Forse il mondo si divide davvero in due sole categorie di persone: coloro che amano la fantascienza distopica, borbottoni, cupi, pessimisti e cerebrali, e quelli che amano l'epica fantasy, romantici, fiduciosi, sempre in cerca della spada leggendaria - qualunque essa sia - che permetterà loro di superare ogni difficoltà. O almeno è questo che abbiamo pensato giocando a Split Fiction, il nuovo titolo di Hazelight Studios capitanato da Josef Fares, che recupera la formula totalmente cooperativa dei precedenti videogiochi dello studio per insegnarci una morale preziosa, specialmente ai giorni nostri: il segreto della convivenza è che non importa a quale delle due fazioni si appartenga, purché ci si sforzi a comprendere gli altri, le loro storie, le loro vite, le gioie e i dolori.
L'empatia, quindi, come motore del racconto. D'altronde questo sentimento assumeva già un ruolo importante in It Takes Two, la precedente opera del team, un titolo capace di sorprendere il pubblico con una miriade di piccole idee, uno stile che strizzava l'occhio ai capolavori della Pixar e una serie di meccaniche cooperative così gustose e divertenti che era praticamente impossibile annoiarsi. Split Fiction, forte di uno stile più adulto, di un'esperienza del team che va a rinsaldarsi a ogni capitolo della loro produzione, punta a riprendere quella formula e a cercare di replicare la sorpresa che fu It Takes Two.
Un compito di certo non facile, dal momento che il titolo precedente giocava praticamente una partita da solo e che, dopo il suo trionfo, si è imposto come sfidante di un match che ancora nessuno ha accettato di affrontare. Split Fiction, con i suoi mondi fantastici e le cupe città futuristiche scende in campo per affrontare questo derby. Riuscirà a entrare nell'olimpo dei videogiochi cooperativi?
Mettiamo noi stessi nelle nostre storie
Zoe e Mio sono due scrittrici in erba, ancora mai pubblicate, che accettano l'invito della Rader Publishing, convinte che andranno a firmare il loro primo contratto editoriale. Mio è una ragazza che potrebbe apparire scontrosa: se ne sta sulle sue, con il broncio, non si fida di nessuno. Interagisce con gli altri in modo affrettato, come se volesse chiudere in fretta ogni conversazione. Scrive racconti di fantascienza: città soffocate da grattacieli con centinaia di piani, un intenso traffico aereo e istituzioni corrotte, che tengono sotto controllo i cittadini. Basta guardare Zoe per capire che è esattamente il suo opposto: solare, aperta, curiosa, cerca in tutti i modi di coinvolgere Mio in una conversazione. D'altronde hanno molto in comune: sono giovani, squattrinate e in cerca di un editore. Lei scrive fantasy: mondi colorati abitati da cavalieri e fate, creature magiche e immancabili draghi, residui di un'antica stirpe di sovrani.
Le due scoprono in fretta di non essere lì per firmare il tanto sospirato contratto, ma per partecipare a un esperimento: una macchina brevettata dalla Rader Publishing è in grado di catapultare ogni scrittore nelle proprie storie. Un nuovo modo di vivere la letteratura: più interattivo, più veloce, più vivo. Zoe partecipa con entusiasmo, indossa la tuta, si mette in postazione, si lascia trascinare nei suoi mondi fantastici. Mio, ovviamente, ha da ridire, fa cagnara e per errore entra in contatto con la postazione di Zoe, finendo nel suo mondo fantastico. Ma cosa succede se la macchina può pescare da due menti così diverse? Quali mondi dovranno affrontare Mio e Zoe prima di poter uscire da quel sogno condiviso?
Questo è l'incipit di una storia che pesca da un espediente che abbiamo già conosciuto nel cinema di fantascienza: la simulazione che sovrascrive la realtà. Dentro c'è un po' di The Matrix, e decisamente molto di Nirvana ed eXistenZ. Split Fiction però è fantastico nel prendere alcune suggestioni di questi grandi capolavori e nel farle proprie, aggiungendo allo strato del racconto un'interessante alternanza di mondi che si ispirano ora a quel classico della fantascienza, ora a quella pietra miliare del fantasy, coprendo tutto lo spettro di possibili ambientazioni: città futuristiche, fabbriche automatizzate, crudeli giochi a premi, antiche roccaforti, villaggi mitteleuropei e rovine che celano grandi tesori.
Il tutto poi con il piglio di voler raccontare anche le vicende personali delle due protagoniste, i loro drammi, le loro ombre e soprattutto il modo in cui mettiamo parte di noi stessi in ciò che creiamo, nella nostra arte. Pur non avendo un intreccio indimenticabile, la storia scorre con gusto e il rapporto tra le due protagoniste appare sincero e straordinariamente umano, in un crescendo che forma un'amicizia solida dall'incontro di due mondi agli antipodi.
Una sola regola: divertimento
Ma chiaramente la sfida con It Takes Two si gioca pad alla mano, dal momento che il precedente titolo di Hazelight Studios era capace di sorprendere continuamente i videogiocatori mantenendo un ritmo invidiabile lungo tutta la sua durata. Come accadeva in quel caso, anche Split Fiction è un gioioso ammasso di idee, una creatura cangiante che, nelle circa 12-15 ore necessarie a portarlo a termine, è capace di presentare un numero di meccaniche e di ispirazioni da altri videogiochi francamente incredibile. È un po' come se qua dentro fosse condensato, in piccolo, l'intero mondo videoludico: c'è una componente platform sempre preponderante, ma l'avventura si trasforma in puzzle, videogioco di corse, sparatutto, gioco di ruolo con inquadratura a volo d'uccello, sportivo e poi bullet hell, il tutto lasciando sempre interagire i due videogiocatori per rendere chiaro un messaggio ben preciso: in Split Fiction non possono fare a meno l'uno dell'altro.
Mio e Zoe vengono infatti costantemente investite di nuovi poteri che hanno nature complementari. Saltellando nelle storie dell'una e dell'altra diventano ninja robot armate di katana o di frusta gravitazionale, magiche mutaforma, soldatesse spaziali d'elite o grintose guerriere capaci di domare un drago. Split Fiction stesso è un mutaforma che non si accontenta di portare a perfezione una meccanica e di metterla nelle mani dei videogiocatori, anzi. Ti porta a conoscere bene i tuoi poteri, guidandoti attraverso un percorso perfettamente stratificato di puzzle e pericoli da superare cooperando, e poi li cambia, a volte rendendoli più complessi, altre volte inventandosi modi genuinamente divertenti per sfilarti il tappeto da sotto i piedi: cambia la visuale, per esempio, gioca sull'alternanza tra le due protagoniste o si inventa un modo tutto nuovo di sfruttare quel potere da cui pensavi di aver tratto tutto.
È un espediente che funzionava già in It Takes Two: tante piccole esperienze che tengono costantemente attiva la mente dei due videogiocatori, costringendoli - in senso buono - a cooperare. Da una parte per insegnare loro che è nell'incontro e non nello scontro che si risolvono le situazioni, dall'altra per creare sempre un rapporto di co-dipendenza tra le meccaniche.
Bisogna ammettere però che, mentre It Takes Two aveva dei tempi perfetti e riusciva generalmente nella magia di portarti all'apice di una meccanica prima di cambiarla una volta per tutte, Split Fiction ci ha dato l'impressione, a volte, di tirarla un po' per le lunghe. I livelli sono mediamente più corposi e più difficili, particolare che non sentirete limitante qualora decideste di giocare insieme a un altro videogiocatore abituato a salti, sprint in aria e acrobazie varie, ma che si fa sentire se - come successo a noi - deciderete di condividere l'esperienza con una persona non proprio addentro al mondo dei videogiochi. Anche in questo caso, It Takes Two ci aveva dato l'impressione di essere più morbido nell'approccio, più disposto a tollerare le sbavature dei non videogiocatori in favore del divertimento.
Racconti brevi: un trionfo di fantasia
Come sanno tutti gli appassionati di letteratura, non esistono solo romanzi da centinaia o migliaia di pagine, ma anche racconti brevi che a volte, nella loro essenzialità, sanno narrare ancora meglio mondi, personaggi e situazioni. Split Fiction prende allora la palla al balzo per inserire all'interno dei livelli delle piccole parentesi rappresentate dalle storie secondarie, ovvero suggestioni recuperate in profondità dalla mente di Zoe e Mio, che mettono in scena racconti scritti e mai terminati, oppure idee strambe che le due hanno scritto molto tempo prima, magari da bambine. Largo quindi a soluzioni narrative assurde, che spesso sposano il surrealismo più totale o gli intrecci delle favole.
È in questi mini-livelli che viene fuori l'anima più sperimentale di Split Fiction, sia a livello di immaginario (in uno di essi sarete dei maiali magici con poteri esilaranti) che di meccaniche. Se generalmente l'avventura principale ha un ritmo ben preciso, con picchi adrenalinici in corrispondenza dei momenti di snodo narrativo, le storie secondarie sono snack che si consumano nel giro di una decina di minuti, ma offrono un divertimento genuino.
Per esempio una di esse è il già citato dagli sviluppatori minigioco che si ispira a SSX 3, il noto videogioco di snowboard. Questa piccola esperienza ha richiesto ad Hazelight Studios ben otto mesi di lavoro per essere completata, dal momento che contiene un sistema di combo e di trick per nulla banale che Split Fiction non si preoccupa di recuperare in seguito.
Di storie secondarie ce ne sono molte, tutte opzionali, che si aprono come boccate d'aria fresca all'interno di livelli più complessi, e spesso ti danno la possibilità di staccare il cervello dalla meccanica principale del capitolo per impararne in fretta un'altra. Non vogliamo rovinarvi la sorpresa, ma sappiate che contengono alcuni dei momenti che abbiamo preferito all'interno di un videogioco che fa della fantasia e dell'inventiva il suo marchio di fabbrica e che, in questi frangenti, raggiunge spesso il suo apice.
Un’esperienza multiplayer da non perdere
Appare chiaro che ci troviamo, ancora una volta, di fronte a una grande esperienza multiplayer cooperativa, come non se ne vedevano da tempo. Per essere precisi, come non se ne vedevano dalla precedente produzione di Hazelight Studios. Split Fiction gode dello stesso sistema dei precedenti titoli: permette di affrontare l'intera avventura direttamente sulla stessa piattaforma, sfruttando un sistema di split screen dinamico che funziona alla grande, oppure online, il tutto possedendo una sola copia del videogioco. La grande novità di questo capitolo è che il Friend's Pass, ovvero il sistema che permette di condividere la vostra copia, ora funziona a prescindere dalla piattaforma di riferimento. Un'idea rivoluzionaria, che si aggiunge al bottino di trovate geniali che questo videogioco si porta a casa. Non possiamo far altro che constatare con gioia come Split Fiction faccia di tutto per rendere l'esperienza multiplayer cooperativa il più centrale e piacevole possibile.
Per chiudere, una nota stilistica: ci troviamo, a nostro avviso, di fronte a un leggero passo indietro rispetto a It Takes Two. Se il precedente titolo faceva di una certa estetica cartoon il suo marchio di fabbrica, Split Fiction recupera un gusto generalmente più adulto, ma meno universale. Giocato su PlayStation 5 in split screen, il videogioco è molto bello da vedere, non ha alcun tipo di incertezza tecnica. I modelli dei personaggi non brillano certamente per complessità e i mondi che si visitano sono belli, a volte perfino mozzafiato, ma non hanno un immaginario così originale. È perfettamente in linea con la storia, dal momento che Mio e Zoe non hanno ancora una creatività così affilata da inventare nuovi canoni, e si ispirano alle loro storie preferite (è facile rivederci dentro Blade Runner, Il Signore degli Anelli, Dune e Il Trono di Spade, tanto per citarne alcune), ma la grandiosità che si raggiunge a livello di meccaniche di gioco o di idee di gameplay non viene certo replicata a livello di ambientazioni. Bisogna poi segnalare un piccolo problema di missaggio audio nel pur ottimo doppiaggio italiano, con i dialoghi che risultano considerevolmente più bassi del restante tappeto sonoro. Problema che, siamo sicuri, verrà tempestivamente risolto con i primi aggiornamenti.
Conclusioni
Split Fiction continua la tradizione di Hazelight Studios di realizzare videogiochi totalmente cooperativi di grande qualità. I meriti sono molteplici: c'è di sicuro il bel messaggio di incontro tra le due protagoniste, ma il divertimento arriva soprattutto da un ritmo sempre sostenuto, dalla capacità di alternare meccaniche, soluzioni visive, idee e citazioni con estremo gusto. Probabilmente non riesce nell'ambizioso tentativo di fare meglio del suo predecessore, quell'It Takes Two che ci stregò pochi anni fa, per via di alcuni ritmi non così perfetti e, in generale, di un'estetica meno forte, ma vola comunque vicino al sole, ed è un altro passo verso l'esperienza cooperativa perfetta. Inoltre è impossibile non togliersi il cappello di fronte alla trovata del Friend's Pass, resa ancora più universale in questa nuova iterazione.
PRO
- Una sola copia del videogioco per giocare con chi volete
- Una quantità incredibile di idee divertenti, folli e geniali
- Si percepisce la voglia di stupire continuamente i videogiocatori
CONTRO
- Alcuni dei livelli principali sono un pelino troppo lunghi
- Stilisticamente ci sembra un passo indietro a It Takes Two
- Meno morbido con chi non è abituato a videogiocare