"Ma questa è solo la musica del tutorial?". Mentre Maelle faceva da bersaglio per permettere a Gustave di capire come affrontare i combattimenti, nei primi momenti di Clair Obscur: Expedition 33, quel pensiero si è fatto subito forte. Effettivamente, per la sua opera prima Sandfall Interactive ha pescato a piene mani dal suo amore verso ciò che ha reso la saga Final Fantasy immortale - e sappiamo tutti che, in quel novero di caratteristiche, rientrano anche le leggendarie colonne sonore di Nobuo Uematsu.
La musica è sempre stata una parte integrante dei videogiochi, mano a mano che l'ampliarsi delle tecnologie e dei mezzi le ha permesso di esprimersi: se, però, era quasi naturale pensare alla musica come accompagnamento, come un motivetto che riempie i silenzi e ti tiene per mano mentre giochi, oggi parliamo di una parte integrante della narrativa videoludica.
Dopotutto, se ci pensiamo il videogioco nasce dall'unione e il sovrapporsi di arti diverse. Quelle prettamente ludiche, quelle digitali, quelle tradizionali, la recitazione, la musica: tutto converge in un pastiche unico, per creare esperienze virtuali intrattenenti e d'impatto. Con opere sempre più attente anche alla loro componente narrativa, la musica - una delle arti che meglio tocca le corde emotive delle persone - è evoluta di conseguenza, diventando una parte attiva dello storytelling. A volte, con perfino un ruolo intradiegetico.
Se quest'evoluzione si era già fatta notare in tempi recenti, il 2025 l'ha ribadita con più convinzione che mai.
Sing, don’t tell
Il viaggio all'interno del mondo di Clair Obscur: Expedition 33, così diverso da quello in cui siamo seduti a giocare davanti allo schermo, è una sorpresa: riesce contemporaneamente a pennellare esseri umani che provano quello che proviamo anche noi, ma ponendoli all'interno di un universo surreale, distorto, dall'enorme forza immaginifica. Senza anticipazioni eccessive per chi non ha completato il gioco, Sandfall affida fin dal primo momento un'ampia parte della caratterizzazione del mondo di gioco proprio al comparto sonoro.
Il lavoro svolto dal compositore Lorien Testard dà un'impronta così forte al gioco che Lumière e tutto ciò che le sta intorno non potrebbero farne a meno. E non è una nostra sensazione: lo sa anche il gioco. Lo sa così bene che, in un momento fondamentale della storia, il brano "Une vie à t'aimer" prende addirittura del tutto la scena, facendo solo finta di essere la normale canzone che accompagna una battaglia con un boss importante. Nella realtà, il brano sta portando avanti la narrazione, ci racconta di più del conflitto che ha reso necessarie le spedizioni da Lumière e ci fa capire che quello che stiamo ascoltando non è un duetto: è una discussione, un litigio, uno scontro tra visioni ugualmente disperate eppure inconciliabili.
L'uomo e la donna, al microfono (Victor Borba e Alice Duport-Percier) cantano con tutto quello che hanno, si "gridano" addosso le rispettive motivazioni, con un trasporto tale che la battaglia che stiamo giocando diventa la cornice degli eventi, e non il contrario. Anche l'orchestrazione e la musica, non solo il testo, partecipano alla narrazione: lo scontro tra il personaggio cantato da Borba e quello di Duport-Percier è messo in scena anche dal contrasto tra chitarra e violino, che intersecano i loro assoli come per rispondersi, per provare ulteriormente a far valere le proprie ragioni.
Ne emerge uno dei momenti narrativi più amati di tutto Clair Obscur, nonostante su schermo tutto ciò che accade è che sta cominciando lo scontro con un personaggio chiave - atteso, certo, ma non è nemmeno quello finale. Il successo di "Une vie à t'aimer", "Una vita per amarti" è tale che il brano è diventato virale, con i giocatori che si divertono a cercare le reazioni sia degli esperti di musica - di solito sorpresi da trovare una simile suite all'interno di un videogioco - sia dagli altri appassionati, presi in contropiede dalla forza travolgente della canzone, come in questo video (contiene spoiler dalla fine dell'Atto 2).
Così, anziché continuare a snocciolare verbosamente la tragedia che ci ha portati fino a quel punto, Clair Obscur la fa raccontare, in musica, direttamente ai suoi personaggi. Il risultato è una sinfonia che esprime alla perfezione il fatto che tutti hanno ragione; eppure, tutti stanno perdendo. Ma la sinfonia c'è, rimane ed è il significato più potente della sequenza: nell'insieme di questo gridarsi contro, di questo chiaroscuro che mette di fronte gli opposti, la musica che ne emerge è comunque armonica, quasi a suggerire che davvero i due personaggi vogliono la stessa cosa, che nessuna distanza è davvero troppa per essere colmata - ancora di più, se è una distanza nata dall'amore.
Se il messaggio è nella musica
Per rimanere nel 2025, pensate anche alla centralità nell'uso della musica in Death Stranding 2: On the Beach. Un approccio che avevamo già visto anche nel 2019, nel primo Death Stranding, che senza lo strato narrativo aggiunto da Ludvig Forssell e da Low Roar avrebbe perso parte della sua inconfondibile identità.
Compiere una certa consegna nel capitolo 5 del primo gioco, con una persona sulle spalle, scalando una montagna mentre la voce di Ryan Karazija in una litania ribadiva che come umani "non abbiamo nessuna possibilità, non abbiamo nessuna possibilità" è uno dei momenti videoludici più potenti regalati da Death Stranding. In un medium come il videogioco, dove la forza è soprattutto nell'interazione, qui la spinta narrativa non era semplicemente in ciò che stavamo facendo, ma in ciò che la musica ci stava comunicando mentre lo facevamo.
Con l'apporto di Woodkid, DS2 ha posto l'accento su questo aspetto: ancora più di "To the Wilder", il brano "Any love of any kind" è ciò che colpisce e affonda il cuore di tutti i giocatori che si sono lasciati prendere emotivamente dal nuovo viaggio di Sam Porter Bridges. In un gioco che ci parla di lutto, depressione, di eroi che possono piegarsi e spezzarsi perché va bene anche così, il brano prende il messaggio dell'opera e lo mette in musica nella sequenza più importante e più indimenticabile: un carpe diem che, nella voce di Woodkid, evolve e si trasforma esplicitamente in un invito a cogliere il bello che quelle giornate, una dietro l'altra, possono portarci.
E i titoli di coda, con il duetto per nulla casuale tra Woodkid ed Elle Fanning, come in una sorta di passaggio del testimone che rivendica ciò che dobbiamo "alla più indomita parte di noi", diventano parte integrante del racconto del gioco. Non una novità, per Kojima, che già dai tempi di "The Best is Yet To Come" in Metal Gear Solid utilizza i brani nei suoi lavori per rendere più indelebili i suoi messaggi. Anche i CHVRCHES, nell'eponima "Death Stranding" del primo gioco, avevano fatto lo stesso.
E il "BB Theme", che accompagna l'ultima consegna di Sam nel capostipite, ha sulle spalle tutto il peso narrativo ed emotivo del momento. Senza la musica, quella sarebbe stata "solo" una opprimente salita in mezzo alla desolazione. Ma, con quella ninna-nanna orchestrale, ecco che anche il comparto ludico assumeva tutta un'altra profondità: lo stick analogico, semplicemente da spingere per continuare a camminare, diventava più pesante che mai. Ma non lo era davvero: con quella musica che andava, il cuore lo era.
Quando anche l’eroe ascolta con noi
Un altro uso narrativo molto interessante che i videogiochi hanno imparato a fare della musica è quello intradiegetico: sono i momenti in cui effettivamente il brano è nel mondo di gioco, è nello scenario, e quindi il protagonista lo sta sentendo tanto quanto noi. Sono sequenze che permettono una sovrapponibilità totale tra chi gioca e chi stiamo controllando.
Gli esempi, in questo caso, possono tornare anche parecchio indietro. Sia i già citati e recenti Clair Obscur (con un certo pianoforte) che Death Stranding 2 hanno momenti di questo tipo, ma ci sono ad esempio anche sequenze molto amate nella saga Final Fantasy. Una delle più apprezzate è la storica Opera di Final Fantasy VI, dove la performance musicale è messa in scena dai protagonisti stessi.
Pensiamo anche a The Legend of Zelda: Ocarina of Time, con l'intuizione di utilizzare la musica dell'ocarina, con i suoi motivetti, addirittura come punto chiave dell'interazione con il gioco. O, in tempi più recenti, pensate alla forza narrativa della musica in The Last of Us Parte II: l'intero viaggio di Ellie può riassumersi nell'evoluzione del suo rapporto con il suonare la chitarra.
Tra coloro che fanno un uso intradiegetico della musica davvero efficace, è impossibile non pensare a Remedy Entertainment. L'idillio con gli Old Gods of Asgard è diventato una prerogativa di Sam Lake e compagni e, da Alan Wake in giù, la musica ha sempre avuto un ruolo chiave in diverse produzioni. Uno di quelli più riusciti viene da Control, per la capacità di unire la musica al gameplay. In una delle sequenze più iconiche, scopriamo che la protagonista Jesse Faden può superare un certo labirinto solo indossando le cuffie e ascoltando un brano musicale fornitole da un altro personaggio. Così, quando Jesse mette gli auricolari e parte "Take Control", la nostra alter ego sta ascoltando esattamente quello che stiamo ascoltando noi, mentre fa esattamente quello che facciamo noi: la sovrapponibilità è totale.
Il brano si adatta via via al nostro incedere e, quando arriviamo alla fine del labirinto e si interrompe, Jesse sveste le cuffie e commenta, spontanea, "che figata!". Letteralmente quello che, ne sono sicura, abbiamo detto anche noi, considerando che anche a sei anni di distanza proprio quella sequenza è la più simbolica e ricordata di tutto Control.
Eppure, anche qui in termini di gameplay non abbiamo fatto niente di così diverso rispetto al resto del gioco: a brillare, nel labirinto, sono l'imprevedibile level design e il modo in cui viene sfumato dai cambi della musica, che ne impreziosisce ogni momento. E, in un gioco che già declina in modo tutto suo la presenza del giocatore nel suo universo, ascoltare un po' di metal insieme a Jesse, mentre le facciamo spaccare un po' di teste, ha un impatto emotivo esaltante ed efficacissimo.
Un nuovo strato narrativo
I videogiochi sono sempre più consapevoli della loro forza. Possono essere intrattenimento puro e immediato, ma anche veicoli di storie e messaggi complessi, di emozioni che custodiamo gelosamente con noi e da cui impariamo qualcosa.
È quasi una naturale evoluzione, allora, che abbiano deciso sempre più di abbracciare pienamente il potere empatico della musica, per riuscirci. Con essa aggiungono contesti, strati, colori, pizzicano corde emotive senza il bisogno di spendere altre parole: l'interazione può dire tanto di più, a seconda del tappeto sonoro in cui la cali, e gli autori stanno abbracciando con sempre più maturità questa consapevolezza. Il profilo narrativo ed emotivo del videogioco ha ancora tantissimo potenziale da esprimere: per riuscirci, ora sa bene di poter contare anche sul linguaggio unificante e universale della musica.
Ogni dicembre, nel corso della serata dei The Game Awards, abbiamo un tributo orchestrale ai migliori giochi dell'anno, oltre a una specifica categoria per la miglior colonna sonora. Ecco: il 2025 ha voluto ribadirci con forza perché non solo è giusto, ma perfino vantaggioso per chi i videogiochi li ama, che la loro musica abbia conquistato questa rilevanza e questa dignità. In fin dei conti, ogni nota diventa parte del racconto e di conseguenza parte di noi, a cui quel racconto si rivolge sapendo di non essere più mero divertissement, "solo" distrazione: spesso la narrazione in un videogioco, forte dell'interazione e dell'averla vissuta e non semplicemente guardata, è destinata a restarci dentro. E, per questo scopo, non c'è alleato migliore della musica.