Andando all'origine del termine "casa", è interessante notare come non ci si limiti a definire la propria dimora come un edificio coperto all'interno del quale poter riposare. La casa è, prima di tutto, un luogo sicuro. Una sorta di scudo difensivo dai pericoli esterni, che rischiano di minacciare la nostra incolumità fisica o psicologica. Il rapporto che lega l'aspetto architettonico con quello psicologico della casa è studio da diversi anni di esperti del settore. La "psicologia dell'abitare" è infatti un'interessante analisi che lega gli elementi presenti nelle abitazioni con l'essenza di coloro che la abitano. Uno specchio dell'anima a metà tra la bioarchitettura e il Feng-shui, che permette di analizzare l'identità psichica delle persone, empatizzando di conseguenza con esse.
Questi studi non sono utili solamente per coloro che vogliono studiare la mente delle persone, ma anche a chiunque cerchi di replicarne gli schemi. Realizzare un'opera narrativa ambientata in una casa, sia essa di campagna o una villa sfarzosa, richiede un'analisi approfondita della materia, in modo da raccontare senza parole i vari personaggi che la abitano. Una verità che, se applicata al mondo dei videogiochi, deve anche fondersi con il lessico del Game Design e, nello specifico, del Level Design.
Avete mai sentito parlare di neuro-architettura? Si tratta di una branca medica che fonde, come potrete immaginare, l'architettura con la psicologia. Costruire una casa (o anche arredare una singola stanza) attiva alcuni aspetti del sistema nervoso che impattano poi sull'umore quotidiano. Questo discorso si sposa perfettamente anche con lo sviluppo dei videogiochi, dato che il nostro cervello reagisce in funzione del tipo di ambiente nel quale si trova. Dopotutto è innegabile: esplorare la Villa Derceto di Alone in the Dark non suscita le stesse emozioni della magione di Lara Croft. Ma su quali leve psicologiche fanno forza gli sviluppatori? Ragioniamoci insieme.
Giocare di contrasti
Come abbiamo già avuto modo di affermare, la casa viene percepita come un luogo sicuro all'interno del quale poter riprendere fiato. Una percezione quantomeno "bizzarra", dato che la maggior parte degli incidenti avviene proprio tra le mura domestiche. In ogni caso, molti sviluppatori di videogiochi hanno deciso di costruire le loro storie dell'orrore proprio attorno a questa nostra sicurezza. Storie che partono talvolta da ville sfarzose e affascinanti, ma anche da piccoli appartamenti e da case ben più modeste, per poi mettere in scena le peggiori mostruosità atte a impattare sulla psiche del giocatore.
È il caso, per esempio, della Villa Spencer vista (e vissuta) nel primo Resident Evil. Costruita dall'architetto George Trevor, questo edificio viene presentato come l'unica possibilità di salvezza per Jill, Chris e il resto della squadra Alpha, che si trova inseguito da mostruosi cani zombie una volta atterrati nei pressi dei Monti Arklay per scoprire cosa sia accaduto ai loro compagni della squadra Bravo. Agli alberi spettrali e alle fauci delle creature si sostituiscono rapidamente il calore delle candele poste sui candelabri della sala principale e i numerosi quadri appesi alle pareti. Un ambiente caldo e confortevole, ma che si rivela presto solo una maschera per un laboratorio sotterraneo dall'aspetto freddo e asettico. Il tutto è esattamente coerente con quanto appena affermato: il design non è altro che un riflesso della psicologia di coloro che vivono in una precisa area.
Lo stesso vale per la succitata Villa Derceto di Alone in the Dark, riproposta con grande dignità anche nel recente remake di Pieces Interactive. Il team svedese non sarà forse riuscito a riportare la serie ai fasti dei capitoli originali, ma ha senza dubbio compreso alla perfezione il concetto di neuro-architettura, dando vita a un'ambientazione affascinante che sembra uscita direttamente da un romanzo di Lovecraft.
Per non parlare poi dell'appartamento di Silent Hill 4: The Room, riflesso della psiche di Henry Townshend, o del corridoio del mai abbastanza elogiato P.T. di Hideo Kojima. Insomma: le case sono al centro di numerose esperienze horror, ma in alcuni casi la "paura" può essere lasciata leggermente in disparte in funzione del "mistero".
Il fascino dell'ignoto
Rimanendo sempre nell'ambito del contrasto, alcuni videogiochi preferiscono sacrificare alcuni elementi ludonarrativi come i jumpscare o un vero e proprio sistema di combattimento in favore della "semplice" esplorazione e del travolgente piacere della scoperta. Dopotutto ognuno di noi conosce la propria casa, che ci appare come luogo sicuro proprio in quanto ambiente noto. Cosa succede, quindi, quando la dimora che stiamo esplorando nasconde dei misteri? Quando ciò che sembra ordinario diventa straordinario (nel senso letterale di "fuori dall'ordinario")? Succede che il giocatore si trova partecipe di un mistero da risolvere, empatizzando con il protagonista e risolvendo l'arcano insieme a lui. Una doppia vittoria, quindi: da un lato abbiamo usato un ambiente domestico per valorizzare l'ignoto, dall'altro abbiamo permesso all'utente di immedesimarsi maggiormente nel suo avatar digitale.
Coloro che hanno potuto esplorare il catalogo di Nintendo Gamecube sicuramente ricorderanno con estremo piacere Villa Roivas, protagonista silenziosa di quel piccolo capolavoro che risponde al nome di Eternal Darkness. I ragazzi di Silicon Knights sono riusciti a creare un perfetto riflesso architettonico di Edward Roivas, nonno dal passato misterioso di Alexandra Roivas, protagonista di questa folle avventura a tinte horror. Un edificio che non solo rispecchia alla perfezione le antiche ville del Rhode Island, ma che utilizza ogni singola stanza come se fosse una sorta di escape room disseminata di enigmi da risolvere. È inevitabile, quindi, empatizzare con Alexandra e con il suo costante stupore scaturito dai numerosi misteri portati alla luce. Misteri che non sempre hanno una risposta chiara, ma che proprio per questo risultano affascinanti.
E cosa dire di quei titoli che tentano di trasmettere questa sensazione al giocatore nel modo più realistico possibile? È il caso di The 7th Guest, celeberrimo puzzle game del 1993 che trent'anni dopo ha visto la villa di Henry Stauf trasportata nel mondo della realtà virtuale. The 7th Guest VR, titolo sviluppato da Vertigo Studios e da Exkee, accompagna il pubblico all'interno di una misteriosa villa nella quale ogni singola stanza riflette la psicologia di coloro che la abitano. Un'opera in grado di trasmettere la suspense proprio attraverso il design degli ambienti, che risultano presto tanto familiari quanto lontani dal nostro quotidiano.
Frammenti di memorie
Lasciamoci ora la tensione e il mistero alle spalle. Come già affermato, la casa è anche uno specchio della nostra vita di tutti i giorni. Una vetrina della nostra personalità che funge tanto da biglietto da visita per coloro che ospitiamo, quanto come memoriale per ricordarci sempre chi siamo davvero. Non è un segreto, infatti, che moltissime persone utilizzino le proprie case per esporre frammenti del passato come fotografie, quadri o oggetti provenienti da una precisa avventura rimasta nel cuore di coloro che l'hanno vissuta. Un discorso che i videogiocatori possono fare anche con i vari "gadget" presenti nelle Collector's Edition dei propri titoli preferiti. Esporre una statuetta o appendere al muro una mappa di un mondo fantastico ha esclusivamente la funzione di ricordarci le emozioni provate durante il gioco stesso, assorbendo così un pizzico di quel sentimento ogni volta che il nostro occhio ricade sull'oggetto di turno.
Impossibile, quindi, non citare quella gemma di Unpacking sviluppata da Witch Beam e pubblicata da Humble Games. Un titolo che racconta la storia di una singola persona proprio attraverso le case nelle quali ha vissuto. Quello che sembra un "banale" puzzle game nel quale scegliere dove posizionare i vari oggetti contenuti negli scatoloni durante i numerosi traslochi della protagonista è in realtà un titolo che parla della maturità, dell'importanza dei ricordi e di quanto la vita sia talvolta effimera. Ha senso arredare la propria casa con dei frammenti del proprio passato, oppure dovremmo smettere di voltarci nostalgicamente in direzione dei periodi più semplici della nostra vita? Una domanda alla quale Unpacking non vuole dare risposta, ma che sarete comunque costretti ad affrontare nel corso di questa splendida esperienza digitale.
Se da un lato è inevitabile riportare ciò che vediamo in un videogioco al nostro vissuto, è innegabile che talvolta si senta la necessità di perdersi in un racconto e nei suoi protagonisti. È il caso dell'inizio di Uncharted 4: Fine di un ladro, nel quale possiamo liberamente esplorare la casa di Nathan e di Elena. Ecco che le mura domestiche diventano quindi il perfetto riflesso dei due padroni di casa, permettendo al giocatore non solo di veleggiare sul mare della nostalgia, ma anche di scoprire alcuni eventi accaduti lontani "dalle telecamere". Ancora una volta la casa diventa specchio della psiche di coloro che la abitano. Ma cosa accade, invece, quando siamo noi a dover scegliere come arredare il tutto?
La casa siamo noi
Chiunque abbia comprato casa, sia andato in affitto o abbia deciso di arredare la propria stanza è sicuramente a conoscenza delle numerose complicazioni che si frappongono tra le idee iniziali e il risultato finale. Che si tratti di problemi economici o di spazio, infatti, spesso è complesso riuscire a ricreare il proprio ambiente ideale. A tamponare queste limitazioni arrivano però i videogiochi. Da diversi anni esistono titoli che permettono all'utenza di creare il proprio spazio personale perfetto, nella speranza di riuscire a trasmettere vibrazioni positive grazie a quella neuro-architettura citata in apertura.
Titoli come Animal Crossing e Minecraft, giusto per fare due esempi, vivono anche di questa loro possibilità di personalizzazione. Nel caso del franchise targato Nintendo e creato da Katsuya Eguchi e da Hisashi Nogami possiamo addirittura azzardare che l'housing (termine che viene associato alla creazione di una propria dimora) sia persino alla base dell'esperienza. Dopotutto sistemare la propria casa e visitare quelle altrui è effettivamente l'attività principale di un gioco che ha come obiettivo quello di creare una sorta di realtà parallela ben più idilliaca della nostra.
In un modo o nell'altro, le case dei videogiochi hanno sempre un ruolo più o meno importante. Talvolta vengono utilizzate come elemento narrativo, altre volte come strumento psicologico, ma mai e poi mai rimangono fini a sé stesse. Che si tratti della casa del nostro Dovahkiin personale o della magnifica Villa Auditore di Monteriggioni poco importa. La casa è dove si trova il cuore... e dove un videogiocatore può riflettere le proprie emozioni".