Astro Bot è un gioco di piattaforme, realizzato da uno degli studi di un grande platform holder (Sony, Nintendo, Microsoft) e sfrutta un hardware all'avanguardia. Messe assieme tutte queste cose, il risultato è: un gioco di piattaforme immediatamente riconoscibile come tale, e quindi senza deviazioni marcate verso altri generi, arricchito da una realizzazione visiva sontuosa. Non è un punto di arrivo scontato, perché, anche se messi nelle condizioni indicate all'inizio, tanti altri non ce l'hanno fatta.
A dirla tutta già riuscire a farsi supportare da quelle condizioni (ideali) è una rarità. A tal punto che sono ormai alcune settimane che ci penso, più o meno da quando ho iniziato a giocare con Astro Bot, e non mi è ancora venuto in mente un gioco che negli ultimi vent'anni sia riuscito a fare tutto quanto appena detto. C'è di sicuro un nome che mi sfugge, un intero gioco con cui per qualche motivo ho perso ogni contatto. Perché se invece non fosse così, vorrebbe dire che Astro Bot è l'erede di Super Mario Sunshine, l'ultimo gioco di piattaforme ad aver raggiunto quello stesso punto prima di lui. Ed era il 2002.
Sensazioni vintage
Saltellando tra un livello e l'altro di Astro Bot mi è venuto in mente proprio questo: che, per una volta tanto, i muscoli giovani e potenti di una console tecnologicamente al vertice della catena alimentare venivano sfruttati per un videogioco di piattaforme. Anche noi poveri disgraziati, illusi per una generazione e mezza che i platform game fossero l'espressione regina dell'arte del videogioco, finalmente possiamo godere dello stato dell'arte del livello di dettaglio delle texture, della pulizia dell'immagine, della profondità della gamma cromatica, degli effetti visivi e della fluidità dell'aggiornamento dello schermo.
In quel 2002 di Super Mario Sunshine frequentavo con una certa assiduità la redazione della fu Nintendo la Rivista Ufficiale. Ci procurammo l'avventura estiva di Mario in una calda e promettente mattinata di luglio, era l'edizione giapponese, e quando iniziammo a giocarci fummo accerchiati dai redattori delle altre riviste (quelle dedicate a PlayStation, Xbox e PC). Tutti volevano vedere il seguito di Super Mario 64, che era pure il nuovo riferimento visivo e tecnologico per i videogiochi del genere, il genera a cui la sua serie aveva dato forma nei decenni precedenti.
La storia dei vent'anni che sono venuti dopo è stata un po' diversa. La situazione descritta inizialmente (studio interno, console all'avanguardia tecnologica) si è ripetuta molto di rado e mai con risultati soddisfacenti, a meno che davvero non mi stia perdendo qualcosa. Jak & Daxter era un videogioco di piattaforme solo fino a un certo punto, Ratchet & Clank nemmeno ci provava e si concentrava sugli scontri con i nemici. LittleBigPlanet aveva più a cuore il laboratorio di contenuti generati dagli utenti, che la raffinatezza del level design o del modello fisico del Sackboy. Su Xbox ci provarono prima Blinx, poi Voodoo Vince, entrambi raccogliendo risultati non proprio esaltanti. Quando toccò a Nintendo riprendere in mano il discorso, si era già passati alla castrazione visiva a cui obbligava l'idea al risparmio di Wii: Super Mario Galaxy è inattaccabile, un caposaldo del genere e dei videogiochi nel loro senso più largo e assoluto, ma già nel 2007 non esprimeva il massimo che la grafica dell'epoca potesse proporre.
Questo, naturalmente, non è un discorso sullo stile e sul gusto, ma sulla pure potenza bruta. Super Mario Galaxy (e molti di quelli che l'hanno seguito, non solo a forma di idraulico) è stato, a mio modo di vedere, un centro pieno per quanto riguarda la direzione artistica. Eppure vedevi Uncharted 2, Gears of War, Gran Turismo 4 e una mezza domanda, su cosa si sarebbe potuto fare con tutto quel ben di dio addosso a un gioco di piattaforme, te la facevi. E se anche non me la fossi fatta (chi se lo ricorda?) di sicuro l'effetto di trovarmi oggi di fronte ad Astro Bot mi ha scatenato questo complesso sistema di riflessioni e quesiti retroattivi.
Astro Bot è enciclopedico
Poi, sempre mentre tiravo giù dei bot rimasti appesi tra i rami di un albero, e cercavo di riconoscere a quale gioco stessero rendendo omaggio, mi è anche venuta in mente un'altra cosa. Perché se sei abituato a scrivere di videogiochi, il problema è che mentre ci giochi continui a pensare, a prendere appunti mentali, a costruire impalcature per futuri articoli. Avete presente il meme con il giovane rapidamente invecchiato, che solitamente si pubblica alla fine di una partita di calcio (o altro sport) particolarmente tesa e stressante? Ecco, nonostante tutto, pure chi scrive di videogiochi tende a non rilassarsi mai durante le sue, di partite. O almeno a me succede così.
Dicevo, anzi stavo per dire, che Astro Bot è enciclopedico. Team Asobi ha messo assieme le icone prodotte in casa da Sony a partire dal 1994 (facciamo dal 1995, dai) e quelle altrui che hanno comunque contribuito a scrivere la storia di PlayStation e in questo modo ha fatto un gradito lavoro di raccolta dati. Quando poi ti accorgi che sta includendo non solo i primi attori e le prime attrici, ma anche qualche simpatica comparsa e un certo numero di meteore, tanto sue quanto di altri editori, allora è chiaro che il lavoro sia stato anche rigoroso, oltre che celebrativo.
Per questo mi è tornato in mente un altro pezzo di Nintendo: Super Smash Bros. Il picchiaduro di massa di HAL Laboratory e di Sora è diventato, rapidamente e a partire dal capitolo Meleé per GameCube (2001), un archivio interattivo della storia dei videogiochi di Nintendo. Purtroppo Astro Bot ti dà l'idea di voler fare qualcosa di simile, ma non affonda il colpo.
Ha l'intuizione che censire eroi, anti-eroi, cattivi e creature buffe possa funzionare e piacere, fermandosi però alla raccolta delle figurine e alla strizzata d'occhio nostalgica. Ci sono le immagini, ma mancano i dati. Chi era quello? Da che gioco è tratto? Chi lo realizzò? Quando venne pubblicato? Di quale serie fa parte? Posso acquistare uno dei giochi in cui compare? Tutte domande a cui il videogioco Astro Bot non dà una risposta e, se lo chiedete a me (ma anche se non me lo chiedete), vi rispondo che è una gigantesca occasione persa. Se vogliamo piangerci addosso ricordando gli anni che ci sono scivolati tra i Dual Shock, facciamolo bene!
Astro Bot è promozionale
Quello che Astro Bot fa molto bene, invece, è promuovere in senso più spiccio l'oggetto PlayStation 5. Probabilmente ha a che fare con le origini del progetto, con l'abitudine del Team Asobi di allestire esperienze interattive che mettano in buona luce gli hardware di Sony, che si tratti del DualSense o di PlayStation VR. Astro Bot si dedica alla PlayStation 5, che trionfa al centro del pianeta su cui il nostro torna a posare i piedini metallici, al termine di una sessione di salvataggio di piedini metallici altrui. L'enormità ad alta concentrazione di silicio e promesse di divertimento si staglia immensa fino a bucare il cielo, spezzando qualsiasi panorama altrimenti proposto dal pianeta. Una cosa che, al confronto, quello che veniva definito come il monolite nero (PlayStation 2), diventa un giocattolino tascabile.
Di quella monumentale PlayStation 5 vanno recuperati i componenti essenziali arrivando ai titoli di coda di ciascuno dei pianeti che traboccano di livelli, sfide, colori e bot dispersi o tenuti sotto scacco dalle minacce dei nemici. Potrebbe essere un problema tutto mio, ma a un certo punto mi sono chiesto se non fosse tutto un po' esagerato. Se non stessi prendendo parte attivamente a un elaborato, divertente, scenografico stunt pubblicitario allestito da Sony. Insomma, io alle console ho anche voluto un po' di bene a un certo punto, ma era molto tempo fa, prima di farmi una famiglia e degli affetti veri.
Di fronte ai banchi di memoria ad accesso rapido da ricacciare nei loro alloggi agendo sui pulsanti dorsali del DualSense, ho pensato che avrei puntato di più su quelle schede mancanti dedicate ai bot e ai loro giochi di appartenenza. A mente più fredda, questo rifiuto potrebbe avere almeno un po' a che fare con la natura seriale della PlayStation 5, che tutto sommato non ha nell'hardware una personalità forte come quelle che misero in mostra PlayStation 2 e PlayStation 3, tra Emotion Engine e processore Cell. Insomma, cara PlayStation 5, anche meno.
Astro Bot è esplorare con gli occhi
Passato un mese e più dal lancio di Astro Bot, non servono altri pareri per capire che quello di Team Asobi è un videogioco riuscito e meritevole di attenzioni e pure di soldi. Quello che vorrei aggiungere di mio, non escludendo che sia già stato detto altrove, è che l'interpretazione di Astro Bot del canovaccio del gioco di piattaforme 3D non è affatto sorprendente.
Credo che il gioco abbia svariati limiti, tra cui un level design tutto sommato trattenuto, pur con qualche bel guizzo nelle prove più tradizionali nei satelliti più piccoli. Quello che il gioco fa bene, anzi benissimo, è risultare affidabile nel sistema di controllo, che è il punto di partenza essenziale. Raggiunto quello, si scatena sfruttando quello che tanti altri giochi di piattaforme non hanno avuto a disposizione: la potenza bruta. Si accede a ogni pianeta sicuri che qualcosa di grandioso stia per accadere. Forse sarà un pezzo intero di mondo che verrà sbriciolato, forse un inseguimento che smuoverà costruzioni poligonali abnormi, magari intere parti di mondo si metteranno a ruotare su loro stesse... Per questo motivo mi sono spinto ad avvicinare idealmente Astro Bot alle scene scriptate di certi FPS o dei giochi d'azione più in generale, da Call of Duty ad Uncharted. Torniamo così al punto di partenza, a quanto Astro Bot goda nel poter spingere con così tanta forza su tutti i pistoni della PlayStation 5.
Quello che effettivamente aggiunge Astro Bot in termini di progettazione degli elementi di gioco, è il posizionamento dei bot da salvare. Non mi pare che l'esplorazione suggerita all'interno del gioco sia paragonabile a quella dei migliori episodi di Mario in 3D (e in questo senso i due esempi più rappresentativi potrebbero essere proprio Super Mario Sunshine e Super Mario Odyssey). L'esplorazione di Astro Bot è differente e mi ha ricordato il caro, vecchio Dov'è Wally?, quei disegni in cui tra mille dettagli va identificato Wally, il ragazzo con gli occhiali e il cappellino di lana. In Astro Bot si strizzano gli occhi per cogliere la posizione e si tendono le orecchie per capire da dove arrivi la richiesta d'aiuto soffiata debolmente da un bot infilato chissà dove. Spesso quello che si cerca è racchiuso nelle stesse schermate e nelle strutture già di fronte agli occhi di chi gioca, senza che ci sia moltissimo da andare a scovare battendo strade alternative. La parte intrigante è però capire dove e come potrebbero essersi "nascosti" i bot.
È un'esplorazione differente, meno frenetica e più pacata. Che ricorda più Sherlock Holmes che Indiana Jones e che, a suo modo, funziona. Una struttura che dà ad Astro Bot una personalità che altrove gli manca, come nella scarsa varietà dei nemici o nella pochezza del suo protagonista, pronto a diventare un po' tutto perché, in effetti, di suo non è quasi nulla. Il merito più grande di Astro Bot e di Team Asobi, però, potrebbe essere quello di aver ridato ai giochi di piattaforme l'onore di poter far girare la testa a un grande pubblico, spinti dalle migliori tecnologie a disposizione.