Monolith Productions è stata fondata nell'ottobre del 1994 a Kirkland, nello stato di Washington, da un manipolo di sviluppatori e produttori. Nei suoi oltre trent'anni di vita lo studio ha realizzato esperienze innovative e significative, cercando di sperimentare sul piano della narrazione e delle meccaniche di gameplay passando dagli sparatutto agli action adventure.
L'esordio del team è avvenuto nel 1997 con lo sparatutto in prima persona Blood, uscito in un periodo in cui giochi come DOOM e Quake andavano per la maggiore. A differenza dei prodotti targati id Software, tuttavia, Monolith ha cercato di approfondire il tema horror e di proporre una trama che avesse un significato: due elementi che hanno consentito loro di spiccare nonostante il panorama inflazionato dell'epoca.
Vent'anni dopo, con La Terra di Mezzo: L'Ombra di Mordor, lo studio ha creato il Sistema Nemesis: una tecnologia che aggiunge alle normali routine comportamentali dei personaggi non giocanti un elemento inedito, ovverosia la memoria: è così che gli scontri ricorrenti si trasformavano nei vari stadi di una rivalità sempre più accesa e feroce.
Le origini e il sangue
Il nome Monolith Productions è probabilmente legato al monolite che si vede in 2001: Odissea nello Spazio: i membri del team hanno raccontato che ai tempi guardavano molti film ed erano alla ricerca di una parola che non superasse gli otto caratteri per via delle limitazioni tecniche del sistema operativo MS-DOS, che appunto non consentiva di utilizzare più di otto lettere per nominare i file.
L'ultima versione del logo, composto da due quadrilateri sovrapposti con sotto la scritta "Monolith", è invece frutto di diverse revisioni effettuate nel corso degli anni, mirate più che altro a ottenere una buona leggibilità sulle confezioni dei giochi e nei materiali relativi al marketing. All'inizio in effetti il design era molto diverso e meno elegante, con tre triangoli a rilievo a formare una "M".
Era appunto questa immagine a rappresentare il primo elemento grafico che gli utenti vedevano dopo aver lanciato Blood. Uscito nel 1997 su PC, il gioco si rifaceva in maniera evidente ai titoli di id Software, utilizzando un'interfaccia decisamente simile a quella di DOOM e il medesimo 3D "artificiale", nonché quello stesso movimento della camera ondivago a simulare la camminata del protagonista, Caleb: un uomo mosso da un bruciante desiderio di vendetta.
A cambiare erano il level design e soprattutto l'arsenale, decisamente bizzarro: il nostro personaggio combatteva imbracciando un forcone, una pistola, una coppia di mitragliatrici leggere o un accendino con di fianco un candelotto di dinamite pronto per essere innescato e lanciato. Le sequenze venivano inoltre accompagnate da un comparto audio inquietante e di grande atmosfera.
Dal buonumore al terrore
A guardare il curriculum di Monolith Productions si rimane davvero sorpresi dalla parentesi che nel 2000 ha visto il team dedicarsi allo sparatutto irriverente The Operative: No One Lives Forever. Tecnologicamente molto più avanzato rispetto agli esordi dello studio, il gioco utilizzava una grafica cartoonesca per metterci al comando di una spia alla Austin Powers, senza prendersi mai sul serio e citando i classici spy movie con la sua raffinata colonna sonora.
Nonostante gli apprezzamenti ricevuti e l'uscita di un secondo episodio due anni dopo, la serie non ha però avuto un seguito e così il team ha pensato bene di tornare a rifugiarsi nell'orrore, dando vita nel 2005 a una delle sue opere più iconiche: F.E.A.R. Acronimo di First Encounter Assault Recon, questo coinvolgente sparatutto miscelava le meccaniche tipiche del genere con una trama degna di un survival horror, che ruotava attorno alla misteriosa e potentissima Alma.
Al comando di un soldato dotato di abilità speciali, Point Man, il nostro compito nel gioco era quello di affrontare la minaccia rappresentata dalla Armacham Technology Corporation, una corporazione senza scrupoli dedita allo sviluppo di guerrieri muniti di poteri paranormali. Una delle peculiarità di F.E.A.R. era appunto il focus sulla narrazione e sulle atmosfere, persino a discapito della componente action.
Un limite, quest'ultimo, che Monolith Productions ha cercato di superare nel 2009 con F.E.A.R. 2: Project Origin, andando ad arricchire le meccaniche del gameplay al fine di confezionare un'esperienza sparatutto che fosse più frenetica e veloce, dotata peraltro di ottime routine comportamentali per i nemici; pur senza rinunciare al racconto e all'approfondimento narrativo, che offriva in questo caso uno sguardo alle origini di Alma e dell'Armacham.
Intenti criminali
Praticamente in contemporanea con la nascita di F.E.A.R. gli sviluppatori di Monolith Productions hanno realizzato anche un'altra nuova proprietà intellettuale iconica, che molti ancora ricordano con affetto. Stiamo parlando di Condemned: Criminal Origins, un action in prima persona pubblicato anch'esso nel 2005 e che traeva ispirazione da pellicole come "Seven" e "Il Silenzio degli Innocenti".
La storia del gioco ruotava attorno a Ethan Thomas, un agente dell'FBI assegnato alla Serial Crime Unit e dotato della capacità di percepire le intenzioni violente dei killer. Alle prese con un aumento degli omicidi commessi da senzatetto, l'uomo si trovava a dover indagare su orribili scene del crimine e ad affrontare scontri corpo a corpo davvero viscerali, capaci di comunicare in maniera eloquente ogni singolo impatto.
Quando però finiva per essere accusato lui stesso di un delitto che non aveva commesso, Ethan veniva chiamato a dar fondo a tutte le proprie risorse e ad agire di nascosto dai suoi stessi colleghi nel tentativo di trovare l'uomo misterioso che stava provando a incastrarlo: una ricerca che lo avrebbe ben presto condotto a esplorare luoghi intrisi di odio e disperazione.
Dotato di una trama particolarmente coinvolgente e di atmosfere davvero inquietanti, Condemned: Criminal Origins ha in qualche modo dato vita a un sottogenere ed è davvero un peccato che alcune scelte compiute da Monolith con il sequel, Condemned 2: Bloodshot, non abbiano incontrato il favore del pubblico, condannando (appunto) all'oblio un franchise dannatamente ricco di potenziale.
La Terra di Mezzo e il Sistema Nemesis
Il culmine della carriera di Monolith Productions è ovviamente rappresentato dai due capitoli de La Terra di Mezzo, L'Ombra di Mordor e L'Ombra della Guerra, che sintetizzano l'esperienza maturata dal team di sviluppo nel corso degli anni pur appartenendo a un genere diverso dagli sparatutto. Non si tratta tuttavia del primo contatto dello studio con le opere di Tolkien: quello è avvenuto con Guardians of Middle-Earth nel 2012.
Probabilmente l'ottimo MOBA ha contribuito a far nascere nel team il desiderio di cimentarsi con lo straordinario immaginario fantasy de Il Signore degli Anelli, sebbene nella realtà dei fatti La Terra di Mezzo: L'Ombra di Mordor sia stato realizzato in contemporanea, chiamando peraltro in causa personalità come Peter Jackson e diversi esperti del mondo tolkieniano in qualità di consulenti.
Scritta da Christian Cantamessa, l'emozionante storia del ranger Talion, sopravvissuto al massacro della sua famiglia da parte delle truppe di Sauron grazie all'intervento dello spettro di quello che si scoprirà essere l'elfo Celebrimbor, creatore degli Anelli del Potere, si sviluppava all'interno di un open world estremamente affascinante e pieno di riferimenti ai romanzi dello scrittore inglese.
La formula action adventure di L'Ombra di Mordor, impreziosita da un sistema di combattimento che traeva evidente spunto dal freeflow della serie Batman: Arkham, poteva tuttavia contare su di un elemento extra rappresentato appunto dal Sistema Nemesis: una tecnologia sviluppata da Monolith stessa, che donava ai nemici la capacità di ricordare eventuali incontri o scontri avvenuti in precedenza con il protagonista, così da costruire vere e proprie rivalità caratterizzate da dinamiche ben precise.
Con il secondo capitolo della saga, La Terra di Mezzo: L'Ombra della Guerra, pubblicato nel 2017, lo studio americano è riuscito a consolidare e arricchire tutti gli elementi che avevano determinato il successo del franchise; incluso naturalmente il Sistema Nemesis, che poteva ora contare su svariate ramificazioni fra alleanze più o meno forzate e tradimenti anche tra le fila nemiche, raccontando una sorta di accattivante sottotrama.
Inutile dire che sarebbe stato bello assistere all'ulteriore evoluzione di Monolith con Wonder Woman, ma la chiusura del team di sviluppo e la cancellazione del gioco hanno trasformato questo pur interessante progetto nell'ennesima occasione sprecata dalla divisione gaming di Warner Bros., che pur avendo nel proprio catalogo alcuni fra i più importanti brand del mondo ha compiuto negli anni dieci anni delle scelte a dir poco discutibili.
Come accade in questi casi, a pagare non sono stati i dirigenti bensì i creativi; tuttavia l'eredità di Monolith Productions è ancora intatta nella memoria degli appassionati e i talenti che hanno contribuito a quel progetto sapranno sicuramente farsi valere altrove per dar vita a nuove, brillanti, monolitiche esperienze.