Indiana Jones è un personaggio fondamentale per il nostro medium, non solo per com'è stata usata la proprietà intellettuale in sé, che in realtà ha prodotto poco di memorabile (a parte due immense avventure di Lucas), ma soprattutto per l'influenza che il personaggio ha avuto su di una miriade di autori e di studi di sviluppo, che lo hanno usato come modello per creare delle serie di enorme successo.
I primi tre film (il quarto molto meno) sono stati saccheggiati in lungo e in largo, tra citazioni, riferimenti diretti e cloni manifesti, tanto che si può parlare di un vero e proprio filone videoludico nato dal personaggio di George Lucas e Steven Spielberg. Per questo, con l'annuncio del nuovo Indiana Jones di Machine Games, pubblicato da Bethesda, diventa quasi un obbligo provare a capire cosa ha rappresentato questo personaggio per la storia dei videogiochi.
Gli esordi
Indiana Jones e i Predatori dell'Arca Perduta uscì al cinema nel giugno del 1981. All'epoca la nostra industria era ancora molto acerba: i videogiochi significavano soprattutto sala giochi, mentre il mercato casalingo USA era sostanzialmente in mano ad Atari. In Europa il settore aveva appena iniziato a vagire, quindi faceva poco testo sulla scena mondiale. In generale, la reattività rispetto ai fenomeni pop era ancora molto scarsa. Quindi, nonostante il grande successo del film di Steven Spielberg nelle sale, il primo videogioco ufficiale uscì solo nel novembre dell'anno successivo. Si chiamava Raiders of the Lost Ark ed era quella che oggi definiremmo un'esclusiva per Atari 2600. Programmato dal grande Howard Scott Warshaw, purtroppo ricordato solo per il famigerato E.T. The Extra-Terrestrial, era un'avventura divisa in diverse schermate, di suo davvero interessante. Nonostante i limiti dell'hardware, Warshaw aveva infatti provato a riprodurre le location più celebri del film, pur in forma strettamente simbolica, creando un gameplay non certo memorabile, ma complessivamente molto valido, che richiedeva di raccogliere e usare degli oggetti, evitando al contempo di cadere nei vari baratri o di essere uccisi dai nemici. Pressato in una manciata di Kb c'era davvero tutto quello che i fan del film potessero desiderare: i serpenti, il tempio, il mercato, i nazisti e l'arca dell'alleanza.
Probabilmente se nello stesso anno non fosse uscito Pitfall! di David Crane, che pur non avendo niente a che fare con il film riuscì a catturare molto meglio del tie-in ufficiale lo spirito avventuroso del personaggio, il titolo di Warshaw sarebbe oggi molto più ricordato. Pitfall! è un platform 2D a schermate fisse con protagonista Pitfall Harry, un avventuriero in cerca di fortuna che ha come obiettivo quello di raccogliere i lingotti d'oro sparsi per i livelli, evitando al contempo i pericoli di cui sono disseminati: baratri, laghi pieni di coccodrilli, massi rotolanti, serpenti e altri ancora. Videoludicamente parlando, Pitfall e relativo seguito (1984) riuscirono a rubare completamente la scena videoludica al povero Indy, cosa che del resto gli capiterà molte volte anche nel corso degli anni successivi, come vedremo nei prossimi paragrafi.
Scena che non riuscirà a riconquistare nel 1984 con la pubblicazione di Indiana Jones in the Lost Kingdom per Commodore 64, nonostante l'uscita nelle sale di Indiana Jones e il Tempio Maledetto fosse un traino eccezionale per il ritorno ufficiale del personaggio nel mondo dei videogiochi. Stranamente il titolo di Mindscape non era un tie-in della pellicola, ma uno spin-off.
La scelta di pubblicarlo sul solo C64 fu probabilmente dettata dall'allora condizione di estrema sofferenza del mercato dei videogiochi in USA, dopo il crollo di Atari del 1983. Il gioco in sé era un platform adventure diviso in sei schermate fisse, in cui il giocatore doveva risolvere alcuni puzzle per passare alla schermata successiva. La particolarità di Lost Kingdom era soltanto una: non dava indizi di sorta per risolvere i puzzle (in realtà nemmeno per riconoscerli), fatto che lo rendeva di una difficoltà estrema nonostante la brevità.
Molto meglio fece Indiana Jones and the Temple of Doom di Atari del 1985, in questo caso un tie-in diretto della pellicola che uscì prima in sala giochi, quindi fu convertito su vari sistemi casalinghi come il C64 e il NES. Il giocatore doveva superare più volte tre livelli ispirati a tre celebri scene del film: le miniere, dove bisognava salvare dei bambini uccidendo i nemici con la frusta, la corsa sui carrelli minerari, in cui bisognava raggiungere la fine del percorso senza farsi colpire dai nemici e senza incappare in qualche vicolo cieco, e il Tempio Maledetto stesso, dove bisognava raggiungere la pietra sacra. A ogni ciclo i livelli diventavano più difficili, fino alla conclusione dell'avventura. Non un gioco eccezionale, ma fortunatamente nemmeno orrendo.
Lo stesso dicasi di Indiana Jones in Revenge of the Ancients del 1987, altro tentativo di Mindscape con il personaggio di Lucas. Purtroppo la software house americana fece una scelta anacronistica anche per l'epoca: realizzò un'avventura completamente testuale. Non era brutta, ma non ebbe alcun richiamo, forse perché il genere era ormai andato avanti, tra le avventure grafiche di Sierra Online che facevano scuola, tra quelle di Lucasfilm che si mettevano sempre più in mostra e tra altre avventure testuali come quelle di Magnetic Scrolls che avevano dimostrato come si potesse innovare anche senza rinunciare a un approccio classico. Il mondo dei videogiochi era in fermento e non c'era più spazio per un titolo come Revenge of the Ancients, che fu presto dimenticato.
Le avventure Lucas: gli anni d’oro
Fortunatamente Indiana Jones ha avuto un suo momento di gloria anche in ambito videoludico. Dopo il caos dei tie-in dei primi due film, Lucasfilm decise di gestire direttamente la produzione dei giochi tratti dal terzo: Indiana Jones e L'ultima crociata. Comprendendo la trasversalità del personaggio, decise di realizzare due progetti distinti: da una parte un'avventura punta e clicca, dall'altra un gioco d'azione. La prima sarebbe stata sviluppata internamente e diretta a un pubblico più adulto, quello che giocava sui personal computer più in voga all'epoca, come il PC e l'Amiga, mentre il secondo sarebbe uscito su tutti i sistemi da gioco più diffusi, console comprese. Nacquero così Indiana Jones and the Last Crusade: The Graphic Adventure e Indiana Jones and the Last Crusade: The Action Game, il primo un capolavoro assoluto tra gli adventure, il secondo un platform pessimo (non per niente fu affidato a Tiertex, software house famosa per essere una specie di fabbrica capace di sfornare giochi a getto continuo, uno peggiore dell'altro) formato da soli quattro livelli ispirati alle più celebri scene del film. Anche la versione NES, uscita anni dopo le altre, fu un disastro completo.
Ma torniamo all'avventura grafica, che all'epoca fu accolta con entusiamo sia dalla stampa, sia dai videogiocatori. Basata sull'interfaccia SCUMM (Script Creation Utility for Maniac Mansion) di Ron Gilbert, fu sviluppata da un team d'eccezione formato da quattro lead designer, tra i quali Gilbert stesso, e un reparto di grafici in stato di grazia, che realizzarono alcuni dei più bei disegni che si erano mai visti in un'avventura dell'epoca. Indiana Jones and the Last Crusade: The Graphic Adventure vantava non solo un'interfaccia rifinitissima, ma anche un livello di scrittura altissimo e dei puzzle impegnativi e intelligenti, dalla risoluzione mai scontata. Gilbert e gli altri riuscirono a tradurre tutti i momenti più iconici della pellicola in forma videoludica, senza forzarli o snaturarli (peccato per qualche mini gioco arcade non proprio azzeccatissimo), creando l'Indiana Jones virtuale più vicino a quello cinematografico di sempre, nonostante la staticità intrinseca del genere.
La stessa operazione fu ripetuta qualche anno più tardi con Indiana Jones and the Fate of Atlantis, una storia originale da cui di nuovo furono tratti un'avventura grafica e un gioco d'azione. Immaginiamo che non sarete stupiti di sapere che Indiana Jones and the Fate of Atlantis: The Action Game (1992) di Attention to Detail Limited fu un titolo dimenticabilissimo. Era un action con visuale isometrica molto mediocre, diventato famoso più per alcuni bug (tipo quello dell'audio della versione Commodore 64) che per i suoi meriti ludici. Tutt'altra storia fu Indiana Jones and the Fate of Atlantis, che non solo viene ricordato come il miglior videogioco di Indiana Jones in assoluto, ma anche come una delle avventure punta e clicca più grandi di sempre... nonché come il vero quarto capitolo della saga, vista la qualità di storia e dialoghi.
Un inconsapevole Dottor Jones consegna un'antica statua nelle mani di un colonnello nazista travestito da collezionista. Sarà Sophia, una vecchia collaboratrice di Indy, a spiegargli che la statua potrebbe essere collegata al continente perduto di Atlantide. Così i due s'imbarcano in un'avventura che li condurrà in giro per i quattro angoli del pianeta. Come The Last Crusade, Fate of Atlantis fu creato usando lo SCUMM, più precisamente una versione aggiornata dello stesso, con meno verbi per le azioni e con l'inventario sempre visibile sullo schermo. Oltre a una grafica superba e dei puzzle intelligenti e appassionanti, la seconda e ultima avventura punta e clicca di Indiana Jones aveva anche dei tocchi di classi notevoli e innovativi, come la possibilità di giocare la sezione centrale in tre modalità differenti, ognuna con dei luoghi differenti da visitare, fatto che aumentava moltissimo la rigiocabilità. Nonostante il plauso generale, purtroppo Lucasfilm non diede mai un seguito a quell'esperienza, e finì invece per far sprofondare Indiana Jones nella mediocrità.
Indiana Jones insegue prima Mario, poi Lara Croft
Negli anni '90 non mancarono altri giochi tratti da Indiana Jones. Purtroppo ci fu pochissimo che sia degno di essere ricordato. The Young Indiana Jones Chronicles di Jaleco del 1992 per NES fu un discreto platform, uscito però fuori tempo massimo, ossia quando la piattaforma era ormai in una fase discendente e tutti guardavano già a Super Nintendo e Mega Drive. Come il titolo fa capire, stiamo parlando della riduzione in videogioco delle avventure del giovane Indiana Jones. Non era terribile, ma era davvero banalotto e senza spunti particolari. Instruments of Chaos starring Young Indiana Jones del 1994 per Sega Mega Drive era invece un platform 2D semplicemente orrendo, con un giovane Indiana Jones ridotto a dare la caccia a delle spie, sparse in giro per il mondo. Era quasi ingiocabile e mancava completamente l'essenza del personaggio. Molto meglio fece Indiana Jones' Greatest Adventures, sempre del 1994, ma per Super Nintendo, che sostanzialmente era un ricalco di Super Star Wars, ma con frusta e cappello. Probabilmente il platform migliore dedicato al personaggio, aveva i livelli ispirati alle scene più celebri dei primi tre film, cosa che non dispiacque ai fan.
Nel 1996 esce Tomb Raider e cambia tutto. Come Pitfall! nei primi anni '80, Lara Croft riuscì a usurpare il trono di Indiana Jones. Core Design non era nuova a titoli ispirati al noto archeologo, che aveva celebrato anche con il platform 2D Rick Dangerous del 1989, ma con Tomb Raider fece molto di più: creò una vera e propria Indiana Jones donna e fondò il genere degli action adventure 3D.
Lara saltava con grande agilità, si aggrappava alle piattaforme tirandosi su come una ginnasta, superava baratri come se non avesse fatto altro da quando era nata, risolveva puzzle complicatissimi, affrontava criminali moderni e creature antiche con incredibile disinvoltura e, soprattutto, era carismatica e affascinante. Manco a dirlo, entrò prepotentemente nel cuore dei videogiocatori diventando una delle icone più riconoscibili del medium tutto, nonché uno dei pochi personaggi capace di sfondare anche tra un pubblico di non appassionati. A livello di gameplay mescolava Fade to Black a Prince of Persia, ma in modo fresco e, soprattutto, mai visto prima. Fu uno step evolutivo importantissimo per il mondo dei videogiochi, di cui ancora oggi possiamo godere alcune frutti.
Intanto Indy stava a guardare. Lucasfilm ormai si era trasfigurata in Lucasarts ed era solo l'ombra di quello studio creativo e pieno di talenti, diventato sinonimo di giochi di altissima qualità e altamente rifiniti tra gli anni '80 e '90. Nel 1999 provò a inseguire Tomb Raider con Indiana Jones and the Infernal Machine, un clone spudoratissimo del titolo di Core Design, ma molto meno ispirato, perché più semplice nei puzzle e meno spettacolare nella costruzione dei livelli.
Anche la trama era roba da poco: Indy deve vedersela con i sovietici che stanno cercando i pezzi di un'antica macchina babilonese. Naturalmente vogliono usarla come arma. Molto meglio fece Indiana Jones and the Emperor's Tomb del 2003, un altro action 3D, in cui Indy deve cercare un potente manufatto in giro per l'Asia, con i nazisti che lo tallonano per tutta l'avventura. Caratterizzato da molte fasi esplorative, tante sparatorie e un uso intelligente della frusta, Emperor's Tomb ha il grosso difetto di non provare a far fare nemmeno mezzo passo in avanti al genere. La sua natura di clone emerge prepotente in più occasioni. Non è completamente disprezzabile, ma da Indiana Jones ci si aspettava qualcosa di più: uno scatto di reni per riprendersi il trono ancora saldamente in mano a Lara Croft. Invece...
Invece la vita videoludica di Indiana Jones subisce uno stop di diversi anni, se non consideriamo i progetti minori. Indy sparisce dalla scena e ci ritorna solo nel 2008, in concomitanza con il quarto film: Indiana Jones e il Teschio di Cristallo.
Quell'anno viene infatti pubblicato LEGO Indiana Jones: The Original Adventures, che come il titolo fa intuire è un action 3D a base di LEGO, con i personaggi tratti dai film di Indiana Jones. Non è malvagio, ma è appunto solo uno dei tanti giochi del brand LEGO, quindi niente di troppo specifico e niente che avesse a che fare direttamente con il film appena passato dalle sale cinematografiche. Se vogliamo è più un'operazione celebrativa che un modo per provare a rivitalizzare il personaggio. Paradossalmente l'unico tie-in ufficiale del quarto film sarà un gioco mobile omonimo di pessima fattura; un platform lento e senza guizzi, finito presto nel dimenticatoio.
Nel 2009, comunque, usciranno altri due giochi con protagonista il coraggioso archeologo: LEGO Indiana Jones 2: The Adventure Continues, ovviamente seguito di The Original Adventures, e Indiana Jones and the Staff of Kings. Se il primo dei due non necessita di spiegazioni, il secondo merita qualche parola in più: è un'avventura 3D di pessima fattura, commissionata da LucasArts a Artificial Mind & Movement.
Il suo punto di forza dovevano essere gli scenari altamente interattivi e le scene d'azione di stampo cinematografico. Peccato che tanti buoni propositi naufragarono in una realizzazione pigra, fatta di situazioni stereotipate, combattimenti noisi, quick time event piattissimi e una trama banale. C'era anche una modalità multiplayer, ma l'hanno provata davvero in pochi.
Tanto per aggiungere un po' di sale sulle ferite, ricordiamo che nel frattempo il mercato si era arricchito anche di un altro epigono di Indiana Jones, che avrebbe fatto scuola. Nel 2007 era stato pubblicato Uncharted: Drake's Fortune di Naughty Dog per PS3, che aveva riscosso un buon successo, portando agli onori delle cronache il personaggio di Nathan Drake, un avventuriero scapestrato alla costante ricerca di fortuna e gloria. La serie si affermerà completamente nel 2009, con Uncharted 2: Among Thieves, titolo che traghetterà l'intero genere lontano dal modello Tomb Raider, per dargli un taglio più cinematografico.
Indiana Jones di suo aveva invece mancato l'ennesima occasione ed era stato superato per la terza volta. Lucasarts semplicemente non credeva più nel suo personaggio, che da quel momento in poi fu letteralmente congelato e lo è stato fino al recente annuncio di Bethesda. Speriamo che sia la volta buona per tornare a dare un po' di lustro al personaggio e risollevarlo dalla mediocrità in cui è affogato da Fate of Atlantis in poi.
Titoli minori
Il franchise Indiana Jones è stato sfruttato anche per diversi progetti minori, tutti dimenticabilissimi, che citiamo solo per dovere di cronaca. Nel 1996 Lucasarts pubblica Indiana Jones and his Desktop Adventures per PC e Mac, un minigioco da desktop in cui Indy deve affrontare delle brevi avventure generate proceduralmente, purtroppo tutte molto simili tra loro. Nel 2007 vengono invece pubblicati i tre The Adventures of Young Indiana Jones, ossia una serie di giochi educativi che lascia il tempo che trova. Ancora più sconosciuto e irreperibile è l'Indiana Jones del 2008, un altro gioco educativo, ma questa volta per l'oscura console portatile Didj Custom Gaming System, di cui non saremmo stupiti se non aveste mai sentito parlare. Nel 2009 è la invece la volta di un secondo gioco mobile: Indiana Jones and the Lost Puzzles, un insignificante puzzle game di THQ Wireless che non aveva niente da dire allora, figurarsi oggi. Infine, nel 2011 fu la volta di Indiana Jones Adventure World di Zynga, ossia un Facebook game in cui Indy incontrava le meccaniche di Farmville... il che è tutto dire.
Indiana Jones come fonte d'ispirazione
Di giochi ispirati a Indiana Jones ce ne sono una moltitudine. Alcuni dei più famosi li abbiamo già citati per contestualizzare meglio la storia del franchise, ma ce ne sono altri che meritano di essere menzionati. Tanto per fare un esempio indicativo della penetrazione del personaggio nella cultura popolare, lo sapevate che il protagonista del primo Castlevania fu armato di una frusta perché Hitoshi Akamatsu, il director del gioco, amava Indiana Jones e i Predatori dell'Arca Perduta? Naturalmente si tratta di un piccolo riferimento, anche difficile da cogliere, ma in altri casi l'ispirazione è stata decisamente più palese, come nel vecchio platform a schermate fisse Montezuma's Revenge per sistemi a 8-bit o nei due più recenti La-Mulana. Caso ancora più celebre è quello degli Spelunky, dove il protagonista del primo episodio è evidentemente ispirato all'archeologo di Lucasfilm, sia nelle fattezze, sia nelle armi (combatte usando una frusta). Meno conosciuto, ma comunque innegabilmente nello stesso filone, è Deadfall Adventure, sparatutto in prima persona di The Farm 51 dalle atmosfere ispirate a quelle degli Indiana Jones. Lo stesso dicasi per la hit mobile Temple Run, che non fa niente per nascondere il suo punto di riferimento principali in termini di immaginario. Insomma, le tracce di Indy si trovano davvero in numerosissimi titoli, alcuni dei quali insospettabili. Citarli tutti è impossibile ed esula dagli obiettivi di questo speciale. L'importante è che si capisca il ruolo avuto da questo splendido personaggio nella storia dei videogiochi.