Oggi è un giorno speciale: è finalmente arrivato il momento di viaggiare nel passato (alternativo) di World of Warcraft e affrontare l'Orda di Ferro, la legione di Orchi che, unita dal fuggitivo Garrosh, sta confluendo nella linea temporale originale di Azeroth per metterla a ferro e a fuoco. La nuova, bizzarra storyline orchestrata da Chris Metzen e soci è solo uno dei tratti distintivi di un'espansione, Warlords of Draenor, che fin dal suo annuncio si è ripromessa di rivoluzionare il kolossal Blizzard. Ma quale espansione, in effetti, non ha fatto la stessa promessa? Quale più, quale meno, tutte le espansioni di World of Warcraft hanno contribuito a plasmarlo nel MMORPG che è oggi, e ogni volta che apriamo una nuova Collector's Edition e sfogliamo il nuovo, splendido artbook non possiamo fare a meno di pensare a tutte quelle promesse, alcune mantenute e altre no, che ci hanno accompagnato nei nostri primi passi su Northrend, Pandaria e via dicendo. In attesa della nostra recensione, che come al solito scriveremo con la dovuta calma e pazienza, abbiamo pensato di tirare le somme sulle quattro espansioni già pubblicate di World of Warcraft: le abbiamo messe in ordine crescente, da quella che ci è piaciuta di meno a quella che ci è piaciuta di più, e ci aspettiamo di vedervi fare la stessa cosa nei commenti!
Ecco cosa ci è piaciuto e cosa non ci è piaciuto delle prime quattro espansioni di World of Warcraft
4. Cataclysm
Quella che era stata definita come l'espansione più rivoluzionaria è stata anche quella che ci ha deluso di più, perché il bello di Cataclysm stava tutto nel revamp di Azeroth e il revamp di Azeroth, be', è arrivato persino prima dell'espansione, con le patch 4.0: non solo rinnovavano i talenti e il gameplay delle varie classi, ma cambiavano drasticamente il volto del pianeta con il famigerato Shattering, il volo di Deathwing che ha distrutto gran parte di Azeroth modificando intere regioni, aprendo nuove aree e alterando l'intera fase di leveling per i nuovi giocatori, non solo nella disposizione delle missioni ma anche nei loro meccanismi. Cataclysm era un'espansione pensata per svecchiare World of Warcraft, e bene o male ci riuscì, col piccolo inconveniente di aver trasformato i nuovi content veri e propri nel contorno della rivoluzione operata da Blizzard.
Ha avuto il grande merito di riportarci nei Regni Orientali e a Kalimdor dopo due espansioni passate a girovagare per lo spazio e per le terre gelide di Northrend, ma a parte questo ha sperimentato delle soluzioni su cui persino Blizzard ha finito col fare marcia indietro, la riforgiatura (eliminata con Warlords of Draenor) su tutte. Per non parlare della professione di archeologia, che avrebbe dovuto spingere all'esplorazione ma che si è trasformata in un noioso e ripetitivo esercizio di mouse-clicking. Superate le zone di leveling (l'originalissima Vashj'ir subacquea e la spettacolare Deepholme) e cominciato l'endgame, dopo una prima fascia di raid sopra le righe si cominciavano a notare le incertezze dei ragazzi di Irvine e forse anche i primi problemi in cui stava incespicando la società, con idee astruse e ricicli di asset che hanno fatto storcere il naso ai puristi. Il raid dungeon finale, poi, e la battaglia decisiva con Deathwing (l'arcinemesi che si limitava a svolazzara qua e là, zero carisma) sono tra i più anticlimatici nella storia del franchise. Peccato, perché qua e là c'erano delle gran belle idee, una storyline interessante e importante, tutta incentrata su Thrall, e un utilizzo del sistema di phasing che rendeva davvero unici alcuni momenti di gioco, specialmente nelle sequenze introduttive per i Goblin e i Worgen. Cataclysm è un passo fondamentale nell'evoluzione di World of Warcraft, ma come espansione in sé e per sé è stata quella che, alla fine, ci ha lasciato l'amaro in bocca.
3. Mists of Pandaria
La chiacchieratissima e criticatissima espansione "coi panda" è, tecnicamente, la migliore del lotto. Persino i più feroci detrattori non possono ignorare i miglioramenti, sia a livello tecnico sia sul piano del gameplay, offerti da Mists of Pandaria. E non parliamo solo delle rifiniture in ambito social ed endgame, con il Looking for Raid e il Challenge Mode per un capo e l'altro dello spettro, ma anche delle nuove meccaniche elaborate per rinnovare la crescita e lo sviluppo delle classi, alle quali per l'occasione si era aggiunto il divertentissimo Monk. E poi Mists of Pandaria è stata l'espansione che ha portato il sistema di phasing allo stato dell'arte, consentendo ai designer di Blizzard di concepire tutta una serie di storyline e missioni molto più elaborate e avvincenti.
Senza contare che Pandaria è un'ambientazione strepitosa, varia e ricca di particolari, fondata su una mitologia assolutamente affascinante, legata a doppio filo con quell'Azeroth che in certi momenti pareva lontanissima, benché fosse a portata di battello (o di teletrasporto). Tutto rose e fiori, dunque? Invece no, perché Mists of Pandaria ha segnato anche il punto più basso in termini di ripetitività dell'endgame, e non ci riferiamo solo all'anno di nulla trascorso tra l'ultima patch, L'Assedio di Orgrimmar, e La Marea di Ferro che ha anticipato di un mese Warlords of Draenor. Il più grosso problema di Pandaria è stato il ritmo altalenante della storyline, frammentata in forse troppe micropatch, e l'eccessiva insistenza di Blizzard sulle missioni quotidiane, praticamente il cuore dell'endgame: l'incubo delle reputazioni incrociate sveglia ancora nel sonno moltissimi giocatori, così come l'altalenante bilanciamento dei raid e dei dungeon, nonostante fossero tra i migliori in assoluto in termini di varietà e meccaniche. Se è vero che da una parte Mists of Pandaria ha avuto una parte non indifferente nel preoccupante calo di sottoscrizioni che ha afflitto World of Warcraft negli ultimi due anni, è anche vero che l'espansione ha proposto tantissime feature nuove e interessantissime: la questline leggendaria che ha accompagnato l'intero ciclo vitale dell'espansione; i combattimenti tra mascotte che hanno incrementato esponenzialmente la longevità del gioco per i casual player; il sistema Flex per i raid che ha aiutato le gilde a superare le difficoltà nella gestione dei gruppi; l'esperimento dell'housing con la fattoria nella Valle dei Quattro Venti, che ha gettato le basi per la Guarnigione di Warlords of Draenor e molto altro.
2. The Burning Crusade
La prima volta che si attraversava il Portale Oscuro per raggiungere Outland, nel 2007, era un momento assolutamente indimenticabile. Per molti giocatori era la prima espansione in assoluto e quello che li aspettava dietro il vorticante muro di texture era un mondo ignoto e alieno, in tutti i sensi. Caricato Outland, si trovarono di fronte uno spettacolo incredibile: centinaia di demoni che combattevano sotto un cielo infernale, in una terra devastata e rovente. Benvenuti ad Outland, insomma, dove i sogni diventavano realtà e volare era davvero possibile. Certo, oggi le cavalcature volanti ce le tirano dietro, ma a quei tempi bisognava sudare sette camicie per procurarsene una, e la sensazione di libertà offerta dai cieli di Nagrand era sconvolgente.
The Burning Crusade ci è rimasta nel cuore per tutti questi piccoli ma esaltanti ricordi che hanno la meglio su quelli più brutti: la difficoltà drammatica dei primi dungeon in modalità eroica, il grinding esasperante di missioni e nemici, gli "attunement" per entrare nei raid dungeon, le ore passate a cercare di sconfiggere Kael'thas Sunstrider e i suoi sgherri, i primi esperimenti di PvP all'aperto nei server dedicati e così via. The Burning Crusade, però, era anche un primo tuffo nella mitologia di Warcraft stabilita con la trilogia di strategici in tempo reale e pronta ad evolversi con le nuove idee di Metzen e compagnia: si andava ad Outland per dimostrare a Illidan Stormrage che eravamo pronti eccome, per scoprire qualcosa di più su quello che era successo al pianeta natale degli Orchi, per risolvere il mistero degli alieni Draenei e per prendere a calci nel sedere quei fighetti degli Elfi del Sangue. Per chi aveva giocato World of Warcraft "vanilla", fino a quel momento, The Burning Crusade era un assaggio del futuro, con l'arena e i più accessibili raid da venticinque giocatori, sebbene le aggiunte ci appaiono oggi molto più limitate e sbilanciate: fu un periodo davvero buio per l'equilibrio tra le classi, specialmente in PvP ma anche in PvE, e il gran finale dell'espansione, con l'Isola di Sunwell e il raid omonimo, fu uno di quei momenti in cui World of Warcraft perse caterve di giocatori, convincendo Blizzard che la nicchia hardcore era importante ma che era, appunto, una nicchia, e che il futuro doveva aprirsi anche e soprattutto ai giocatori casual.
1. Wrath of the Lich King
Le riflessioni finali su The Burning Crusade sono strettamente collegate a Wrath of the Lich King proprio perché era l'espansione che prometteva di cambiare le carte in tavola e trasformare ancor di più World of Warcraft in un MMORPG "per tutti". E ci riuscì a tutti gli effetti, quantomeno per gran parte del suo ciclo vitale. Le premesse per una signora espansione c'erano tutte: in fondo il cattivone di turno era Arthas, il protagonista di Warcraft III trasformatosi in Re Lich e scomparso dalla scena per tornare in pompa magna invadendo Azeroth col suo esercito di non morti. La battaglia si spostava ancora una volta su Northrend, il continente settentrionale pieno di panorami strepitosi: i laghi di Howling Fjords, le cime innevate di Storm Peaks, i pacifici prati di Grizzly Hills, le inquietanti rovine di Zul'Drak e così via.
E il Re Lich spuntava spesso a ricordarci, tra una missione e l'altra, che lo scontro finale ci aspettava in cima alla sua cittadella nella regione di Icecrown: ci volle un po' per arrivare lassù, a combatterlo in un faccia a faccia davvero epico, e il percorso non fu certo facile, ma sicuramente un gran spasso. Con l'eccezione del deludente Argent Tournament, Wrath of the Lich King ha proposto alcuni tra gli aggiornamenti più ricchi di sempre, implementando il più bel raid in assoluto, il meraviglioso Ulduar, e tutta una serie di meccaniche che sono diventate parte integrante del gameplay negli anni a seguire: i veicoli, i mostri rarissimi, le sequenze in phasing, le modalità eroiche e tanto altro. Wrath of the Lich King ebbe anche il merito di implementare la graditissima feature dei glifi e di aggiungere al roster delle classi quella "eroica" del Death Knight. Wrath of the Lich King rimane indubbiamente l'espansione più ricca ed epica, nonché quella che Blizzard ha supportato meglio per il suo intero ciclo vitale, pubblicando le patch a ritmo sostenuto, senza mai lasciare i suoi fan con le mani in mano, arrivando a implementare un piccolo raid, in un periodo di magra, per fare da ponte tra l'espansione e la successiva Cataclysm. Non è un caso se la nuova Warlords of Draenor cerchi di seguire le orme di Wrath of the Lich King, riprendendo la mitologia storica della saga per puntare ancora una volta sull'effetto nostalgia. La nostra speranza, insomma, è che all'inizio sicuramente col botto segua un sostegno, da parte di Blizzard, che ci faccia appassionare proprio come accadde in giro per i freddi domini del Re Lich...