La realtà virtuale è la rivoluzione di Schrödinger: non si sa se è avvenuta o no. Annunciata da anni - da ben prima che entrasse sul mercato Sony con il suo PlayStation VR e da ben prima che Meta, società che controlla Facebook, Instagram e WhatsApp, iniziasse a investire miliardi di dollari scommettendo che il "metaverso" sia la prossima frontiera della socialità digitale - l'impressione è che il discorso venga ripristinato a ogni nuovo lancio. Un reset. È di nuovo l'anno zero.
Ciò nonostante i dati di mercato non indichino in nessun modo che la realtà virtuale sia uscita dalla sua fase di "nicchia". Né che sia pronta a farlo tanto presto. Sebbene siano svariate le società che vogliono contendersi la quota maggioritaria del mercato - Meta, HTC, Valve, Sony e ByteDance per dirne alcune - a guardare i dati di oggi e le previsioni di domani sembra che queste società si stiano scannando per un mercato che vale molto, molto meno di quanto la pioggia di investimenti e le entusiastiche affermazioni diano da intendere. Peraltro, alcune recenti notizie raccontano un riassestamento dell'immagine della realtà virtuale in qualcosa di meno eclatante - e forse, allo stesso tempo, un po' più concreto.
Cos’è oggi il mercato della realtà virtuale
Intanto, cosa dicono i freddi dati. Secondo le stime di Newzoo, riassunte nel VR Games Market Report, nel 2022 il mercato della realtà virtuale applicata ai videogiochi ha generato 1,8 miliardi di dollari. Le previsioni parlano di 2,5 miliardi di dollari nel 2023 e di 3,2 miliardi di dollari nel 2024.
Il numero di visori attivi - che, attenzione, Newzoo identifica come qualunque visore usato anche solo una volta nell'arco di 12 mesi - è di 27,7 milioni nel 2022, destinato a salire fino a 46 milioni nel 2024. L'idea che un utente attivo, però, usi una sola volta all'anno un visore dice comunque quanto generoso sia questo rapporto, almeno nel momento di valutare quale sia l'effettiva base installata di potenziali fruitori dei videogiochi in realtà virtuale.
Ulteriori dati importanti riguardano il rapporto fra chi gioca ai videogiochi, in generale, e chi invece fruisce della realtà virtuale. In altre parole: quanti videogiocatori poi giocano realmente in realtà virtuale. Ebbene, le stime indicano che nel 2022 il tasso di penetrazione globale - cioè quante persone, rispetto alla popolazione mondiale, fruiscono dei videogiochi - era del 41,9%; mentre quello dell'hardware di realtà virtuale appena l'1%. Le previsioni non sono poi così più positive: nel 2027, con una penetrazione complessiva dei videogiochi pari al 51,3% segue di pari passo l'1,7% dell'hardware di realtà virtuale.
Questa stima ha fatto molto parlare di sé per un motivo in particolare: l'ha condivisa l'ex presidente di Nintendo of America, Reginald Fils-Aimé, su Twitter. Con un commento chiaro, almeno circa la sua prospettiva: "Finché non ci sarà un'esperienza 'must play', questa sarà vera", riferendosi alla previsione di Statista di cui ha riportato l'infografica.
Cos'è un'esperienza "must play"? Non solo un'esperienza di qualità, ma un fenomeno così importante da strabordare i confini del mezzo, in questo caso la realtà virtuale, fino a diventare parte della cultura generale: Super Mario Bros, Pokémon, Angry Birds.
Fra licenziamenti e tagli di prezzo
Ci sono stati, poi, una serie di sviluppi recenti che hanno ulteriormente minato l'idea che la realtà virtuale stia crescendo. Anzi, nonostante stime di ricavi piuttosto basse - che quindi, sulla carta, suggerirebbero un ampio margine di miglioramento - molte società stanno correggendo il tiro al ribasso. Vale a dire: si stanno tirando indietro.
Per esempio, ByteDance (la casa madre di TikTok, per intenderci) ha licenziato il 30% dei dipendenti di Pico, che ha acquisito nel 2021 e che di recente ha lanciato sul mercato Pico 4. Un altro colosso cinese, Tencent, ha abbandonato i suoi piani per puntare sull'hardware in realtà virtuale e sul metaverso, secondo indiscrezioni riportate da Reuters. Nei mesi precedenti, Tencent aveva assunto circa 300 persone per mettere insieme un gruppo di talenti per lavorare sulla realtà virtuale e quella mista.
Ci sono poi i tagli di prezzo che Meta ha annunciato sia per Quest 2 sia per Quest Pro. Nel primo caso, è un aggiustamento di prezzo modesto (un calo di 70 dollari) della versione con 256 GB di spazio di archiviazione; nel secondo è un taglio di ben 500 dollari. Non che a 999 dollari Quest Pro sia improvvisamente più abbordabile; ma questa decisione dice tanto. Primo perché Quest Pro è stato lanciato sul mercato a ottobre. E poi perché una simile mossa suggerisce o che la risposta sia stata scarsa o che Meta abbia dovuto rivedere, alla luce di nuove situazioni emerse dal lancio, il posizionamento commerciale del visore di fascia alta. In entrambi i casi: non un buon segno rispetto a quanta domanda ci sia per i visori.
In tal senso, il resoconto di International Data Corporation (IDC) per il 2022 ha indicato che le vendite dei visori di realtà virtuale e realtà aumentata sono calate su base annua del 20,9% fino a 8,8 milioni di unità. Certo: nel 2021, complice la pandemia, la domanda è stata più alta di quanto sarebbe stata in un contesto normale. Ma per un mercato che, in teoria, è piuttosto giovane sono ulteriori risultati che raccontano un'altra storia.
Del mercato complessivo, Meta - che ha venduto 20 milioni di Quest in tutto - ha una quota dell'80%. Praticamente Quest da solo dà forma e sostanza al mercato della realtà virtuale. Pico di ByteDance è il secondo visore con appena il 10%. Certo, non c'era ancora PlayStation VR2 sul mercato. E qui veniamo ai tre grandi produttori console: Sony, Nintendo e Microsoft.
I tre assi del mondo console
Il posizionamento di Sony è evidente. D'altronde, ha appena lanciato sul mercato un nuovo visore di realtà virtuale. Non è questa la sede per valutare i pro e i contro o l'offerta di videogiochi di PlayStation VR2: per chi è interessato c'è la recensione. E ovviamente Sony insiste che la seconda generazione abbia la possibilità di vendere di più di quella precedente (o almeno lo pensa il suo direttore finanziario, Hiroki Totoki).
C'è da fare un piccolo salto indietro nel tempo, prima di continuare. Quando uscì il primo PlayStation VR, Sony aveva una base installata di oltre 47,4 milioni di PS4. Nel giro di otto mesi - a giugno 2017 - Sony aveva venduto un milione di PS VR, che costava 399 euro (e non 599), quando c'erano più di 63 milioni di PS4 sul mercato. Oggi ci sono almeno 30 milioni di PS5 sul mercato. Con lo stesso rapporto significherebbe 470 mila unità. Ma i confronti non sono facili da fare: tempi diversi. Solo per dire che non è semplice né scontato raccogliere le stesse cifre del primo PlayStation VR.
Nintendo ha sperimentato con la realtà virtuale come sa fare lei: cioè rendendola un giocattolo. L'unica iniziativa che potrebbe essere fatta rientrare nella macrocategoria della realtà virtuale, infatti, è il kit relativo per Nintendo Labo. Un'esperienza molto semplice e che è rimasta ciò che era stata concepita essere: una stravagante parentesi e niente di più. Anche considerato che Nintendo Labo in sé non ha centrato le aspettative di vendita.
E poi c'è Microsoft. Per quanto anni fa, quando sul mercato c'era Xbox One, la società avesse lasciato intendere che presto la console avrebbe supportato anche visori di realtà virtuale, le cose poi sono andate diversamente. Già nel 2018, Microsoft cambiò piani affermando che "la nostra prospettiva è sempre stata e continua a essere che sia probabilmente il PC la migliore piattaforma per realtà virtuale e aumentata più immersiva" e che "il nostro focus è soprattutto sulle esperienze che puoi giocare su un TV".
La stessa prospettiva è stata ribadita nel 2021, sottolineando che "il VR per console non è un focus per noi al momento". E quel momento perdura ancora oggi, nel 2023.
L’esperienza diretta di Bamboo Studio
A credere che la realtà virtuale non sia ancora quella promessa da tempo è anche Giuliana Muto, co-fondatrice di Bamboo Studio, che al momento sta lavorando a Project A.R.M., previsto per Quest.
"Non abbiamo ancora raggiunto la tecnologia giusta", dice. "Ci stiamo avvicinando, ma anche i visori moderni non sono loro la vera rivoluzione. I primi visori erano difficili da usare, bisognava montare le torrette, avere una sala molto luminosa altrimenti i controller non venivano rilevati e i controller erano scomodi. Sono problemi che con Quest 2 e PS VR2 si stanno perdendo, però ancora non siamo arrivati lì, ecco. Manca ancora qualcosa con la tecnologia. È ancora acerba".
Il problema rimane uno, soprattutto: comunicare la realtà virtuale a chi non l'ha ancora provata. E magari ha paura della motion sickness. Oppure l'ha provata anni fa, quando era meno matura, e la scottatura ha spinto queste persone a mettere una pietra tombale sulla tecnologia. "Tante persone hanno paura di sentirsi male", concorda Muto. "C'è lo scalino iniziale da superare".
E allora, come si risolve? Il passaparola, per ora, resta il metodo più efficace. In un certo senso, chi ha provato la realtà virtuale si deve muovere anche come evangelista della tecnologia. "Io, per esempio, faccio molta divulgazione", racconta Muto. "C'è molta ignoranza fra le persone. Bisogna mettersi di impegno. È un po' come tutte le novità: le persone fanno fatica ad accettare qualcosa di nuovo. Immagina poi cosa vuol dire per la realtà virtuale, che è un altro mondo".
Mentre per altri giochi vengono spinti dalla popolarità che raggiungono sulle piattaforme di streaming, per la realtà virtuale ancora non è così. Secondo Muto, "gli streamer che portano giochi in realtà virtuale sono pochi o poco seguiti. Queste piattaforme portano il prodotto alla massa, ma se questo prodotto non viene portato...".
A rinunciare all'idea che la realtà virtuale sia una rivoluzione, però, Muto non ci crede. Anzi, sostiene che "fra 5-6 anni sarà un prodotto di massa. Così come tutti oggi hanno una console o un PC da gaming, avranno anche un visore di VR. Penso che piano piano diventerà un prodotto di massa. Mi pongo semmai la domanda di: come arriverà alla massa oltre ai giochi? Se ne parla in modo aleatorio, con i metaversi aziendali, per dire".
Durante l'intervista con Muto, si tocca il tweet di Fils-Aime. Una posizione netta da parte di un dirigente di esperienza. Lei come sviluppatrice di un videogioco in realtà virtuale, concorda o no? "Non sono d'accordo", risponde secca. E ha un nome di titoli che rappresenta, già oggi, quel "must play" che secondo Fils-Aime manca ancora sul mercato: ed è Half-Life Alyx. "Per me è un gioco, anche dal lato artistico e musicale. Se ci dev'essere un gioco della realtà virtuale, allora è questo. È veramente una bella esperienza".
Al di là di diverse visioni su dove andrà il settore della realtà virtuale, però i numeri sono chiari: oggi il mercato ha ancora dimensioni modeste. Non si può sfuggire dal limite dei visori di realtà virtuale distribuiti e attivi, che è molto più basso di qualunque console oggi sul mercato. "Il visore non fa i numeri di Switch o PS5, questo è ovvio", sottolinea Muto. "Con Project A.R.M. stiamo studiando su cosa investire e su cosa no. Noi stiamo cercando fondi, ma non tanto in Italia. Alle fiere - va avanti Muto - ci andiamo per farci notare però l'obiettivo nostro non è l'Italia: c'è poco investimento".
E poi racconta una sua esperienza con un editore di videogiochi, forse esemplificativa di che tipo di aria tira. "Mi è capitato di parlare con un publisher italiano, che mi ha detto che non investono in realtà virtuale perché è un mercato fallimentare. Ma i numeri ci sono", controbatte Muto. "[Il remake di] Resident Evil 4 sarà anche in realtà virtuale. Half-Life Alyx è in realtà virtuale. E questi sono bei titoli".