All'interno di Square Enix convivono due anime contrapposte: mentre da una parte Final Fantasy 7 Rebirth ha raccolto ben sette nomination sui palchi dei The Game Awards ed è riuscito a oltrepassare le pur elevate aspettative di numerosi utenti, dall'altra ci sono i crudi dati di vendita di una compagnia che negli ultimi anni ha vissuto una forte riduzione del suo mercato di riferimento e che in più di un'occasione si è trovata ai ferri corti con gli appassionati della prima ora. La domanda che sorge spontanea è quale fra queste nature finirà per prendere il sopravvento, se la promessa d'un futuro ambizioso e carico di speranza o il proseguo di uno scollamento dall'utenza di massa che permane ormai da oltre una decade.
Il nocciolo della questione orbita anche attorno ai report relativi agli ultimi anni fiscali della compagnia, che è sì reduce da accoglienze molto positive ma trova ancora una volta il suo unico margine di crescita nel settore MMORPG, come sempre traghettato dall'intramontabile Final Fantasy XIV. E adesso, mentre la produzione della trilogia remake procede spedita verso l'epilogo, mentre il capitolo Rebirth si trova in lizza per il titolo di gioco dell'anno, e mentre l'orizzonte è ancora avvolto da una fitta coltre di nebbia, vale la pena stilare un primo bilancio di Square Enix e in particolar modo della rinascita di Final Fantasy VII.
L'operazione FFVII Remake è stata un errore o una benedizione?
Se da una parte mettere in discussione l'operazione che rischia di garantire a Square Enix il premio per il Game of the Year potrebbe apparire come una follia bella e buona, dall'altra è inevitabile porsi domande sui costi effettivi - e non solo quelli prettamente monetari - della strategia adottata dalla società: il progetto Final Fantasy 7 Remake ha di fatto monopolizzato parte degli sforzi della compagnia per più di dieci anni, impegnando l'interezza del Creative Studio 1 (il reparto più grande in assoluto) in una missione di restauro che fino a questo momento non sembra aver concretamente ripagato gli sforzi necessari.
Dal momento che si stima che Final Fantasy VII Remake abbia piazzato circa 7 milioni di copie e Rebirth abbia giusto oltrepassato la soglia dei 3 milioni, si può riscontrare un netto calo delle vendite rispetto a episodi mainline pur discussi e controversi come Final Fantasy XIII (la trilogia è ormai a quota 19 milioni) e Final Fantasy XV (10 milioni). Ovviamente questo risultato non è assolutamente indicativo della qualità effettiva di tali prodotti, ma è il sintomo di un problema - forse la mancanza di fiducia, forse lo scollamento con i desideri del pubblico - che sta intaccando la recente produzione di Square Enix, al netto delle caratteristiche specifiche dei remake che indubbiamente ne hanno intaccato la diffusione, su tutte l'esclusività totale e temporale per piattaforma PlayStation.
Certo fa strano vedere i rifacimenti di uno fra i maggiori successi del publisher, dato che l'originale Final Fantasy VII vendette più di 14 milioni di copie durante la quinta generazione di console, trovarsi a faticare in questa maniera, specialmente analizzando i termini di paragone più vicini: per fare un esempio, mentre l'originale Resident Evil 2 fu acquistato da circa 5 milioni di videogiocatori, il remake del 2019 è riuscito a infrangere il muro dei 14 milioni grazie all'immensa crescita del medium e alla grezza qualità del lavoro svolto da Capcom. Insomma, questa trilogia di riedizioni s'aveva da fare e s'ha da completare, ma arrivati a questo punto vale la pena riflettere sul rapporto fra costi e benefici.
Il progetto Final Fantasy VII Remake ha risentito principalmente di due grandi scelte creative che sono state fatte a monte: quella di dividere l'opera originale in tre capitoli autosufficienti e quella di andare a modificare la narrazione che per molti appassionati rappresentava il cuore dell'opera. Ormai Square Enix è in ballo, e c'è da dire che sta ballando piuttosto bene, ma tali decisioni hanno finito per segnare in maniera quasi irrimediabile oltre un decennio di storia della compagnia, dal momento che l'annuncio originale risale addirittura al 2015 ed è verosimile che non riceveremo l'episodio conclusivo per almeno altri due anni. Forse un domani, quando sarà disponibile un'edizione multipiattaforma comprensiva di tutti i singoli capitoli, la percezione di questo progetto sarà totalmente stravolta in positivo, ma al momento vien da chiedersi se nella sede della casa quelle decisioni non siano rimpiante.
L'exploit di Final Fantasy VII Rebirth
Final Fantasy VII Rebirth rappresenta un unicum molto interessante, perché si tratta di gran lunga del prodotto di Square Enix più apprezzato dalla critica e dal pubblico nel corso degli ultimi quindici anni - oltre all'ormai onnipresente MMORPG del Creative Studio 3 - e al tempo stesso di uno fra i meno diffusi: è stato giocato da "pochi" utenti, ma quei pochi che gli hanno dato un occasione hanno finito per amarlo tantissimo, come testimoniato da un 9 nella valutazione utente di Metacritic che rappresenta un evento più unico che raro per la compagnia.
Recuperando una struttura molto più vicina alle più classiche istanze della saga, è riuscito a mettere sul piatto un sistema di combattimento che, per la prima volta a distanza di anni, ha messo tutti d'accordo, offrendo una sintesi fra azione e strategia capace di rendere onore al vecchio Active Time Battle. Avendo aggiunto alla ricetta una spolverata di humor giapponese, una pioggia di minigiochi e una serie di valori produttivi di altissimo livello, ha ricevuto un'investitura molto importante dalla comunità: questa è la formula che la maggioranza del pubblico vorrebbe trovare nel prossimo capitolo mainline della serie, ovvero quella di un JRPG fortemente legato al party di protagonisti e ad atmosfere vicine agli anni '90.
Sono state sette le candidature ai The Game Awards raccolte dallo scatolone di Rebirth: quella per il gioco dell'anno, quella per il miglior RPG, quella per la miglior game direction, a cui si affiancano la miglior performance per Aerith, la miglior colonna sonora, il miglior design audio e a sorpresa anche la miglior narrativa. Probabilmente non esiste altra produzione del 2024 che abbia ricevuto la stessa cura e le stesse risorse di Final Fantasy VII Rebirth, e questa è un'ulteriore testimonianza del grado di coinvolgimento che Square Enix ha nei confronti del suo gioiello della corona.
La principale obiezione che si potrebbe muovere a questo successo risiede nel fatto che le sue fondamenta si erano già dimostrate eccezionali: Rebirth offre una splendida interpretazione di luoghi come Cosmo Canyon e Junon Town, rende onore al character design di Cloud, Tifa e compagnia, tratta in maniera molto profonda sequenze impattanti come quelle che si svolgono ad Alter Saucer, ma tutti questi elementi esistevano già, erano proprio gli ingredienti segreti alle spalle del capolavoro che fu Final Fantasy VII nel 1997. Con Final Fantasy XVII - sempre che non si tratti di un MMORPG - la compagnia dovrà dimostrare di sapere ripetere questo exploit nei confini di un mondo totalmente originale e popolato da personaggi mai visti prima, il che sarà un compito davvero molto difficile.
Il futuro di Square Enix e quello di Final Fantasy
Se da una parte una o più eventuali vittorie sul palco dei The Game Awards rappresenterebbero una meritata validazione degli sforzi del Creative Studio 1, dall'altra l'orizzonte creativo di Square Enix sembra ancora inadatto ad accogliere la rinascita che gli appassionati attendono da tempo. Per il momento sappiamo con certezza che il testimone passerà dalle mani del capitolo finale della trilogia remake, da quelle di un Dragon Quest XII: The Flames of Fate che potrebbe rivelarsi estremamente divisivo, nonché da un Kingdom Hearts IV che dovrà riuscire nel difficile intento di rianimare una serie che si è già parzialmente conclusa e non nel migliore dei modi possibili.
Il Creative Studio 3, quello guidato da Naoki Yoshida e responsabile di Final Fantasy XIV e più di recente del XVI, si trova al lavoro su un progetto non ancora annunciato, mentre ormai da parecchio tempo circolano voci insistenti riguardo l'inaugurazione di nuove operazioni remake, legate in particolar modo al sesto, all'ottavo e al nono capitolo della saga di bandiera. Ma come si posizionerebbe un eventuale remake alla luce delle contraddizioni insite nell'ultimo progetto? La speranza è che Square Enix riesca a presentarsi sul mercato con un'offerta capace di risolvere i dubbi che ancora permangono, ma a tal proposito sempre Yoshida ha dichiarato che secondo lui un remake del nono capitolo non potrebbe essere contenuto in un singolo videogioco.
Inoltre sembra che si stia definitivamente allentando il giogo dell'esclusività: sono ormai diverse le dichiarazioni rilasciate da parte di figure di spicco della società, fra cui Hamaguchi e Yoshida, che parlano della volontà di Square Enix di raggiungere più piattaforme possibile. Nelle file del pubblico sono in molti a pensare che l'esclusività per console PlayStation 5 - anche quando solamente temporale - abbia fortemente limitato non solo la diffusione, ma anche l'impatto nella discussione internazionale di un'opera rifinita come Final Fantasy VII Rebirth.
Anche perché, fra i traguardi più importanti raggiunti da Final Fantasy VII Rebirth, spicca proprio quello di aver apparentemente sciolto il grande nodo di natura creativa che ha attanagliato la serie durante gli ultimi vent'anni: con le polemiche riguardo sistemi di combattimento vari ed eventuali ridotte allo zero, nonché l'ottima accoglienza riservata alla struttura generale, potrebbe rappresentare la ricetta vincente per il futuro. Perché sì, Square Enix è sinonimo di Dragon Quest, di Kingdom Hearts e delle tantissime altre derive che hanno caratterizzato gli oltre trentacinque anni di storia della compagnia, ma il termometro fondamentale per misurarne il successo sul piano internazionale è sempre coinciso con la saga di Final Fantasy.