In Cina si sta consumando un braccio di ferro silenzioso che intreccia tecnologia e politica. Da un lato, il governo di Pechino invita le grandi aziende a ridurre la dipendenza dai semiconduttori americani, sollecitando maggiore autonomia tecnologica e mostrando preoccupazione per la sicurezza dei dati. Dall'altro, i colossi del digitale, da Alibaba a ByteDance fino a Tencent, continuano a puntare sui chip di NVIDIA per alimentare i propri progetti di intelligenza artificiale.
Il risultato è un equilibrio fragile: da una parte le restrizioni imposte dagli Stati Uniti sull'export dei chip più avanzati, dall'altra la pressione interna per privilegiare fornitori nazionali come Huawei o Cambricon. In mezzo, le aziende tecnologiche cinesi cercano soluzioni immediate per restare competitive, anche a costo di muoversi in contrasto con le indicazioni governative.
Il ruolo dell’H20 e l’attesa del B30A
Al centro della contesa si trova l'H20, versione ridotta dei chip Nvidia venduti nel resto del mondo e autorizzata dalle autorità statunitensi per il mercato cinese. Il prezzo, compreso tra i 10.000 e i 12.000 dollari, non ha frenato la domanda, tanto che le imprese chiedono garanzie sulla continuità delle forniture. Secondo fonti vicine al settore, NVIDIA avrebbe accumulato un inventario consistente per rispondere a queste richieste.
Ma l'attenzione è già rivolta al B30A, nuovo processore basato sull'architettura Blackwell, che prometterebbe prestazioni fino a sei volte superiori rispetto all'H20. Se il governo statunitense ne autorizzerà l'esportazione, il chip potrebbe diventare un elemento chiave nelle strategie delle big tech cinesi, nonostante il prezzo previsto circa doppio rispetto al modello attuale.
Negli ultimi mesi, le autorità cinesi hanno convocato più volte aziende come Tencent e ByteDance per chiedere chiarimenti sugli acquisti dei chip H20. L'obiettivo è duplice: ridurre la dipendenza dalle forniture americane e incoraggiare l'adozione di soluzioni locali. Pechino teme che l'utilizzo di componenti statunitensi possa esporre il Paese a rischi di sicurezza e di controllo sui dati, elementi cruciali per l'economia digitale nazionale.
Nonostante questo, alle aziende non è stato imposto un divieto formale. La strategia resta quella della pressione politica, utile a guadagnare tempo mentre i produttori cinesi tentano di colmare il divario tecnologico con Nvidia. Huawei e Cambricon sono i principali candidati a sostituire NVIDIA sul mercato interno. La loro capacità produttiva appare però ancora limitata e le prestazioni non raggiungono i livelli dei chip americani. Fonti vicine ai team di ingegneria delle aziende confermano che i prodotti locali faticano soprattutto nell'addestramento dei modelli linguistici di nuova generazione, dove la potenza di calcolo gioca un ruolo decisivo.
Per questo motivo, nonostante le sollecitazioni del governo, molte aziende preferiscono assicurarsi le forniture di NVIDIA, considerate indispensabili per competere a livello globale. Sul fronte opposto, Washington mantiene una linea ambivalente. Pur imponendo restrizioni severe sull'export di chip avanzati, ha concesso margini di manovra che permettono a NVIDIA di continuare a vendere in Cina. Una scelta che riflette la volontà di evitare un completo spostamento delle aziende cinesi verso alternative nazionali.
La Cina ha rappresentato il 13% dei ricavi Nvidia nell'ultimo anno fiscale, ma l'incertezza sul futuro ha portato l'azienda a formulare previsioni prudenti. Il titolo in borsa ne ha risentito, mentre il CEO Jensen Huang ha ribadito la centralità del mercato cinese, stimato in 50 miliardi di dollari se non ci fossero limiti politici.