Avviso preliminare sul livello di spoiler: per leggere questo articolo consigliamo di aver concluso l'incipit di Tears of the Kingdom, l'area iniziale, e di aver passato un po' di tempo su Hyrule. Con dieci ore alle spalle - più o meno - non dovreste subire alcuna anticipazione.
Inauguriamo con questa Bustina una serie di quattro puntate dedicate a The Legend of Zelda: Tears of the Kingdom, il magnum opus Nintendo: perché proprio di questo si tratta, di un'opera grande e barocca, che difficilmente sarebbe esistita se non fosse stata costruita su un motore, e una mappa, già esistente. È il seguito più diretto che la serie abbia mai avuto, perché riutilizza lo stesso mondo di Breath of the Wild, lo stesso stile grafico, ed è ambiento soltanto qualche anno dopo; è un seguito, e lo sarebbe stato anche per i fattori appena elencati, non pienamente in "stile Nintendo", per la mole di contenuti aggiunta, e per l'anelata complessità. Perché prende il capolavoro del 2017 e lo sbatte, lo stira, lo strappa e ricuce in ogni direzione possibile: si può apprezzare The Legend of Zelda: Tears of the Kingdom anche senza aver giocato il predecessore, ma non c'è alcun dubbio che sia pensato principalmente per chi abbia già concluso la precedente avventura di Link.
Il gioco desidera che conosciate certi personaggi per mostrarvi come siano cambiati, che abbiate familiarità con la mappa per confortarvi o confondervi o stupirvi, che - soprattutto - abbiate dimestichezza col sistema di controllo, perché dover apprendere al contempo i movimenti basilari e quelli delle nuove abilità è tutt'altro che facile o accessibile. The Legend of Zelda: Tears of the Kingdom è complicato. È complicato nel grado d'interazione tattile e ambientale che propone in ogni momento, che stiate combattendo, scalando o planando; è complicato nell'intelligenza spaziale che richiede nel muoversi in tre assi, nel concepire e costruire un veicolo, e negli enigmi che da Ultramano - il potere di agganciare, ruotare e unire oggetti - derivano. Non è necessario erigere astronavi per completare il gioco, ma ci sono varie situazioni in cui è obbligatorio costruire qualcosa, fondere un oggetto ad un altro, per poter proseguire.
Quest'oggi parliamo dei tre strati di Hyrule e del loro level design, che è coscientemente e identitariamente differenziato, e di come comunichino e dialoghino tra loro. Prima dell'uscita dell'opera in molti si sarebbero aspettati una parte aerea massiccia, e un'eventuale sezione sotterranea circoscritta e segmentata: è accaduto l'esatto contrario. Tre mappe, tre modi diversi di approcciare il level design di un open world, un'unica terra: Hyrule, che proprio delle diversità delle mappe si sazia.
Il Cielo
L'avventura di Link inizia nell'Arcipelago delle Origini, che come nome e funzionalità ricalca l'Altopiano di Breath of the Wild: in entrambe le aree si ottengono i principali poteri del gioco, in entrambe si è bloccati fin quando non si completano le sfide delle fasi iniziali. In effetti, è l'unico momento - per entrambi i giochi - in cui ci si trova isolati in un posto circoscritto - comunque vasto - senza potersi allontanare. Le due zone tuttavia, nonostante le somiglianze funzionali e nominative, sono piuttosto diverse. L'Altopiano era esplorativo, bucolico, un incipit perfetto, conteneva in nuce, e in modo più denso, tutto ciò che sarebbe stato il resto dell'opera. L'Arcipelago somiglia molto di più ad un dungeon all'area aperta. L'atmosfera è eterea, la vegetazione dorata - tipica delle Isole Celesti - il vento muove i biondi capelli di Link, animati con estrema grazia, ma le missioni al suo interno sono subito impegnative.
L'esplorazione in sé e per sé è finalizzata al raggiungimento di un obbiettivo, e viaggiare è complicato: familiarizzare coi nuovi poteri di Link non prevede un apprendimento graduale, si tratta di una necessità per spostarsi da una zona all'altra. Bisogna volare, tuffarsi in acqua, prepararsi al freddo, costruire carrelli e piattaforme mobili. E i nuovi poteri di Link non sono intuitivi come quelli di Breath of the Wild, ma arzigogolati, fantasiosi: è vero che il gioco permette di reificare quasi ogni desiderio del giocatore - come Nintendo è fiera di palesare negli spot - ma immaginare non è così semplice, fisiologico e naturale come in Breath of the Wild. Ghiacciare un fiume è intuitivo, collegare una leva a una piattaforma per poi spostarla verso l'alto, rimandarla in basso, salirci sopra e costringerla indietro nel tempo, non è altrettanto scontato.
L'Arcipelogo delle Origini è l'area più grande che si trova in Cielo. Nintendo ha grandemente differenziato, come già detto, le esperienze interattive ed esplorative che si hanno nei tre strati. Le Isole Celesti sono accomunate dall'atmosfera rarefatta e pacata e, nonostante sia possibile scendere in superficie in ogni momento, la sensazione di trovarsi altrove, in un posto ricco di spiritualità e alieno ai problemi sottostanti, è sempre presente. La costituzione delle isole somiglia molto a quella di The Wind Waker: ognuna di essere presenta una sfida, piccola o grande. Non si va lassù per trovare nuove civiltà, commercianti o altro; ci si va per superare una prova, per trovare nuovi aggeggi tecnologici Zonau, scoprire stele che possano illuminarci sulla civiltà perduta.
In termini di level design, l'elemento maggiormente importante da sottolineare è che queste isole sono a misura di Link. Sono fatte apposta per essere esplorate dall'eroe che ha ereditato, unico in tutta Hyrule, i poteri e le tecnologie Zonau. Il design è cesellato e cristallino, ricorda più i precedenti capitoli tridimensionali della serie che Breath of the Wild. Le isole per la maggior parte non sono grandi, ma è il momento in cui la vostra creatività viene messa maggiormente alla prova: spostarsi tra di esse richiede un discreto sforzo d'immaginazione nel capire quali mezzi costruire, come costruirli, quando utilizzare Ascensus o meno, e a volte i risultati potrebbero rivelarsi disastrosi o, peggio, goffi. C'è un diretto collegamento tra Cielo e Sottosuolo, nonostante si trovino agli antipodi per personalità, posizionamento e design: "laggiù" si scovano delle risorse da sfruttare sulle Isole Celesti, nelle Isole Celesti sono celate delle mappe che segnalano dei preziosi tesori nel Sottosuolo.
La Superficie
Riutilizzare la stessa morfologia di Breath of the Wild è stato il rischio più grande che, coscientemente, Fujibayashi e Aonuma hanno deciso di intraprendere: erano consapevoli che lo stesso mondo con un identico engine, e un immutato stile grafico, avrebbe potuto generare un senso di déjà vu, soprattutto per chi aveva passato centinaia di ore col predecessore. La sfida è stata superata e, oseremmo dire, un gioco complesso e profondo come questo difficilmente si sarebbe potuto erigere - come hanno sostenuto gli stessi sviluppatori - generando una nuova mappa.
EPD 3 aveva piena conoscenza dei rischi a cui andava incontro, e ha modellato Hyrule così da donare continuità col passato, perché molti punti d'interesse sono là dov'erano in Breath of the Wild, e cambiando radicalmente altre aree. Avete presente il momento in cui in Ocarina of Time si estrae la Spada Suprema, Link diventa adulto, e trova gli stessi posti mutati, orrifici? A livello narrativo è forse il capitolo più potente dell'intera saga: Link e il giocatore hanno il forte desiderio, appena messo piede sulla piazza di Hyrule, di riportare gioia e serenità nell'ambiente amato. Tears of the Kingdom non è così drastico, ma l'approccio è lo stesso: all'utente sorge la volontà di sapere come sono cresciuti certi personaggi, che ruolo rivestono adesso, perché una determinata struttura è in un particolare posto, per quale motivo ha alterato il quieto vivere di una certa zona.
Mutazioni architettoniche a parte, ed esclusi i nuovi contenuti (nuovi per definizione), il modo più intelligente in cui Nintendo è riuscita a iniettare una nuova esperienza al giocatore, nonostante la vecchia mappa, è il diverso sentiero "ideale" da percorrere. Il gioco è libero, ma la via consigliata in Tears of the Kingdom è ancora più evidente che in Breath of the Wild: l'avventura in superficie inizia in uno dei luoghi maggiormente pericolosi del predecessore, in cui nella vecchia avventura si arrivava (idealmente, ancora) soltanto verso la conclusione della storia, in un inedito avamposto comandato da Purah. Qui tutti i personaggi conoscono Link e ne riconoscono lo stato di eroe, riferendosi a volte come "Padron Link". Da lì in poi il percorso è libero, ma alterare il punto di partenza, quasi invertendo le periferie del Castello con l'Altopiano, è uno spunto tanto semplice quanto efficace, inerente a un game design sapiente piuttosto che ad abilità tecniche o grafiche.
Senza dubbio la Superficie, maggiormente ricca di missioni e più densa che in passato, è l'area in cui il gameplay è più simile a Breath of the Wild. Le novità principali introdotte, a mero livello strutturale, risiedono nei collegamenti tra Cielo e Sottosuolo, di cui parleremo tra poco, e nelle Caverne. Trovando quest'ultime si prova una sensazione di scoperta mista a volontà di esplorazione: il loro level design è così scarno da renderle un luogo ostile, ma abbastanza razionale da proporre notevoli spunti creativi. Sembra un'informazione sciocca, ma anche l'assenza di una mappa, e la susseguente mancanza di informazioni sulle dimensioni della grotta, rende il tutto più stimolante: a volte si tratta di una singola cava popolata da mostri (o da un miniboss), in altri casi ci si ritrova in cunicoli ramificati, in altri ancora in delle enormi strutture chiuse e claustrofobiche, in cui è necessario farsi largo dosando i Fiori Bomba, o spaccando rocce con bastoni mischiati a pietre.
Sono due i modi principali in cui dalla Superficie si possono raggiungere le Isole Celesti: il primo sono le torri, che sparano Link in aria con un'eleganza abbagliante. Il secondo sono i massi che piovono casualmente - e raramente, a dispetto di quanto si veda nei trailer - su cui si può salire, così da tornare indietro nel tempo (e nello spazio) assieme a loro. Qualsiasi cosa si stia facendo, missione principale o secondaria o puro vagabondaggio, è davvero dura resistere alla tentazione di raggiungere uno di questi massi celesti una volta avvistati: il desiderio di scoprire da dove provengano, da che Isola siano caduti, è sempre forte. In termini di design dei livelli, anche in questo caso, e a dispetto della complessità delle meccaniche, si tratta di una soluzione semplice, elegante e funzionale.
La Superficie presenta diverse cavità, emananti Miasma - una sostanza rossastra, mefitica e infestante - che conducono al Sottosuolo. Buttarsi dentro è emozionante, ma diviene subito spettrale: il buio ammanta Link, e degli strumenti a fiato mozzano la musica, rendendola sincopata e angosciante. Buttarsi dal Cielo ed evitare la Superficie, lanciandosi direttamente in un orrido verso il Sottosuolo, è una delle sensazioni più forti, varie e dinamiche che il gioco possa offrire. Una specie di Antica Cisterna di Skyward Sword, ampliata oltre ogni ragionevole previsione, in modi lontanissimi dall'anima di The Legend of Zelda.
Il Sottosuolo
Le Isole Celesti sono concepite su misura per Link e i suoi poteri, in un approccio simile a The Wind Waker (in certi casi addirittura a Skyward Sword), pur in modo coerente agli enigmi a soluzione aperta del gioco. Lì ci si sente messi alla prova, ma anche nel posto giusto: noi e solo noi possiamo recarci in aria, privilegiati dai poteri che ci permettono di muoverci lassù. In Superficie ci sono tante persone, molte missioni, altrettanti misteri: il mondo non è disegnato attorno a Link, ma il personaggio possiede tutti gli strumenti adeguati a esplorare l'area. Nel Sottosuolo no. Il Sottosuolo è un ambiente enorme, è un'Hyrule sottosopra, in cui ci si sente completamente fuori posto. In Cielo l'atmosfera è eterea, in Superficie bucolica, nel Sottosuolo ctonia e ostile. Ci andiamo, ma non dovremmo essere lì. Non c'è niente che ci suggerisca che la presenza di Link sia gradita in alcun modo, o in generale quella di qualsiasi essere vivente (mostri esclusi): questo nonostante la tecnologia Zonau sia fortemente presente, esattamente come in Cielo, e in modo superiore alla Superficie.
Il level design di questa mappa non ha precedenti nella storia della serie: a memoria nostra non c'è niente che si avvicini nemmeno. È quanto più distante possibile si possa trovare da un gioco come Skyward Sword, dove eravamo sempre nel posto giusto, in cui il proseguire era connesso alla risoluzione di un enigma duale, in cui ci sentivamo sempre osservati e abbracciati dagli sviluppatori: nel Sottosuolo sembra di entrare in un'area che non ci dovrebbe essere, che è finita lì per caso. Non siamo mai confortati da un'area su misura per il personaggio, da un'architettura cristallina, da un passaggio in cui viene la speranza che sì, qualcuno voleva che andassimo lì. Alcuni hanno scritto che sembra un territorio generato casualmente: ovviamente non è così, ma il pensiero è comprensibile. Il senso di esplorazione è forte, ma l'atmosfera è talmente oscura e pesante, e le forze ostili così opprimenti, che sembra quasi un altro gioco. Il level design è su macroscala: analizzando razionalmente l'area, che è egualmente grande alla Superficie, si scorgono i trucchetti dei designer, si intravede la loro mano. Con una stalattite che blocca il passaggio, un cunicolo prodromico a una grotta abnorme. Ma anche allontanandosi mentalmente dall'immedesimazione, il pensiero che gli sviluppatori abbiano creato questo territorio con l'idea di abbandonarci a noi stessi non dovrebbe essere troppo lontano dalla realtà.
Il Sottosuolo contiene delle aree di interesse, alcune colossali. Ma è vuoto, vuoto come nessun'area di Hyrule è mai stata. Propone delle voragini enormi, orridi straripanti miasma: muoversi al suo interno è apparentemente un'impresa. I nemici sono più forti, più dannosi, e alcune mastodontiche bestie risiedono soltanto lì. Soprattutto, è buio. Buio pesto. Non si vede niente: Link deve farsi strada piantando semini luminosi qua e là, illuminando artigianalmente l'area circostante. Scagliare una freccia con queste piante, a meno di non mirare un oggetto già parzialmente visibile, è sempre intrigante e, al contempo, spaventoso: a volte il dardo si ferma e pochi metri di lontananza, in altri casi sale e poi scende, scende e scende ancora, per impattare una roccia talmente più in basso di voi da segnalare l'esistenza di una voragine. Ad ogni Sacrario corrisponde una Radice che, una volta attivata, illumina il territorio limitrofo. È un momento di sollievo, e di parziale conquista di un'area.
Il Sottosuolo ha un design spartano, e non potrebbe mai costituire un gioco a sé stante - o meglio, potrebbe, ma sarebbe piuttosto noioso. La sua forza è proprio quella di trovarsi in antitesi al design del Cielo, di proporre un ambiente alieno e tetro in un gioco così sapientemente cesellato. È l'area più vuota e orrorifica dell'opera, e proprio per questo, nei rari casi in cui si incontra qualcosa di straordinario, regala tra i momenti più esaltanti e stupefacenti dell'esperienza. Quando iniziate a pensare che sia soltanto una fatiscente aggregazione di rocce infernali, ecco che spunta qualcosa di eccitante. Che sia catalizzato dalla missione principale o no, che qualcuno vi abbia suggerito quelle coordinate o meno.
Il level design del Cielo è apollineo, certosino e circoscritto, fatto per Link, decorato da musiche riflessive e da un'atmosfera pacata e paradisiaca, quasi atemporale. Il design del Sottosuolo propone l'opposto: è spartano, celato in valli apparentemente dimenticate dagli sviluppatori, costringe l'eroe ad adattarsi per sopravvivere. In entrambi gli strati il protagonista è solo, e si affida alle tecnologie Zonau: in questo, e solo in questo, i due livelli comunicano direttamente. In mezzo, la Superficie. Che ha una forte identità di per sé, che per essere goduta nelle sue sfumature presuppone una conoscenza della precedente Hyrule di Breath of the Wild, e funge da tramite, caratteriale e strutturale, tra gli strati che, in alto e in basso, la completano. La transizione fra le tre mappe, e l'illusione di unitarietà scaturita (nonostante le notevoli differenze esperienziali), è forse il maggior successo del design dei livelli dell'opera.