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The Last of Us Parte 2 Remastered e i problemi delle riedizioni dei videogiochi

The Last of Us Parte 2 Remastered arriva a soli 3 anni dal lancio e fa discutere: abbiamo un problema con le riedizioni o solo con il modo in cui vengono chiamate?

The Last of Us Parte 2 Remastered e i problemi delle riedizioni dei videogiochi
SPECIALE di Lorenzo Mancosu   —   22/11/2023

Remake, Remastered, Definitive Edition, HD Collection, Director's Cut, Rebirth, Reignited. La terminologia dei videogiochi al giorno d'oggi si avvale di tantissime appendici differenti, eppure il linguaggio che parla è uno e uno solamente: quello che tenta di rispondere alle esigenze di marketing delle grandi imprese. Questo articolo potrebbe anche terminare qui, perché le parole che affiancano il titolo di un'opera già pubblicata assolvono sostanzialmente la funzione di catturare l'attenzione del pubblico, di convincerlo a compiere l'investimento, evitando di gonfiare eccessivamente le aspettative e puntando esclusivamente al posizionamento del prodotto sul mercato. Il significato di questi termini, d'altra parte, si è fatto criptico al punto da gettare nel caos l'esordio di ogni genere di riedizione.

È quello che sta accadendo attorno all'annuncio di The Last of Us Parte 2 Remastered per PlayStation 5, nuova edizione del recente capolavoro di Naughty Dog in uscita il prossimo 19 gennaio 2024. Se, da una parte, il pubblico ha immediatamente gridato allo scandalo in ragione della ristretta forbice temporale che la separa dalla pubblicazione originale - risalente appena al giugno del 2020 - dall'altra è evidente che il pacchetto confezionato da Sony Interactive Entertainment nasconda un'offerta che si spinge molto oltre la tradizionale idea di versione rimasterizzata, per lo meno di quella che ha caratterizzato l'ultima decade del medium. Il problema di The Last of Us Parte 2 Remastered risiede solo nel titolo che porta impresso sulla copertina, oppure si tratta del sintomo di una questione più profonda?

Una Director's Cut sotto mentite spoglie

The Last of Us Parte 2 Remastered non sembra affatto una semplice versione Remastered
The Last of Us Parte 2 Remastered non sembra affatto una semplice versione Remastered

The Last of Us Parte 2 Remastered si fonda solo all'apparenza su una serie di migliorie tecnologiche figlie dell'esclusività PlayStation 5, aprendo invece a un ventaglio di contenuti particolarmente nutrito per un'operazione legata a tale definizione. Il più consistente risiede senza dubbio nell'inedita modalità No Return, un'esperienza roguelike di stampo survival ricamata attorno al sistema di combattimento dell'originale, in quest'occasione impegnato ad animare una serie di scontri casuali di difficoltà crescente; è stata già confermata la presenza di diversi personaggi giocabili, ciascuno dotato di caratteristiche uniche, volenterosi di mettersi al servizio dei due principali stili di gioco, ovvero l'approccio furtivo e il combattimento diretto. A margine, è prevista l'implementazione di una classifica su base mondiale legata alla "Daily Run", probabilmente una sfida giornaliera pensata per mettere alla prova i sopravvissuti più ambiziosi attraverso una serie di regole fisse.

Altra minuta aggiunta è la modalità Guitar Free Play, ispirata al segmento in cui Ellie impugna la chitarra e che promette di ampliare il parco strumenti per mettere in piedi vere e proprie performance virtuali. Più incisiva è invece la sezione "Dietro le quinte", che dovrebbe includere una serie di contenuti speciali dedicati per l'appunto alle fasi di creazione del progetto, accogliendo non solo dei livelli tagliati, ma una serie di scene della campagna commentate dal director Neil Druckmann, dalla scrittrice Halley Gross e dal trio di attori protagonisti, ovvero Ashley Johnson, Laura Bailey e Troy Baker. Ovviamente non si conosce ancora l'entità e soprattutto la modalità di fruizione di tali approfondimenti, ma c'è abbastanza spazio di manovra per presentare qualcosa di molto interessante, specialmente per il pubblico attento al design della narrazione. Chiudono il cerchio degli innesti una modalità Speedrun simile a quella del recente Remake del primo episodio e una serie di skin aggiuntive per modificare l'estetica dei protagonisti e del loro arsenale.

Al cuore della riedizione siede ovviamente la rinfrescata del comparto tecnico, di per sé l'operazione più in linea con la stringente definizione "Remastered" a cui siamo stati abituati negli ultimi anni: l'annuncio di The Last of Us Parte 2 Remastered racconta due modalità grafiche, una Fedeltà in 4K nativo e una Prestazioni in 1440p con upscale a 4K, oltre al framerate sbloccato per i TV che supportano il VRR. Confermato anche l'appoggio alle caratteristiche esclusive di PS5, su tutte le potenzialità del DualSense e lo sfruttamento del SSD della macchina per ridurre al minimo i tempi di caricamento; inutile poi dire che saranno apportati miglioramenti alla risoluzione delle texture, alla resa delle ombre, alla distanza di rendering e alla frequenza delle animazioni.

Insomma: se la limatura tecnica della campagna richiama piuttosto da vicino l'idea diffusa del classico remaster, la cornice in cui è pubblicata si presenta invece molto più simile a quella di un'edizione Director's Cut così come già sfruttata proprio da Sony Interactive Entertainment. L'arricchimento dell'offerta contenutistica ricorda infatti molto da vicino quello che ha toccato sia Ghost of Tsushima Director's Cut sia Death Stranding Director's Cut, ma tale definizione si è apparentemente dimostrata inadatta a comunicare quanto desiderato da SIE e Naughty Dog. Forse si voleva evitare di alzare troppo le aspettative, optando per un più asciutto Remastered? Forse si è voluto spingere maggiormente sul balzo generazionale della macchina che ha seguito la pubblicazione originale, come già successo con il primo episodio? Se da una parte la terminologia si sta facendo sempre meno chiara, in molti hanno criticato l'eccessiva fretta che caratterizza queste operazioni, mentre altri ancora hanno rivolto lo sguardo dalle parti di Valve, recentemente tornata al centro delle attenzioni del pubblico in occasione del compleanno di Half-Life.

Il caso di Valve e l'aggiornamento di Half-Life

Valve ha regalato al pubblico una grossa 'Remastered' di Half-Life con contenuti inediti
Valve ha regalato al pubblico una grossa 'Remastered' di Half-Life con contenuti inediti

La scorsa domenica, poco dopo l'annuncio di The Last of Us Parte 2 Remastered, Half-Life ha spento la sua venticinquesima candelina e Valve ha deciso di festeggiare rendendo il titolo free-to-keep, in parole povere regalandolo effettivamente agli appassionati. Non solo: la società di Gabe Newell ha sfruttato l'occasione per pubblicare un documentario di oltre un'ora su Half-Life, raccontando la genesi del suo grande capolavoro. Questo sarebbe stato solamente la prima goccia in una cascata di novità, tra cui tonnellate di contenuti extra messi gratuitamente a disposizione di chiunque.

Si parte da Half-Life: Uplink, mini campagna originariamente inclusa in alcune riviste selezionate dell'epoca e distribuita ai produttori hardware; si prosegue con quattro mappe inedite per la modalità multigiocatore che secondo Valve "spingono al limite ciò che è possibile fare in Half-Life", ovvero Contamination, Pool Party, Disposal e Rocket Frenzy, alle quali si aggiungono anche Double Cross, Rust Mill e Xen DM, originariamente parte del disco Half-Life: Further Data.

L'operazione di Valve, che include anche una campagna inedita, non ha fatto uso di alcuna terminologia
L'operazione di Valve, che include anche una campagna inedita, non ha fatto uso di alcuna terminologia

Senza contare che l'iniezione di contenuto è stata accompagnata da una completa revisione dell'esperienza che ha spaziato dal sistema di rendering ad alcune sfaccettature del motore fisico - ad esempio il lancio delle granate - prima di investire l'interfaccia, il sistema di input e il bilanciamento del multigiocatore. Le caratteristiche "da copertina" dell'operazione risiedono invece negli aggiornamenti delle opzioni grafiche, nel supporto a Steam Deck, nei miglioramenti allo scaling della UI in base alla risoluzione e nel ripristino di un paio di chicche nostalgiche, come l'antica animazione del logo di Valve, il vecchio artwork del menù e le storiche skin multigiocatore che fino a oggi erano rimaste appannaggio della sola versione alfa dell'opera.

A far discutere, ovviamente, è stata la constatazione più banale che si sarebbe potuta fare: mentre da una parte abbiamo una versione Remastered di un videogioco risalente al 2020 venduta a un prezzo di aggiornamento - solo per chi possiede già l'originale - di 10€, dall'altra c'è un titolo risalente a 25 anni fa protagonista di un'operazione simile che non solo si presenta in forma gratuita, ma sceglie di regalare anche l'esperienza base a chiunque non la possedesse ancora. Ovviamente, il caso dell'avventura di Gordon Freeman rappresenta un'assoluta mosca bianca, qualcosa che capita d'incontrare molto raramente nel contemporaneo panorama AAA, dove ogni più piccolo aggiornamento è visto come un'occasione per monetizzare.

Tra Remastered e Remake, il problema sta nei termini?

Ormai ci sono così tante definizioni nella tassonomia dei videogiochi da creare grande confusione
Ormai ci sono così tante definizioni nella tassonomia dei videogiochi da creare grande confusione

Analizzando il caso di Half-Life si corre il rischio di gettare la discussione nel vuoto calderone della convenienza, valutando le operazioni sulla base di quanto gravano sulle tasche del pubblico. A ben vedere, le ultime annate dell'industria hanno scoperchiato il grande vaso di Pandora delle riedizioni dei videogiochi, operazioni che sono viste come sicure, estremamente remunerative al netto degli sforzi necessari, semplici da mettere in piedi e altrettanto facili da vendere all'utenza affezionata, facendo spesso leva sul fattore della nostalgia. The Last of Us Parte 2 Remastered si può leggere in diversi modi, ma è probabile che sia semplicemente il riflesso della necessità delle moderne software house di monetizzare costantemente, anche quando ci si trova nel cuore dello sviluppo di un nuovo grande progetto, e il modo migliore per farlo risiede in pubblicazioni di questo genere. L'unica alternativa percorribile potrebbe stare nei giochi come servizi, che tentano di risolvere il problema a monte ricamando i sistemi di monetizzazione in modo tale che possano perdurare nel tempo, attirando di contro le antipatie degli appassionati.

Nel caso specifico, d'altra parte, il problema sembra risedere esclusivamente nella nomenclatura, e non è assolutamente la prima volta che succede. La parola "remastered" ha sempre avuto un significato piuttosto specifico: quando accostata al nuovo The Last of Us Parte 2 fa pensare a un mero miglioramento della grafica e della risoluzione per un videogioco vecchio di tre anni - che fra l'altro ha rappresentato l'apice tecnico della sua generazione - offuscando completamente la consistente iniezione di contenuti aggiuntivi, una che sarebbe molto più semplice e naturale associare a una Director's Cut. Si tratta di un problema molto simile a quello che ha funestato Final Fantasy VII Remake, dal momento che molti appassionati - basandosi sulla moderna dicitura "remake" - si aspettavano un adattamento in scala uno a uno dell'originale senza interventi che esulassero dal comparto tecnico e i sistemi di gioco, proprio come quelli che sono andati invece a stravolgere la narrazione.

All'opposto abbiamo una Final Fantasy VII Remake che proprio per la dicitura Remake ha fatto arrabbiare molti
All'opposto abbiamo una Final Fantasy VII Remake che proprio per la dicitura Remake ha fatto arrabbiare molti

A ben vedere, oggi abbiamo Remake come quelli di Demon's Souls di Bluepoint Games per PS5, che si limitano a rifare completamente il look alla grafica dell'originale, magari intaccandone la direzione artistica, ma lasciando completamente invariato lo scheletro; ne incontriamo altri come quelli dei Resident Evil di Capcom, che traducono la formula antica secondo la grammatica contemporanea, stravolgendone il design e i sistemi di gioco mantenendo ben saldo il rispetto verso l'opera originale; ne abbiamo conosciuti altri ancora come quello di Final Fantasy VII, che è decisamente più affine alla reinterpretazione tipica del cinema, più che mai volenterosa di allontanarsi dal materiale di una volta. Accanto a loro sono maturate edizioni remastered totalmente trasformative, altre che si limitano a incidere sulla qualità delle texture, formule N'Sane, Reignited e Nitro Fueled varie ed eventuali, HD Collection piene o spoglie di contenuti extra, per non parlare di tutte le Definitive, Game of the Year e Ultimate Edition del caso.

La tassonomia dei videogiochi si è sempre dimostrata un ginepraio senza via d'uscita ed è oggi più che mai terreno fertile per le strategie di marketing: diciture come Remastered, Remake e Director's Cut vengono ormai cucite e strappate al bisogno da qualsiasi operazione sulla base di quello che si vuole comunicare, ma il quadro generale si è fatto talmente confuso che persino i reparti commerciali finiscono sempre più spesso per colpirsi da soli; se già di per sé è diventato estremamente difficile capire a quale genere di opere sia pacifico associare un'etichetta come quella di "indie", figuriamoci quando si parla di riedizioni di questo tipo. Ora, osservando il solo orizzonte di Konami, troviamo un Silent Hill 2 Remake e un Metal Gear Solid Delta: Snake Eater. La differenza nella nomenclatura nasconde una diversa gestione dei contenuti o si tratta di una scelta dettata da altre ragioni?

Come viene accolta una riedizione

Ultimamente si è parlato spesso di un ipotetico remake di Horizon Zero Dawn: le riedizioni arrivano troppo presto?
Ultimamente si è parlato spesso di un ipotetico remake di Horizon Zero Dawn: le riedizioni arrivano troppo presto?

Tra i principali fattori che sembrano incidere maggiormente sull'accoglienza delle riedizioni spiccano senza ombra di dubbio la nomenclatura, il costo, l'entità dell'operazione e soprattutto la distanza che la separa dalla pubblicazione originale. Se, da un lato, la titolazione The Last of Us Parte 2 Remastered ha gettato il progetto nella confusione, ciò che più si è recriminato resta la forbice di soli tre anni che lo separa dalla data dell'esordio. Per chi ha memoria lunga, la scelta di Sony ricalca perfettamente ciò che accadde al primo capitolo della serie di Naughty Dog, che uscì in versione rimasterizzata per PS4 nel 2014, appena un anno dopo il debutto sull'ammiraglia di settima generazione di Sony. L'intento è chiaro, ma la pillola si sta facendo di volta in volta più amara da mandar giù: nel corso del 2023 sono ad esempio emerse numerose voci che ipotizzano l'imminente arrivo di un'edizione Remastered - o addirittura Remake - di Horizon Zero Dawn di Guerrilla Games, la cui pubblicazione originale risale appena al 2017, scatenando violente discussioni tra le file degli appassionati.

In fin dei conti si tratta di operazioni antiche quanto lo sono i videogiochi, basti pensare a pubblicazioni come Super Mario All-Stars per Super Nintendo, che trasportava l'intera collezione di titoli dedicati all'idraulico nella dimensione 16 bit, per non parlare delle tantissime riedizioni che caratterizzarono la complessa convivenza del mercato arcade con quello home console. Oggi sono divenute estremamente inflazionate oltre che confusionarie nella presentazione, dipingendo i fondali delle ultime annate videoludiche di produzioni che richiedono d'essere sviscerate prima di comprenderne la reale natura, se quella di Remake, di Remastered, del lavoro additivo o di quello totalmente trasformativo. Certo è che The Last of Us Parte 2 Remastered, data la sua natura di Director's Cut mascherata, si rivelerà senza dubbio il miglior modo possibile per vivere il colossal di Naughty Dog. O per lo meno lo sarà fino all'ovvia presentazione di un'edizione Remake, dal momento che SIE ha scelto consapevolmente di tenere tale dicitura ancora rinchiusa in un cassetto.