crisi e arrivò sul mercato soltanto nel 1986, quando il NES era già ben avviato verso il suo enorme successo e Nintendo aveva iniziato a dettare le sue regole. Tramiel sperava di seguire proprio la scia creata dalla compagnia di Hiroshi Yamauchi, ma aveva fatto male i suoi conti. Nonostante le buone caratteristiche tecniche, la console non vendette molto. In totale l'Atari 7800 vide l'uscita di soli 59 giochi ufficiali, di cui molte conversioni di vecchi classici di Atari che avevano ormai un appeal limitatissimo sul mercato.
Nel 1989 Atari ci riprovò con il Lynx, una console portatile, che mirava a fare concorrenza al Game Boy di Nintendo. Nata con il nome "Handy" dalle fucine di Epyx (per questo Epyx la supportò moltissimo con i suoi giochi), la filosofia di fondo che la sosteneva era quella di essere la console portatile più avanzata al mondo. In effetti l'Atari Lynx lo era, ma era anche molto ingombrante e le batterie duravano pochissimo, diventando un costo non indifferente per i giocatori. Per questo fu letteralmente surclassata dal Game Boy, che vendette enormemente di più e divenne un'icona culturale, in barba alla tecnologia. L'ultima console di Atari fu l'Atari Jaguar del 1993. Venduta come la prima console a 64-bit (era in realtà un ibrido a 16-32 bit) capace di produrre giochi che graficamente eguagliavano e superavano quelli di Mega Drive e Super Nintendo, le due console all'epoca più diffuse nel mercato USA, fu immessa troppo velocemente sul mercato, per evitare la concorrenza del 3DO di Trip Hawkins (che con il sennò di poi non farà concorrenza proprio a nessuno, visto l'enorme flop che si rivelò essere), con alcuni bug decisamente gravi, come la necessità di avere una cartuccia inserita per l'accensione. Dopo le discrete vendite iniziali, il Jaguar perse rapidamente terreno, a causa della libreria limitatissima di giochi (solo 82, molti dei quali di pessima qualità), dovuta alle difficoltà incontrate da molti studi nel programmarla. Quando ai bug hardware, alla limitata libreria di giochi e allo scarso appeal degli stessi si aggiunse anche la concorrenza del SEGA Saturn prima e di PlayStation di Sony poi, per il Jaguar non ci fu più spazio e la console sparì velocemente dagli scaffali. Il cupo dissolvimento di quell'epoca di Atari era giunto al suo apice.
Nel 1996 la compagnia si fuse con JT Storage diventando Atari Interactive, quindi nel 1998 fu acquistata da Hasbro, che la sfruttò per vendere vecchi giochi senza alcuna volontà di riportare in auge la compagnia. Nel 2001 il marchio Atari fu comprato da Infogrames Entertainment diventando Atari Inc. prima e Atari SA poi. In qualche modo il nome di Atari è riuscito a sopravvivere fino a oggi, soprattutto grazie alla vendita della sua storia. Diventata un attore secondario dell'industria, in anni recenti è tornata a lanciare diversi giochi, tra versioni modernizzate dei suoi classici con la serie Recharged, una versione moderna dell'Atari VCS e oggi con alcune iniziative che celebrano proprio la sua storia, come il gioco Atari Mania e la splendida raccolta Atari 50: The Anniversary Celebration.