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Final Fantasy 7 Remake, serialità e videogiochi

Final Fantasy 7 Remake è stato oggetto di molte discussioni, non ultima quella sulla divisione in più capitoli: se fosse invece l'inizio di un nuovo approccio alla serialità per i videogiochi?

SPECIALE di Alessandra Borgonovo   —   03/03/2020

Che un remake di Final Fantasy 7 avrebbe scatenato mille dibattiti, più o meno rilevanti, era un'eventualità messa in conto da chiunque fin dal suo annuncio: di base stiamo parlando di uno dei tanti mostri sacri intoccabili per molti ma di cui, al contempo, altrettanti avrebbero desiderato vedere un ritorno in grande stile - come di fatto è accaduto. Non sappiamo ancora se e in quale misura il gioco avrà successo, ancor meno è chiara la direzione che Square Enix sta prendendo nei confronti dell'intero universo narrativo (nonostante qualche indizio sparso ci sia) ma a dover scegliere la "diatriba maxima" sorta attorno a questo remake è inevitabile puntare il faro verso la sua serialità. Mettiamo da parte le polemiche e proviamo ad esaminare la situazione da un altro angolo.

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Il progetto Final Fantasy VII

Anzitutto è bene sottolineare che Final Fantasy VII è un progetto ad ampio respiro: questo remake non sarà limitato ai confini del gioco originale, come suggerisce la risposta dello stesso Yoshinori Kitase nel corso dell'evento di presentazione tenutosi a Milano, bensì prenderà in considerazione l'intera compilation - il vero e proprio universo narrativo nel quale si è trasformato un semplice gioco nel corso degli anni. Per ovvi motivi, a domanda diretta il producer non si è potuto sbilanciare ma vi riportiamo per intero la risposta. "Abbiamo stabilito trama e contenuti di Final Fantasy VII Remake come un nuovo inizio, tenendo a mente la compilation e le aggiunte che comporta all'universo narrativo. Non posso scendere in particolari su come e quando apparirà ma ecco un esempio specifico: nel corso del gioco saranno svelate due lettere misteriose, DG, e se avete giocato all'intera compilation potete ricollegarle senza sforzo alla parola 'DeepGround'. Ci saranno tanti rimandi alla compilation, sfortunatamente non posso essere più specifico di così."

DeepGround è un'organizzazione segreta fondata, nemmeno a dirlo, dalla Shinra il cui scopo originale doveva essere quello di divisione medica per i SOLDIER feriti. Della sua esistenza non si sa niente fino al 2006 con Dirge of Cerberus: Final Fantasy VII, in cui si rivela essere l'antagonista principale e le cui radici vengono poi introdotte nel 2007 con Crisis Core: Final Fantasy VII. Insomma, Final Fantasy VII Remake non è soltanto un'operazione fine a se stessa bensì qualcosa di molto più grande che vuole riunire sotto la sua ala anni e anni di ampliamenti della trama originale (certo non senza qualche inciampo, come Genesis Rhapsodos) per ridare lustro a uno dei capitoli più iconici della saga. Come già scritto, il suo successo è tutto da dimostrare e dipenderà da numerosi fattori ma è necessario mettere la situazione sotto la giusta luce per non scivolare in fraintendimenti: Final Fantasy VII Remake non sarà il gioco che abbiamo imparato a conoscere e amare ma non è una ragione per crocifiggerlo a priori. Questa non tanto ovvia evidenza, assieme alla lunga premessa, ci conduce piuttosto al cuore dell'articolo: la serialità.

Una "nuova" serialità

La serialità non è certo un concetto nuovo nel mondo videoludico, la si può addirittura dividere in due tipi: quella episodica di breve e rapido consumo, esplosa soprattutto a partire dal 2012 con The Walking Dead sviluppato da Telltale Games, la cui solidità è stata però minata negli anni dalla ripetitività della sua formula; quella invece duratura, costituita da giochi completi che vanno ad ampliare una trama generale ma sono comunque autoconclusivi. Un esempio è Resident Evil, i cui singoli capitoli vanno ad arricchire l'intero intreccio narrativo e tuttavia non è obbligatorio giocarli tutti, o in sequenza, per avere un'idea della storia. Va detto che la trama in essere è alla fine quella di un b movie che ci ha creduto un po' di più, ma possiamo estendere l'esempio al reboot di Tomb Raider, a Project Zero e le numerose serie che sono strettamente legate al concetto della narrazione in divenire. Quelle cioè il cui confine non è prefissato, ruota attorno a un punto cardine - come le armi biologiche e il bioterrorismo di Resident Evil - diventando così potenzialmente smisurato, ed è a discrezione dell'autore: l'eterno conflitto tra gli Assassini e i Templari di Assassin's Creed calza altrettanto a pennello.

Sono soluzioni che i videogiocatori hanno accettato, senza lesinare critiche qua e là ma oggi è un'offerta ludica riconosciuta e consolidata. Ci possiamo mostrare scontenti dallo sviluppo del nuovo Tomb Raider, Assassin's Creed, Yakuza ma la loro serialità non viene messa in discussione; altrettanto non è valso per Final Fantasy 7, la cui suddivisione in diverse parti ha scatenato il furor di popolo e l'ha fatto diventare una sorta di caso studio. Perché? Per quale motivo un approccio ormai universalmente accettato ha cozzato con il muso duro dell'utenza fino a far gridare allo scandalo? Soprattutto, siamo proprio sicuri che Final Fantasy VII stia mirando a una serialità consolidata? Tralasciando le risposte alla prima domanda, piuttosto retorica, l'aspetto su cui dovremmo focalizzarci è proprio questo: cos'è davvero Final Fantasy VII? Un progetto, certo, l'abbiamo già scritto. Ma di che tipo? A ben guardare è lì, chiaro nelle proprie fondamenta e parimenti tralasciato: cinematografico. Final Fantasy VII sta facendo col videogioco ciò che, per esempio, Il Signore degli Anelli ha fatto con il cinema: riconoscere la complessità, la longevità e la portata del suo universo narrativo - chiuso entro confini ben definiti - per valorizzarlo attraverso la suddivisione in più capitoli. Una "nuova" serialità che tale, alla fine, non è perché ci ha già pensato il cinema a sdoganarla e risulta comunque inedita all'interno del mondo videoludico. Qualcosa che prima non si era mai visto, non in questo modo almeno: una strada ancora vergine, un nuovo e più fresco approccio tanto alla produzione quanto alla fruizione del videogioco che dovrà superare l'istintiva riluttanza dell'utenza.

Spettatore versus giocatore

La sensazione è che questa riluttanza nasca dal fatto che, tralasciando quel concetto di mostro sacro inviolabile e quant'altro, il giocatore si pone male verso la serialità che di fatto lo tiene appeso a un filo: predilige, quando non pretende, un'esperienza a rapido consumo - un boost potremmo definirla - che abbia un inizio, uno svolgimento, una fine e che, nella sua testa, non lo spinga a comprare un capitolo successivo. Mentre lo spettatore è un fruitore che non possiamo chiamare passivo ma il cui approccio è comunque meno di petto, meno di prima mano rispetto a un videogioco, tale da renderlo più succube in un certo senso di cosa gli viene offerto, il giocatore è parte attiva dell'esperienza: non la sta solo vivendo, la sta compiendo. Entra dunque in gioco il fatto che chi si avvicina a questa forma d'arte è, nella maggior parte dei casi, un consumista - uno di quelli rapidi. Ragione per cui diversi giochi monetizzano ma non hanno molta trama, che spesso è anzi considerata un disvalore rispetto alla grafica oppure al gameplay. Ciò non vuole dire che un videogioco debba diventare cinema o renderci soltanto spettatori, quanto piuttosto che è necessario riconoscerne anche le potenzialità e l'estensione narrativa, persino la volontà di esplorare possibili approcci sperimentando con qualcosa di preesistente. Final Fantasy VII è in questo senso il candidato ideale: ha un universo espanso fortemente interconnesso nelle sue singole parti, transmediale, e pur con le sue imperfezioni offre un terreno fertile sul quale poter lavorare. In più, come già scritto sta intraprendendo una strada "nuova" che non dovrebbe stupire né tantomeno fare gridare allo scandalo.

Lo stesso Kitase ha risposto alla nostra curiosità in modo molto diretto. "La ragione per cui abbiamo deciso di serializzare Final Fantasy 7 e fermarci a Midgar, con questa prima parte, è presto detta. Nel 1997 il livello grafico del gioco era nettamente inferiore a oggi, di conseguenza gli stessi tempi nello sviluppo delle singole parti erano più rapidi e permettevano di inserire una storia di quella portata in un unico gioco (sebbene suddiviso su tre dischi). Quando ci siamo messi seriamente a pensare a un remake, abbiamo fatto il punto della situazione e riflettuto su quanto sarebbe occorso, in termini di tempo ma anche spazio, per riprodurre quell'intero gioco: semplicemente, il carico era tanto massiccio che non si sarebbe potuto riportare tutto in un solo gioco. Le scelte a questo punto erano due. Prenderci il dovuto tempo per riproporre la storia originale forte di un maggiore livello di dettaglio e sfruttando al massimo le tecnologie a disposizione, o concentrare tutto in un unico gioco - ed era una scelta che non approvavamo perché avrebbe significato condensare troppo rendendolo una serie di spizzichi e bocconi. Davvero, la soluzione migliore era procedere con calma e sviluppare Final Fantasy VII Remake pezzo dopo pezzo. La ragione per la quale, seguendo il tuo esempio, il Signore degli Anelli (e di riflesso anche noi) abbia potuto permettersi una suddivisione tale è tutta da cercarsi nella storia. Il lavoro di Tolkien era troppo per pensare di racchiuderlo in un unico film e lo stesso vale per noi con Final Fantasy 7 Remake. Riflettendo su eventuali, futuri remake che condividano una simile complessità e longevità narrativa, non escludo che la serialità si possa rivelare un mezzo espressivo efficace per restare fedeli alla trama d'origine, mentre in merito a progetti inediti non posso esserne sicuro. Di base è necessaria una trama la cui complessità e il cui intreccio sia, appunto, almeno sulla falsa riga del Signore degli Anelli."

Il remake di Final Fantasy VII è un esperimento che non deve farsi oggetto di assolutismi, da ambo i lati, ma cui si dovrebbe guardare con più buonsenso e fiducia fosse anche solo per il coraggio che Square Enix sta dimostrando: difficile pensare che non fosse consapevole dell'impatto che la suddivisione avrebbe avuto e la conseguente reazione pubblica, eppure va avanti a testa alta. Se le software house adottano determinati approcci e presentano certi tipi di offerte è spesso in risposta ai capricci di noi giocatori: per una volta ci si può fidare e affidare, abbassare gli scudi erti verso l'alto in difesa di chissà quale purezza e rimanere a guardare; si può essere spettatori senza tradire la nostra natura di giocatori ma soprattutto è vero il contrario - e chissà che Final Fantasy VII non stia veramente gettando le fondamenta del "nuovo".

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