Ha ragione Naoki Yoshida a mal sopportare il termine JRPG, acronimo di Japanese Role Playing Game (gioco di ruolo giapponese in italiano), perché in passato percepito come dispregiativo e quasi discriminatorio verso i giochi di ruolo provenienti dal Giappone? Avrebbe senso eliminare definitivamente quella J, facendo assorbire l'intero genere da quello più ampio dei giochi di ruolo a tutto campo, in un'epoca in cui anche gli sviluppatori occidentali ormai riescono a padroneggiarne il design orientale con ottimi risultati? In passato esisteva davvero questa forma di discriminazione? Yoshida: "Sembrava che fosse una definizione costruita per prendere in giro di chi si dedicata a creare questo tipo di giochi, cosa che risveglia ancora delle brutte sensazioni. Capiamo che, recentemente, la catalogazione come JRPG ha assunto delle connotazioni diverse ed è utilizzata in maniera positiva, ma ricordiamo ancora quando questa veniva invece usata in senso negativo." Davvero gli sviluppatori giapponesi sentivano un simile peso e non ce ne siamo mai accorti? Quindi, ha ancora senso parlare di JRPG?
Il termine JRPG
Possiamo definire il JRPG classico come un videogioco con combattimenti a turni, un gameplay lineare e con storia e personaggi predeterminati dagli autori per garantire una maggiore enfasi sulla narrazione e il racconto. Naturalmente si tratta di una definizione molto limitante che non tiene conto dei vari sottogeneri in realtà esistenti sin dalle origini. Ad esempio alcuni includono nei JRPG anche dei giochi di ruolo d'azione alla The Legend of Zelda o titoli sempre più ibridi come il recente Final Fantasy VII Remake.
Ma iniziamo dal fondo. È difficile trovare nel passato, perlomeno in Italia, tracce della discriminazione denunciata da Yoshida. È vero che il termine JRPG è usato solo in occidente ed è vero che nasce per distinguere i giochi di ruolo provenienti dal Giappone dagli altri, ma gli appassionati non lo usano in senso dispregiativo e, probabilmente, tantissimi non lo hanno mai usato come tale, limitandosi a collegarci il genere relativo. Comunque sia, fare una storia di come fosse usata una certa parola in origine è abbastanza complicato, ma possiamo comunque fare delle ipotesi partendo da un quadro storico di massima.
In occidente i giochi di ruolo per computer nascono nella metà degli anni '70. Le prime tracce del genere si possono rinvenire su alcuni progetto per il mainframe Plato, che in ambiente universitario alcuni utilizzavano per giocare. Il punto di partenza stesso del genere è essenzialmente occidentale, con i primi autori di giochi di ruolo elettronici che erano stati prima giocatori di ruolo carta e penna, di Dungeons and Dragons in particolare. Mettiamoci anche la forte influenza che in quegli anni Il Signore degli Anelli aveva iniziato a esercitare sulla cultura popolare e apparirà chiaro come mai Don Worth, Richard Garriott, Andrew Greenberg, Robert Woodhead e tanti altri pionieri, all'epoca spesso ancora dei ragazzi, erano riusciti a lanciare franchise come Wizardry, Temple of Apshai, Akalabeth / Ultima, molto diversi tra loro, ma tutti caratterizzati da una grande complessità (pensate solo ai sistemi di controllo basati sulla pressione di decine di tasti).
Il Giappone in questo senso arrivò molto tardi, come del resto entrò tardi nel mondo dei videogiochi. Sostanzialmente quello che per l'industria dei videogiochi occidentale rappresentò Pong (1972), ossia il gioco che la definì come tale ispirando compagnie e autori a seguirne il successo, in Giappone fu Space Invaders (1978) di Tomohiro Nishikado. Va detto che in realtà i videogiochi arrivarono in Giappone molto presto, con la fondazione di alcuni distributori locali, come Hudson Soft, che già dal 1973 iniziarono a importare i primi prodotti dagli Stati Uniti. Ma il titolo di Taito rappresentò indubbiamente la scintilla finale per lo sviluppo del settore e per tutto ciò che ne è conseguito.
Distacco tra oriente e occidente
In questo scenario tutto in divenire, i primi giochi di ruolo ad approdare nell'arcipelago provenivano tutti dall'occidente, piattaforme con cui giocarci comprese, e i primi tentativi di replicarli fatti dagli autori giapponesi dimostrarono in realtà una scarsa comprensione del genere, almeno per come veniva inteso dall'altra parte dell'Oceano Pacifico. Considerate che siamo agli inizi degli anni '80 e all'epoca la comunicazione tra i continenti non era agevole come oggi, quindi molti non avevano modo di consultare testi di riferimento o professionisti del settore per capire i principi della progettazione di determinati videogiochi. Molti autori procedevano a tentoni, sviluppando soprattutto per i primi personal computer prodotti dall'industria giapponese, come il PC-6001, che garantivano una grossa libertà di manovra. Quelli che poi diventarono i punti di riferimento per tutti gli altri autori di giochi di ruolo giapponesi, Dragon Slayer di Yoshio Kya, Mugen no Shinzou di Kazunari Tomi e Hydlide di Tokihiro Naitou, uscirono tutti nel 1984, quasi dieci anni dopo la nascita del genere in occidente. Erano tre titoli molto diversi tra di loro, ma tutti definiti "giochi di ruolo" dai rispettivi autori ed editori, pur figli di approcci completamente diversi, speculari dei titoli occidentali che li avevano ispirati.
Ma all'epoca, nonostante la crescita del genere e nonostante le vendite ne premiassero gli autori, che riuscirono a piazzare centinaia di migliaia di copie nei casi più felici, la comunicazione tra oriente e occidente era ancora limitatissima. Per inciso, nessuno di questi titoli lasciò il Giappone e in tutto l'occidente esistevano pochissime persone a conoscerne l'esistenza, che trapelava a fatica anche sulle poche riviste specializzate di allora. Eppure quei titoli per certi versi somigliavano ancora molto alle loro fonti d'ispirazione occidentali (Hydlide a parte, che possiamo considerare un proto Zelda), ma le condizioni per esportarli erano proibitive, a partire dalla necessità di realizzare conversioni per sistemi completamente differenti da quelli sui quali giravano nativamente, passando per la paura che gli occidentali potessero non gradirli. Insomma, niente era scontato e, fondamentalmente, giochi sviluppati da team molto piccoli potevano vivere benissimo anche delle sole vendite locali, facendo la fortuna dei loro editori. Basti pensare, ad esempio, a cosa rappresentò la già citata serie Dragon Slayer per Nihon Falcon per avere un'idea di quello che stiamo affermando. La necessità di riferirsi a un mercato globale era ancora molto in là da venire.
Scontro tra culture
Da qui in avanti fate particolarmente attenzione alle date e alle circostanze: nel 1984 escono i punti di riferimento del genere già riportati. Nel 1986 esce Dragon Quest di Yūji Horii per Famicom, che canonizza il modo di fare giochi di ruolo dei giapponesi su console. Il primo gioco di ruolo vero e proprio fatto da Giapponesi ad arrivare in occidente è Miracle Warriors: Seal of the Dark Lord per Sega Master System nel 1988 che, va detto, non ottenne una grandissima risonanza. Le serie Dragon Quest, YS e Final Fantasy arrivarono in occidente rispettivamente nel 1989 le prime due e nel 1990 la terza. Anche se non ebbero un successo enorme, questo fu il momento in cui i JRPG furono notati, creandosi una loro nicchia di utenti abbastanza ampia da giustificare ulteriori importazioni. Da notare che erano tutti giochi per console, quindi con già introiettato il lavoro di design fatto da Horii per rendere fruibile Dragon Quest con il controller a due pulsanti del Famicom.
Ora, nel 1989/90 il mercato dei giochi di ruolo elettronici in occidente si era evoluto enormemente. Alcune serie storiche, come quella Ultima, erano cresciute al punto da essere messe tra i pinnacoli dell'intero medium (ancora oggi, ad esempio, Ultima IV è ricordato come uno dei titoli fondamentali per l'evoluzione del genere).
Nuove serie erano nate, come quelle Might & Magic e Dungeon Master, i capolavori erano moltissimi con gli appassionati che potevano scegliere tra titoli quali Starflight, i Wizardry, i Bard's Tale, i giochi di SSI, Wasteland e tanti altri ancora. Insomma, quando si parlava di "gioco di ruolo" c'erano determinate aspettative che non potevano essere disattese.
Qui possiamo tornare a ragionare sulle parole di Yoshida. Ciò che della produzione ruolistica giapponese arrivò inizialmente in occidente erano dei titoli che cozzavano completamente con la visione occidentale del genere. Lì dove i giochi di ruolo occidentali erano ancora caratterizzati da una certa complessità nei controlli, quelli giapponesi erano pensati per essere fruibili con un controller dotato di una manciata di tasti; lì dove il focus di molti titoli occidentali era posto nel lasciare al giocatore una sempre maggiore libertà di approccio, per cercare di imitare il più possibile l'esperienza cartacea, al prezzo di una narrazione spesso molto sfilacciata, in quelli orientali era sulla storia, calata però in strutture molto più rigide e con interazioni limitatissime con lo scenario.
In sostanza, lì dove i giochi di ruolo occidentali erano pensati principalmente per i computer e il loro pubblico di smanettoni con una certa cultura alle spalle, quelli giapponesi erano progettati esplicitamente per le console di allora e per un pubblico eterogeneo. Insomma, pur provenendo dallo stesso ceppo dei giochi di ruolo occidentali, i primi giochi di ruolo giapponesi arrivati da noi erano ormai un prodotto della cultura nipponica a tutti gli effetti, in cui era difficilissimo scorgere le origini.
Cancellare la parola JRPG?
Probabilmente il pregiudizio di cui parla Yoshida nasce da qui, ossia dalla difficoltà iniziale per il pubblico occidentale degli appassionati di inserire nello stesso genere un Ultima e un Final Fantasy, lì dove il secondo veniva visto come un'esperienza minore, in virtù della sua semplicità di fondo e della macchina su cui doveva girare (ricordiamo che all'epoca i mondi dei computer e delle console erano molto più distanti di oggi e che le console per anni sono state vendute come giocattoli dai produttori stessi). Insomma, JRPG nacque come termine atto a operare una distinzione che poteva tranquillamente nascondere una certa diffidenza, nonché una grossa sufficienza verso qualcosa che era visto come alieno.
Se fino a qui non possiamo che esprimere comprensione per Yoshida e le sue parole, troviamo però abbastanza tardiva la sua presa di posizione contro l'uso della parola JRPG. Da anni ormai il mercato occidentale ha non solo accettato, ma anche valorizzato i JRPG. La connotazione pregiudizievole delle origini è di fatto sparita e l'acronimo è diventato utile soprattutto per operare una distinzione di comodo, che non nasconde alcun intento discriminatorio (al massimo catalogatorio).
Insomma, sta a indicare più i giochi di ruolo fatti alla giapponese, che i giochi di ruolo provenienti dal Giappone, soprattutto lì dove è riconoscibile un certo modo di concepire il genere diverso dal ceppo occidentale. Per dire, il recente Chained Echoes è un JRPG non perché provenga dal Giappone, ma perché è fatto seguendo i principi di design dei giochi di ruolo classici realizzati in Giappone, oltretutto con una riverenza che dovrebbe lusingare gli sviluppatori nipponici, non certo indispettirli. Del resto iniziarsi a offendere per una definizione con il sedicesimo capitolo di una serie ci sembra un po' eccessivo.
In uno scenario del genere avrebbe quindi senso cancellare la parola JRPG? Oppure sarebbe completamente superfluo? È vero che ormai viene usata per indicare titoli e serie completamente diverse tra loro, ma è anche vero che all'interno della storia del medium ormai ha una sua funzione ben sedimentata, tale da essere il riferimento per molti di qualcosa che va oltre la parola stessa.