Non so se è una cosa solo mia, ma c'è un periodo che va più o meno dalla fine dell'era PS2 all'inizio di quella PS4 che riesco a percepire con tutti i sensi, come se tornasse a intasare i condotti della memoria. Ne sento il sapore, lo percepisco a livello fisico, mi brucia le retine con la sua luce da mezzodì scorticante. Un periodo che era fortemente legato a un'estetica prettamente giapponese, quando il cuore della console delle meraviglie ardeva ancora di quel carattere nazionale che si è andato indubbiamente a perdere con il centramento della strategia Sony sulle coste occidentali. Parlo di sensazioni strettamente legate ai titoli di case di sviluppo come Japan Studio, ma anche di una generale ricerca estetica che inseguiva quel fotorealismo che ha infettato gran parte delle produzioni prima della riscoperta delle tecniche miste che stanno sfociando negli ultimi anni sui nostri schermi.
Questo particolare sentimento è stato per anni legato unicamente al ricordo di quei tempi andati, ma si è ripresentato in forma tangibile una volta avviato Lumines Arise, il ritorno di uno dei franchise più iconici di PSP, questa volta sotto la direzione di Enhance (con il supporto nello sviluppo di Monstars), team creato da uno dei mostri sacri dell'industria, Tetsuya Mizuguchi, padre di Lumines e di altri grandi portavoce delle capacità poliedriche del medium come Rez e Tetris Effect. In uscita l'11 novembre su PlayStation 5 e PC (con possibilità di giocarlo interamente in VR), abbiamo concluso il nostro viaggio tra le soglie musicali del gioco e siamo pronti per fornirvi un resoconto accurato in questa recensione.
Quando Tetris scopre la musica
Lumines Arise è un videogioco difficile da spiegare a parole, in quanto vive interamente della sua natura puzzle che deve essere non solo testata con mano, ma praticata con dedizione prima di riuscire a ottenere un risultato quantomeno soddisfacente. Il paragone con Tetris ci potrebbe tornare utile per dare l'idea di quella che è l'anima del gioco.
Tutti conosciamo il titolo creato da Aleksej Leonidovič Pažitnov, quindi cercate di visualizzare un livello generico. Abbiamo un campo da gioco delimitato all'interno del quale posizionare dei blocchi di diverse forme nella maniera più ottimale possibile, cercando di fare il maggior numero di punti associando colori simili prima che il quadro sia così pieno da non consentire di posizionare alcun pezzo aggiuntivo.
Ecco, Lumines funziona in maniera praticamente identica, ma con alcune differenze sostanziali che allontanano il gameplay di parecchie spanne da quello del maestro sovietico. Al posto dei tetramini, a scendere senza sosta sono dei blocchi 2x2 contenenti due colori distinti in diverse quantità.
Il nostro obiettivo è incasellare queste icone in modo tale da formare blocchi 2x2, 3x3, 4x4 e così via, in modo tale da liberare il quadro ed evitare che si riempia fino all'orlo. Il tutto, come nella maggior parte delle opere di Mizuguchi, rigorosamente a tempo di musica.
Sarà, infatti, una "testina di riproduzione" (come quelle che scandiscono l'attuale posizione all'interno delle timeline dei programmi di produzione musicale, ma non solo) a raccogliere i punti accumulati nell'intervallo di tempo necessario a questa per scansionare l'intero quadro di gioco da sinistra a destra. Una volta creati quadrati a sufficienza sarà possibile attivare anche un "burst" in grado di massimizzare i punti ottenuti, ottimo per salvarsi la pelle quando ci si trova con le spalle al muro.
Questa è, sostanzialmente, la base che fonda tutte le modalità (o quasi, ma ci arriviamo) di Lumines Arise.
Funziona? Dipende, perché, per quanto il gioco non presenti delle grandi lacune d'esecuzione, spesso pare di non avere il controllo della situazione a causa proprio della componente musicale del titolo, che aggiunge un'incognita molto difficile da comprendere e padroneggiare e che fin troppo spesso pare guidata dalla mano del caso più che dalla nostra.
Tanto impegno per nulla
Sicuramente serve una grande dedizione per assimilare ogni sfumatura della meccanica di gioco estremamente cervellotica che muove Lumines Arise, nonostante il travestimento da titolo immediato e poco impegnativo, però al completamento della modalità principale Viaggio (dopo su per giù sei ore di gioco) non ci era ancora ben chiaro quale fosse la strategia per ottenere un punteggio che superasse quel maledetto voto C.
Non siamo campioni mondiali di giochi puzzle, questo è indubbio, però ne abbiamo provati diversi negli anni e mai ci siamo sentiti così poco ricompensati per la fatica mentale che un titolo del genere richiede, specialmente se si deve tenere conto anche del tempo di una canzone che va in ripetizione fino a che non si raggiunge l'innesco che attiva la fase successiva.
Ciò non significa, però, che il gioco non funzioni. Le transizioni sonore sono impeccabili e, soprattutto, è una di quelle opere che ti cattura e non ti lascia più andare fino a che non superi il quadro come vuoi tu. La sua forza, forse, sta proprio nella sua complessa semplicità malandrina. E da quella "partita veloce" ecco che si è fatta ora di cena.
Modalità a non finire
Lumines Arise è diviso in quattro macro-aree: la modalità Viaggio (la principale, dove è possibile sbloccare tutte le canzoni), la sezione Missioni (la palestra), la Playlist (dove creare le proprie partite personalizzate) e il Multigiocatore (la vera essenza del titolo).
La modalità Viaggio è quello che vi potete aspettare: una sequenza di capitoli da portare a termine divisi in quattro o cinque livelli contraddistinti da una canzone specifica. La vera difficoltà (oltre quella scelta all'inizio) sta nel riuscire a completare il maggior numero di quadri possibile senza arrivare al game over, il quale fermerà il conteggio e vi restituirà il vostro punteggio fino al livello raggiunto. Questo significa che a ogni livello il campo da gioco non si resetta, ma tiene conto di tutte le posizioni dei pezzi precedentemente collocati.
Non lo nascondiamo, solo dopo tantissimi tentativi siamo riusciti a completare un intero capitolo senza perdere dopo un paio di livelli, il che dimostra che è senz'altro fattibile, ma serve molta abilità e soprattutto molta, molta pazienza.
Le Missioni, invece, sono un gruppo di sfide con regole speciali e obiettivi slegati dal Viaggio che il giocatore può completare per ottenere moneta di gioco da spendere nel negozio "gacha" virtuale per sbloccare elementi cosmetici da far sfoggiare al proprio personaggio nei menù di gioco o nella lobby del multiplayer.
Ed è proprio il multiplayer ciò che con tutta probabilità spingerà i più a provare Lumines. Oltre all'immancabile modalità classificata, il lato multigiocatore (anche in locale contro computer o secondo giocatore) si focalizza principalmente sull'utilizzo del burst come meccanica da competizione lampo.
Queste partite sono piuttosto veloci e permettono di sfidare gli avversari in competizioni al cardiopalma che richiedono prontezza di riflessi e anche una buona dose di cattiveria, dato che è possibile "intasare" il quadro dell'altro contendente con blocchi inutilizzabili e di difficile rimozione.
Non mancano, inoltre, eventi organizzati, come i Lomii-Live che si svolgono ogni weekend e che chiamano tutti i giocatori a partecipare al raggiungimento di un determinato numero di punti per ottenere ricompense speciali. Insomma, tante modalità, anche parecchio valide, che permettono al gioco di avere una rigiocabilità virtualmente infinita, oltre che a dare un po' di valore in più al pacchetto.
Storditi dal passato
La prima cosa che colpisce quando si gioca Lumines Arise è senz'altro il suo aspetto audiovisivo del tutto particolare e controcorrente rispetto all'attuale mercato. Di nuovo, Mizuguchi (questa volta affiancato, però, dalla mano creativa che ha preso le redini del progetto, Takashi Ishihara) ha dato prova della sua unicità che va a richiamare quella particolare estetica di cui parlavamo all'inizio dell'articolo.
Giocare a Lumines Arise è come fare un salto indietro di vent'anni e ritrovarsi in quello strano marasma tridimensionale a tratti disturbante, a tratti convincente, che ci ha cresciuti.
All'inizio è tutto galvanizzante, ma pian piano, con lo scemare dell'entusiasmo, si iniziano a ricordare anche tutte le brutture dietro le belle visioni che ci sono rimaste impresse. Molto presto, quindi, ci si stanca dei modelli poligonali dagli intenti fotorealistici che si stagliano sullo sfondo animato dei livelli, del modo in cui la luce colpisce gli oggetti, della totale mancanza di gusto nell'accostamento dei colori e, soprattutto, del fin troppo spesso privilegiato impatto visivo a scapito della leggibilità di quanto si trova su schermo.
La maggior parte degli errori che abbiamo commesso non sono dipesi tanto da noi, quanto dalla difficoltà che abbiamo riscontrato nel distinguere le forme e i colori nel caotico vortice di input visivi che vengono lanciati al giocatore quasi senza sosta.
Certo, è stato svolto un grande lavoro di accessibilità che permette di personalizzare l'esperienza al meglio delle proprie preferenze, però il gioco si presenta sotto una veste calibrata da individui intenti a rendere al meglio l'idea di cosa volevano trasmettere al pubblico, quindi non possiamo chiudere entrambi gli occhi, anche perché la stragrande maggioranza dei giocatori non si metterà mai a smanettare con le impostazioni dell'accessiblità per sistemare a modino un'esperienza che doveva essere già di per sé perfettamente confezionata.
Dal punto di vista musicale il gioco deve tutto alla corrente pop che è emersa interessantemente sempre a cavallo di quell'era che può essere compresa tra la sesta e l'ottava generazione di console, dalle collaborazioni dei The Chainsmokers, ai Clean Bandit, fino alle contaminazioni internazionali in ambito rap, electro pop e hip-hop. Il risultato finale è sicuramente ben confezionato, ma senz'altro non per tutte le orecchie.
Conclusioni
Dobbiamo tanto a Mizuguchi. Sue sono state alcune delle idee che hanno permesso a generazioni di creativi di proporre qualcosa di diverso in un panorama perlopiù stagnante, che si adagia con troppa facilità sugli allori senza pensare a vie traverse per esprimere il suo pieno potenziale artistico. Quando si ha a che fare con i suoi titoli si respira sempre un'aria diversa, ma non con Lumines Arise. Quella che arriva è un'illusoria brezza nostalgica che anestetizza il giudizio e porta su un viale di emozioni ritrovate che si credevano perdute. Non ci vuole troppo, però, per notare che oltre il velo c'è solo un titolo legato a un tempo andato, che arranca e fa fatica a lasciare il segno (nonostante l'aura di dipendenza che, se ti prende, ti cattura per ore senza lasciarti il tempo di respirare). Resta lì, nella sua bolla perfettamente costruita, indisturbato dalla nostra memoria, per la quale non diventa altro che un ulteriore memento di un'era che non tornerà mai. E, forse, col senno del poi, è meglio così.
PRO
- Il gameplay sa come tenerti al guinzaglio
- Ottima produzione musicale
- Tutto gira senza fare una piega
CONTRO
- Stilisticamente caotico
- Spesso i livelli sono di difficile lettura
- Curva d'apprendimento fin troppo ripida