In seguito ai grandi cambiamenti che hanno investito il mercato dei videogiochi sono tante le compagnie che si sono dovute confrontare con un periodo piuttosto difficile, ma se alcune di esse hanno iniziato ad accusare solamente dopo lo spartiacque della pandemia globale, ce ne sono altre che già da anni stavano conoscendo un forte ridimensionamento delle ambizioni creative e finanziarie. Questo è per esempio il caso della Ubisoft "Assassin's Creed dipendente" che ormai si trova nel cuore di una bufera, ma è anche quello di una Square Enix che, al netto di alcuni lampi estemporanei, sta perdendo la maggior parte della presa sul suo pubblico di riferimento.
La pesantissima eredità di giganti come Squaresoft e Enix ha iniziato a soffrire fin dalla seconda metà dei 2000, in particolar modo dal periodo immediatamente successivo alla pubblicazione di Final Fantasy XIII. Da quell'istante in avanti gli ingranaggi hanno iniziato a scricchiolare: diverse serie, comprese quelle di matrice occidentale come Tomb Raider, non si sono più dimostrate all'altezza delle folli proiezioni di vendita dell'azienda, mentre quasi tutti i brand - a prescindere dall'effettiva qualità dei prodotti - hanno lentamente smarrito il contatto con il pubblico, tratteggiando un quadro nel quale persino capitoli di un colosso come Final Fantasy faticano anche solo ad avvicinarsi al muro dei 10 milioni di copie vendute.
Le cause di questa flessione si possono individuare in diversi fattori, tra i vistosi cambiamenti nella diffusione dei generi videoludici e la netta modifica nell'approccio di Square Enix alle serie di bandiera, che ormai da oltre quindici anni si stanno muovendo alla ricerca di un'identità moderna. In mezzo a progetti talmente confusi da impiegare decenni prima di vedere la luce del sole, come Kingdom Hearts III e Final Fantasy XV, e diversi esperimenti che non hanno sortito gli effetti sperati - basti citare Foamstars o il gacha Final Fantasy VII Ever Crisis - sono emerse anche delle ancore di salvezza, e una delle più importanti è senza dubbio il MMORPG Final Fantasy XIV.
Dall'istante in cui Naoki Yoshida, ormai 10 anni fa, è riuscito a capovolgere il destino di quell'immenso mondo condiviso, Final Fantasy XIV si è trasformato in una gallina dalle uova d'oro capace di sostenere molti dei progetti successivi, al punto tale da ergersi come l'unico segmento dell'intrattenimento digitale di Square Enix a chiudere il semestre in positivo. Adesso, però, si è venuta a creare una situazione complicata: mentre quei proventi sono stati usati per finanziare progetti poco redditizi, Final Fantasy 14 ha ricevuto giusto il minimo indispensabile per continuare a vivere e sta iniziando a soffrire.
L'ultimo report finanziario di Square Enix e il peso del MMORPG
Il 30 settembre del 2024 si è chiuso il primo semestre dell'anno fiscale 2024/2025 di Square Enix, momento in cui la compagnia ha pubblicato l'intero resoconto del periodo di riferimento. In linea generale il fatturato complessivo ha raggiunto quota 157,6 miliardi di Yen, ovvero poco più di 950 milioni di Euro, registrando un calo del 8,4% rispetto all'annata precedente, mentre l'utile netto è sceso del 30,6%, ma ciò che più conta è che la compagnia ha comunicato i dati relativi a tutti i settori che costituiscono il ramo del Digital Entertainment, da cui si possono trarre diverse informazioni.
Per fare qualche esempio, si è scoperto che nel corso dell'ultimo semestre sono state vendute circa 12 milioni di copie di videogiochi di Square Enix, oppure che in Europa e Nordamerica il rapporto tra vendite fisiche e digitali sta attualmente a quota 1 a 6, nonché altri dati che aiutano a leggere in maniera più informata l'industria contemporanea. L'elemento più interessante sta però nel fatto che Square Enix divide in tre elementi separati il suo lavoro nei videogiochi: HD Games è dove vengono raccolti i risultati dei titoli AAA, Games for Smart Devices include i numeri mobile e browser, mentre MMO è un piccolo reparto che ospita solamente Final Fantasy XIV e Dragon Quest X (disponibile solo in Giappone).
Dal report è emerso che il minuscolo segmento MMORPG - composto da 2 titoli contro i 7 HD Games e gli 11 Games for Smart Devices - è stato l'unico a presentare una crescita (del 35%) e ha macinato più vendite rispetto alle produzioni AAA. Non è la prima volta negli ultimi anni che accade qualcosa del genere: anche durante il 2021 era stato solo Final Fantasy XIV a mantenere in positivo i profitti nella compagnia, mentre c'è stato addirittura un momento in cui il 60% dei ricavi nei videogiochi provenivano esclusivamente dal MMORPG.
Nel complesso, con oltre 24 milioni di copie piazzate, Final Fantasy XIV è il titolo più venduto nella storia di Square Enix, al punto tale che non basta sommare i risultati di Final Fantasy VII Remake, Rebirth, Final Fantasy XVI e Kingdom Hearts III per eguagliarne i traguardi, senza contare che è necessario un abbonamento mensile di minimo 10.99 Euro per viverne la versione premium. Ma se da una parte questo straordinario successo è stato spesso celebrato e ha permesso agli altri rami di contare su un flusso costante di investimenti, ultimamente sembra che a rimetterci sia stato proprio lui.
La complicata situazione di Final Fantasy XIV
Final Fantasy XIV ha vissuto un'evoluzione molto particolare in seguito al suo discusso esordio: in pochissime parole, dopo il lancio fallimentare, l'intervento di Naoki Yoshida è riuscito a trasformarlo nel più grande successo di casa Square Enix. Ciò ha portato alla maturazione di un lunghissimo ciclo di espansioni cominciato con Heavensward, proseguito con Stormblood, destinato a toccare il suo apice con Shadowbringers per poi concludersi con Endwalker, il contenuto che ha infine calato il sipario su una grande vicenda narrata durata quasi una decade.
Poi le cose hanno iniziato a cambiare, e lo hanno fatto principalmente perché il Creative Studio 3 - ovvero lo studio guidato da Yoshida responsabile del MMORPG - è stato investito del compito di creare il sedicesimo capitolo della saga di Final Fantasy. E così, quando Final Fantasy XVI è stato messo in cantiere, gli sforzi dello studio si sono mossi prevalentemente in quella direzione, allungando parecchio i tempi di sviluppo degli aggiornamenti, portando una diminuzione generale delle iniezioni di contenuti, ma soprattutto aprendo a un periodo di cosiddetto "content drought", ovvero i momenti tipici dei titoli online in cui non è prevista alcuna novità sostanziale.
In concreto, il periodo successivo al lancio di Endwalker ha portato un ridimensionamento dei tempi di pubblicazione delle patch, arrivando in certi casi a generare crateri di cinque mesi tra una e l'altra, oltre a introdurre una serie di contenuti ispirati a Final Fantasy IV che non hanno riscosso grande successo fra gli appassionati. Questa situazione, in combinazione con i diversi riferimenti fatti dallo stesso Yoshida alla mancanza di risorse da investire in determinati segmenti - per esempio il rinnovamento del sistema di Glamour estetici e la conversione su Xbox - hanno lasciato trasparire che il progetto non ricevesse il supporto che avrebbe meritato.
La pubblicazione di Dawntrail, accolta in maniera tiepida da una grossa fetta degli abbonati in ragione della narrativa al di sotto degli standard, ha cambiato profondamente il clima solitamente roseo attorno al lancio delle espansioni, portando all'emersione di un'ondata di lamentele molto rara da incontrare sulle sponde di quest'opera. Ma, cosa ben più importante, le carenze nella narrazione hanno finito per spostare l'attenzione del pubblico sulla situazione generale di Final Fantasy XIV e sui sistemi di gioco, generando ulteriore preoccupazione.
Inizialmente a finire sotto i riflettori sono stati proprio i succitati cicli di patch, colpevoli sì di essersi allungati eccessivamente, ma soprattutto di introdurre contenuti che soddisfano di volta in volta solo piccole fette dell'utenza. Così chi aspetta i contenuti lifestyle o le Field Operation dovrà attendere ancora mesi prima di metter le mani su ciò che desidera, il che è un problema per un modello basato sull'abbonamento mensile. Certo, tra i maggiori punti di forza di Final Fantasy XIV c'è sempre stata la capacità di soddisfare le esigenze di un pubblico variegato, ma attualmente sono in tanti a trovarsi a lungo senza un motore che li attragga nel mondo virtuale.
Al tempo stesso, l'ultima patch 7.1 ha creato un'ulteriore frattura relativa alla semplificazione e all'omogenizzazione dei Job e delle loro rotazioni, tradendo di fatto le promesse portate avanti dagli sviluppatori anche in una recente intervista pubblicata proprio sulle nostre pagine, ma ha soprattutto convinto molti utenti a rivolgersi ai forum per esprimere malcontento riguardo la struttura generale di Final Fantasy XIV.
Final Fantasy XIV è davvero in crisi? E cosa significherebbe per Square?
È difficile leggere nella maniera corretta i dati relativi a Final Fantasy XIV: le pochissime informazioni disponibili sul numero di abbonati attivi evidenziano un calo di quasi il 30% dei giocatori fra il periodo antecedente Dawntrail e quello appena successivo, tenendo conto che la patch 7.1 ha brevemente invertito tale tendenza. Ciò che si nota a occhio nudo è la frattura che traspare dai forum ufficiali, ormai letteralmente inondati di discussioni che attaccano diversi aspetti dell'esperienza, ma anche dalle analisi di content creator che fino a questo momento non si erano mai permessi di criticare il lavoro del Creative Studio 3.
Dal momento che il team di Naoki Yoshida si trova apparentemente al lavoro su nuovi progetti non ancora annunciati, il timore è che si possa ripetere quanto accaduto in occasione del sedicesimo capitolo, raccontando un'altra volta un titolo di successo a cui non vengono dedicati gli investimenti necessari. Tra cambiamenti, come quelli per i Job, ancora una volta rimandati a data da destinarsi, feature richiestissime - come la revisione del sistema Glamour - considerate impossibili per limitazioni tecniche o carenza di risorse, nonché una componente narrativa che stavolta non è riuscita a tenere in piedi il progetto, Final Fantasy XIV sta per affrontare il suo primo vero periodo di crisi.
Questa tendenza s'incontra sempre più spesso nel mercato dei videogiochi, sono molte le grandi compagnie a spremere i brand di maggior successo dimenticandosi dell'origine dei fondi che hanno consentito l'espansione: Bethesda ha utilizzato gli enormi ricavi di Skyrim per finanziare derive come Fallout 76, TES Legends e TES Blades che non hanno avuto resa, CD Projket ha reindirizzato i proventi di The Witcher 3 al punto tale da trovarsi dieci anni dopo senza un nuovo capitolo della saga, e persino PlayStation con la sua strategia dei giochi come servizi sembra andare incontro a un destino simile.
Alla luce dell'ultimo report finanziario di Square Enix viene da chiedersi cosa accadrebbe alla compagnia in caso di un inciampo del MMORPG. Specialmente in un momento come questo, perché dall'altra parte dell'oceano World of Warcraft ha messo nel mirino il titolo del Creative Studio 3, accorciando enormemente le tempistiche degli aggiornamenti e integrando funzionalità - su tutte il sistema di Housing - che per anni hanno rappresentato il fiore all'occhiello di Eorzea. Se non altro si tratta dell'ennesima occasione per riflettere sull'incuria a cui sono soggetti i grandi successi dell'intrattenimento, i cui ricavi vengono sfruttati sempre più di rado per potenziarne le fondamenta e sempre più di frequente per tentare - senza successo - di diversificare il portafoglio.