Bastano poche ore con Dragon's Dogma 2 per capire quanto l'ultima fatica targata Capcom sia un'opera particolare. Uno di quei giochi che lasciano spiazzati con scelte di design lontane dai canoni ai quali siamo abituati e che richiedono al giocatore un approccio che lo faccia ragionare fuori dagli schemi. Che si tratti della criptica gestione delle quest o del tanto criticato viaggio rapido poco importa. Dragon's Dogma 2 è approdato sugli scaffali (fisici e digitali) con una precisa missione: rendere partecipi i giocatori di tutto il mondo della visione del suo creatore, Hidetaki Itsuno.
Quelle che alcuni hanno definito carenze non sono altro che un'applicazione personale di concetti base del game design. Concetti a quanto pare molto cari a Itsuno, autore che (nei limiti di quello che permette il mercato) è riuscito a far arrivare la propria idea a milioni di videogiocatori. Un'idea che può non essere condivisa, ma che non per questo merita di essere definita "errata".
Se si cerca la parola "autoriale" su Google, una delle prime definizioni che si può trovare è "proprio della figura o dell'opera di una persona in quanto autore". E Dragon's Dogma 2 è proprio questo: un'opera autoriale, lontana dalle regole di massa e consapevole di prendere una strada tutta sua. Una strada di certo non facile, ma senza dubbio coraggiosa. Una strada che può dare grandi soddisfazioni a chiunque si decida di percorrerla.
Una questione di obiettivi
È innegabile: la vita spinge le persone a sfruttare i mezzi a loro disposizione per raggiungere i propri obiettivi. Il lavoro serve per guadagnare dei soldi e arrivare a fine mese; andare in palestra è necessario per dimagrire e rendere tonici i propri muscoli; studiare permette di prendere dei buoni voti a scuola e superare così gli esami. C'è sempre uno scopo e un mezzo per raggiungerlo. I videogiochi possono però essere affrontati diversamente. Se nella vita dobbiamo usare dei mezzi per perseguire degli obiettivi, nei giochi possiamo scegliere gli obiettivi in funzione dei mezzi. Mezzi che nei giochi non sono altro che il mix di abilità, eventi e interazione con l'ambiente che ci viene fornito dagli autori e tramite il quale possiamo interagire con il gioco.
Hidetaki Itsuno, in Dragon's Dogma 2, vuole che vi godiate il viaggio, senza pensare esclusivamente allo scopo. Vuole che siate interessati a raggiungere degli obiettivi, ma che vi divertiate a sfruttare i succitati mezzi che vi ha messo a disposizione. Un desiderio che si sposa con alcune recenti interviste, durante le quali il game designer ha affermato che i viaggi rapidi sono una "scusa" per mascherare un sistema di esplorazione noioso. Si tratta senza dubbio di una dichiarazione estrema, ma che potrebbe nascondere un fondo di verità. Dopotutto, quando utilizzate il viaggio rapido, perché lo fate? Per raggiungere facilmente la meta o perché non vale la pena affrontare il percorso che vi porta all'obiettivo?
Secondo il filosofo Bernard Herbert Suits, "giocare è il tentativo volontario di superare ostacoli non necessari". Suits confronta i giochi con quella che lui definisce "attività tecnica", ovvero il tentare di raggiungere un obiettivo nel modo più efficiente possibile. I giochi, sempre secondo le parole del filosofo, non ci obbligano a percorrere la strada "più efficiente", bensì la "più soddisfacente". Con questa logica, Itsuno non vuole che Dragon's Dogma 2 risulti un'attività tecnica, bensì che sia un gioco godibile e divertente in ogni sua sfaccettatura, esplorazione compresa.
L'agency di Dragon's Dogma 2
Per comprendere al meglio la gestione delle missioni voluta da Itsuno, è necessario definire il concetto di agency, ovvero la capacità di agire nel mondo all'interno di un preciso contesto sociale e con regole prestabilite. L'agency del nostro quotidiano non è ovviamente la stessa che troviamo nei videogiochi, che offrono di volta in volta un grado di immersività differente in base alle scelte prese dagli sviluppatori. In alcuni casi ci troviamo di fronte a giochi dall'agency poco accentuata, in cui il giocatore è chiamato a percorrere un sentiero prestabilito, mentre altre volte ci si imbatte in opere nelle quali si può interagire con altri personaggi attraverso dialoghi a scelta multipla, riscontrando così un'agency maggiore.
Alcune quest di Dragon's Dogma 2 pretendono che il giocatore si immedesimi a tal punto nel proprio personaggio da chiedersi: "cosa farei se fossi davvero al suo posto?". Una domanda che porta l'utente a sperimentare diversi approcci, come vestirsi in un determinato modo per superare delle guardie, raggiungere il luogo indicato dalla missione in un preciso momento della giornata o tenendo d'occhio i vari personaggi, che potrebbero lasciare indizi da interpretare. Lo studio dei PNG e la varietà dettata dalle missioni rendono l'agency di Dragon's Dogma 2 a tratti unica, permettendoci di paragonare il gioco più a The Legend of Zelda: Breath of the Wild che a The Ender Scrolls V: Skyrim.
Quella di Dragon's Dogma 2 è un'esperienza che presta il fianco all'interpretazione, un elemento che alcuni giocatori hanno particolarmente apprezzato, ma che altri hanno trovato bizzarro e potenzialmente inconcludente. Ancora una volta non siamo di fronte a una situazione "giusta" o "sbagliata", bensì all'ennesima scelta di game design voluta da Hidetaki Itsuno. Una scelta controversa e contro tendenza in un mercato che punta sempre più all'accessibilità e al semplificare le cose per il giocatore medio.
Una narrativa al servizio dell'ambientazione
Scrivere storie interessanti, al giorno d'oggi, è molto complesso. Le persone sono costantemente bombardate da opere di qualsiasi tipo, finendo per fruire di un prodotto dopo l'altro con un atteggiamento quasi bulimico. Questo ha portato una parte di pubblico di videogiocatori ad annoiarsi facilmente, pretendendo che qualsiasi nuovo gioco immesso sul mercato risulti essere un capolavoro, ma senza rendersi conto che opere come The Last of Us o Alan Wake 2 non sono la norma, bensì un'eccellenza. Per tentare di dare vita a qualcosa di nuovo, i narrative designer di Dragon's Dogma 2 Makoto Ikehara e Bingo Morihashi hanno scelto di ridurre al minimo il carico della trama sul protagonista, preferendo scrivere un racconto focalizzato sull'ambientazione.
Chi se ne intende di scrittura saprà che l'ambientazione di una storia ha quattro dimensioni: epoca, ambientazione, durata e il livello del conflitto. L'epoca rappresenta la collocazione temporale della storia, mentre la location è invece legata alla collocazione spaziale; la durata è la lunghezza del racconto rispetto alla vita dei personaggi coinvolti e, infine, il livello del conflitto è il posizionamento della trama all'interno della dimensione umana di un mondo che deve apparire vivo e in costante mutazione. Le varie storie di Dragon's Dogma 2, siano esse legate alla trama principale o alle missioni secondarie, partono da questi quattro elementi per cercare di dar vita a un mondo coerente. Un mondo dove l'ambientazione delimiti le possibilità offerte al giocatore, impedendogli di rompere le regole di una narrativa che, nel suo contesto fantasy, fa di tutto per rimanere realistica e appassionante.
Questo approccio alla scrittura è evidente dal rapporto che gli autori hanno costruito tra Vermund e Battahl, posto al centro di diverse missioni e di diversi dialoghi. Ancora una volta siamo di fronte a una scelta ben precisa, che punta sul world building piuttosto che sulla sceneggiatura vera e propria. Mentre si esplorano le lande del gioco non si ha la sensazione di star assistendo a una storia dalla struttura classica, quanto piuttosto di star sbirciando dal buco della serratura di una porta che dà su nuovo mondo.
Dragon's Dogma 2 non è un gioco privo di difetti, ma "essere accomodante" non è certo tra questi. Il progetto tanto desiderato da Hidetaki Itsuno è infatti un'opera autoriale come se ne vedono di rado nel campo delle produzioni ad altissimo budget. Un'opera paragonabile a quel Death Standing di Kojima Production che, a suo tempo, fece tanto parlare di sé e fece innamorare milioni di giocatori, infastidendone altrettanti. Ma alla fine è proprio questo che devono fare le opere autoriali: far discutere, puntare i riflettori verso la filosofia alla base di alcune scelte volute dal loro autore e mostrare al mondo intero che esistono anche voci fuori dal coro. Voci che potrebbero non piacere (e questo è legittimo), ma che non devono essere ignorate.