Calma, calma e sangue freddo. Ci siamo quasi: desiderato, immaginato, annunciato... e poi rimandato, Final Fantasy VII Remake è finalmente dietro l'angolo... e qualcuno già lo ha giocato e magari finito. Per chi non lo sapesse - dubitiamo che esista, ma in qualche modo dobbiamo pur riempire queste prime righe introduttive, no?! - Final Fantasy VII Remake è un ambizioso progetto a episodi che renderà omaggio a uno dei più famosi giochi di ruolo nipponici in assoluto. Ancora non sappiamo quanti saranno gli episodi in questione, ma sappiamo per certo che questa prima uscita racconterà una versione riveduta, corretta e ampliata delle prime ore di gioco nel titolo originale del 1997. Perché, sì, Final Fantasy VII ha computo ventitré anni lo scorso gennaio. Magari all'epoca non eravate neppure nati, magari non ricordate bene quei fantastici anni in cui si passava dal 2D delle console a 16-bit alla magia del poligono sulle console a 32-bit, magari non vi siete mai interessati a Final Fantasy VII e ora volete saperne di più: siete nel posto giusto, e dopo aver letto come tutto è iniziato, correte a spolpare anche la nostra recensione.
Programmatori uniti
Oggi si tende a credere che, se a un progetto lavorano troppi cervelli, c'è qualcosa che non va, e il risultato non può che essere un mostro di Frankenstein senza una visione precisa. In un certo senso, la storia videoludica recente lo conferma, ma non era così che funzionava Square Enix tanto tempo fa. Quella Square - quando ancora nessuno avrebbe mai immaginato una fusione con Enix - era un continuo brainstorming e qualche volta più firme c'erano, migliore era il gioco. Final Fantasy VII è nato proprio in quest'ottica. Hironobu Sakaguchi, lo storico director dei primi cinque episodi, aveva appena finito di lavorare a Final Fantasy VI come producer e nel 1994 stava già pensando al Final Fantasy successivo e al team che voleva riunire e che comprendeva sicuramente Yoshinori Kitase, il director che, insieme a Hiroyuki Ito, aveva scelto per la sesta Fantasia e che, come lui, era un appassionato cinefilo. Final Fantasy VII avrebbe probabilmente seguito le orme dei suoi predecessori, tuttavia Sakaguchi dovette posporre ogni riflessione perché Square aveva bisogno di ogni cervello per concludere la lavorazione di un altro titolo ambizioso e rivoluzionario, Chrono Trigger.
Chiusa la parentesi Chrono Trigger che era già il 1995, nell'aria si sentiva il profumo dei nuovi hardware in uscita. A quel punto, lavorare a Final Fantasy VII per SNES e in 2D sembrava irragionevole, ma il futuro fatto di poligoni appariva altrettanto oscuro e misterioso per una Square che era tanto legata alla pixel art e che col 3D non aveva praticamente mai lavorato. Nonostante ciò, Sakaguchi vedeva nei nuovi processori l'inconfondibile futuro cinematico della serie grazie alle possibilità offerte dalla computer grafica. Kitase, inizialmente, non era stato dello stesso avviso. Sebbene fosse molto attratto dal 3D, specialmente dopo aver giocato 4D Sports Boxing e aver visto in azione Alone in the Dark, Kitase riteneva che un cambiamento tanto importante avrebbe potuto turbare il pubblico giapponese che ormai si era affezionato ai pixel del Super Nintendo. Così, dopo aver optato per una combinazione di personaggi in 2D e ambientazioni in 3D, il team trova il compromesso nella soluzione opposta: personaggi poligonali che si muovono in scenari prerenderizzati. L'altra filosofia sarebbe stata usata poi in Xenogears qualche tempo dopo.
A proposito di Xenogears, vale la pena sottolineare il suo apporto indiretto allo sviluppo di Final Fantasy VII. Tetsuya Takahashi aveva contribuito enormemente al successo di Final Fantasy VI in qualità di direttore artistico, e questa era una delle ragioni per cui Square gli aveva affidato un intero progetto, Xenogears appunto. Per questo motivo, Takahashi non può partecipare allo sviluppo di Final Fantasy VI e Sakaguchi recluta al suo posto Yusuke Naora, che aveva già lavorato a Final Fantasy VI e Chrono Trigger. Naora, poverino, si ritrova catapultato in un mondo di pazzi: Sakaguchi vuole implementare spettacolari sequenze in computer grafica che - ancora non lo sa - costeranno uno sproposito, Kitase sta imparando da zero a programmare in 3D, e lui che è abituato a disegnare in un'elegante grafica 2D deve relazionarsi con una filosofia completamente nuova. Non è un'impresa facile, così mentre Naora si raccapezza e comincia a disegnare il mondo di Final Fantasy VII - Zozo è una delle sue prime creazioni - Sakaguchi gli affianca un altro artista destinato a diventare un VIP: Tetsuya Nomura. Quest'ultimo era entrato in Square come debugger ai tempi di Final Fantasy IV e aveva lavorato come grafico a Final Fantasy V e Final Fantasy VI: per il sesto episodio, Nomura aveva concepito i personaggi di Setzer e Shadow.
Nomura, tuttavia, si ritrova a dover fare molto di più che limitarsi a disegnare i personaggi. In un certo senso, scrive le loro storie e le propone a Sakaguchi, il quale aveva soltanto una vaga idea della storyline su cui doveva incentrarsi Final Fantasy VII, anche perché, gettate le basi, si era concentrato principalmente sulla programmazione del sistema di combattimento (è stato lui a inventare la Materia). Nomura è un eccentrico e Naora serve a fargli da contraltare, perché Final Fantasy VII deve avere un terreno fermo sotto i piedi, prediligendo un angolo più realistico rispetto al passato. Per questo motivo, i personaggi devono perdere le fattezze "chibi" dei vecchi sprite e assumere una fisionomia credibile nei combattimenti. Al contempo, non bisogna esagerare sui dettagli. Nomura scende a compromessi dove può, e dove non può impone alcune intuizioni geniali: Cloud, per esempio, avrebbe dovuto avere i capelli neri e lisci per risparmiare poligoni, ma Nomura si rende subito conto che avrebbe avuto un aspetto banale e così disegna la sua chioma appuntita. Quando gli contrappone il look di Sephiroth, Nomura si ispira alla rivalità dei leggendari Musashi Miyamoto e Kojiro Sasaki.
Gli ultimi pezzi del puzzle
Mentre il team prende forma e le idee cominciano a concretizzarsi sulla carta, Sakaguchi e Kitase hanno un'altra gatta da pelare di tipo molto più tecnico. Nell'ottobre del '95, Square si presenta alla Siggraph Computer Graphics Convention di Los Angeles con una prima demo in 3D, su processore Silicon Graphics, che mostra alcuni personaggi di Final Fantasy VI in combattimento. La reazione del pubblico è entusiasta e Sakaguchi ha la conferma che cercava sul futuro del franchise. Quello che manca, a questo punto, è un terreno fertile in cui piantare il seme di Final Fantasy VII. Fino a quel momento, Square ha sviluppato praticamente solo per macchine Nintendo, ma la compagnia di Kyoto tarda coi devkit della sua nuova periferica 64DD per Nintendo 64, una macchina che continua a cambiare specifiche di settimana in settimana, lasciando Sakaguchi a brancolare nel buio. Di cartucce non se ne parla: sono troppo costose e Square identifica nel successo dei precedenti Final Fantasy anche il prezzo contenuto. E per come lo immaginavano Sakaguchi e Kitase, Final Fantasy VII avrebbe avuto bisogno di almeno trenta dischi per girare su 64DD. Così, dopo aver valutato persino Windows e il Saturn di SEGA, Square si affida al terzo incomodo nella Console War che infuriava negli anni '90: Sony.
Le ragioni sono principalmente due. In primo luogo, PlayStation ha un lettore CD-Rom e i dischi ottici garantiscono capacità di archiviazione straordinarie rispetto alle cartucce di Nintendo 64. Per Sakaguchi è l'unico modo di concretizzare la sua fantasia finale, unificare cinema e videogioco. Il secondo motivo è, be', una questione di soldi. I compact disk sono semplicemente molto più economici. A conti fatti, il primo Final Fantasy per NES costava intorno ai 5.000 yen. I giochi successivi per Super Nintendo raggiungevano anche i 10.000 yen e a Square si erano accorti che l'idea di sborsare tutti quei soldi al pubblico non piaceva. Le cartucce per Nintendo 64 erano ancora più costose. In seguito, Final Fantasy VII sarebbe uscito su ben tre CD e sarebbe costato meno di 6.000 yen. La soluzione era ovvia, insomma, ma ci sarebbero voluti anni perché Nintendo perdonasse Square per il suo tradimento: il primo gioco Square Enix a uscire per console Nintendo dopo quel Final Fantasy VI del 1994 fu Final Fantasy: Crystal Chronicles nel 2003.
Riunito il team e decisa la piattaforma, resta semplicemente da creare l'intero gioco. Bisogna dire che, all'inizio, nessuno aveva le idee chiarissime, neppure Sakaguchi. Final Fantasy VII era un miscuglio di immagini, schizzi, proposte e visioni. Secondo Sakaguchi, è stato proprio questo minestrone di idee a decretare il successo di Final Fantasy VII perché, in qualche modo, esse hanno trovato un'armonia incredibilmente rara che ha messo d'accordo tutti quelli che avevano partecipato al progetto. Nomura e Kitase hanno contribuito tantissimo, definendo di concerto alcuni aspetti fondamentali della storia. Nomura, per esempio, ha voluto fortemente che il villain del gioco fosse lo stesso dall'inizio alla fine: la nemesi dei protagonisti doveva essere Sephiroth e non qualche altro avversario sbucato dal nulla a metà avventura. Kitase, allora, ha proposto l'approccio ideale ispirandosi al film Lo squalo di Steven Spielberg, e delineando così la figura di Sephiroth a poco a poco. All'inizio si vocifera di lui, poi si intravede qualcosa, poi Sephiroth si manifesta in tutta la sua potenza ma fino alla fine i giocatori non hanno chiara la portata del loro nemico.
L'idea di partenza di Sakaguchi non era poi molto fantasy. La storia si sarebbe dovuta svolgere a New York, nel 1999, e il protagonista sarebbe dovuto essere un impulsivo investigatore di nome Joe. Quest'ultimo avrebbe dovuto dare la caccia a un gruppo terroristico che, a un certo punto, avrebbe fatto saltare in aria l'intera città. Nonostante le atmosfere noir, quel Final Fantasy VII avrebbe avuto anche un elemento sovrannaturale nella forma di quello che sarebbe poi diventato il Lifestream, un'energia che trascende la vita e la materia. Sakaguchi aveva perso sua madre in quel periodo e pensava che incentrare il gioco sull'importanza della vita avrebbe aiutato a elaborare il lutto. E intanto Nomura e Kitase continuavano a mitragliare di idee le riunioni. Dato che non aveva senso parlare dell'importanza della vita senza tirare in ballo la morte, Nomura propose di uccidere la protagonista, che in quel momento era solo Aerith. Kitase, invece, voleva che morissero quasi tutti i protagonisti durante lo scontro finale, ma Nomura riteneva che questa decisione, per quanto spettacolare, avrebbe sminuito la morte dell'eroina. Aerith avrebbe dovuto anche essere prima la sorella e poi, in una revisione, la ex fidanzata di Sephiroth.
Insomma, all'inizio regnava una gran confusione e bisognava mettere ordine. Kitase reclutò gli ultimi membri del team proprio per questo motivo. Il più importante è Kazushige Nojima, nonostante sia subentrato come sceneggiatore a progetto iniziato solo dopo aver completato i lavori su un altro titolo Square per SNES, Bahamut Lagoon. Nojima aveva già attirato l'attenzione di Kitase con le sue sceneggiature della serie Heracles no Eiko e gli sembrava l'uomo giusto per assicurare una coerenza al maelstrom di idee che infuriava nelle salette e nei corridoi di Square. Nojima ha avuto alcune tra le intuizioni più importanti. Scartato tutto lo scenario di New York, poi riesumato anni dopo in Parasite Eve, Nojima ha inventato la contrapposizione tra Avalanche e Shinra, il personaggio di Zack e, soprattutto, lo sdoppiamento della personalità di Cloud. Ha anche scritto la maggior parte dei dialoghi, prediligendo lo stile più asciutto in cui i personaggi discutono frequentemente, cosa che tendeva a rallentare il ritmo del racconto ma a consolidare il suo realismo.
Kitase assunse anche Masato Kato per fare da spalla a Nojima e riempire alcuni buchi nella sceneggiatura. È stato Kato a scrivere le scene oniriche nel Lifestream e alcuni importanti dialoghi come quello tra Cloud e Tifa prima della battaglia finale. La sua mano si nota un po' di più perché Kato ha contribuito a completare l'opera in un momento in cui non era possibile supervisionare ogni nuova aggiunta, ma è stato grazie anche a lui se il team è riuscito a implementare un po' tutto quello che era stato appuntato su taccuini e post-it. Persino Vincent e Yuffie, personaggi che rischiavano di essere scartati a causa della mancanza di tempo, sono riusciti ad avere un posticino come personaggi opzionali all'interno del gioco. A questo punto sarebbe ingiusto omettere altri due nomi importanti che chiudono il cerchio intorno allo sviluppo di Final Fantasy VII e che, soprattutto, hanno rappresentato quel legame con la tradizione che serviva a tutti i costi.
Il primo nome è quello di Yoshitaka Amano, lo storico disegnatore di Final Fantasy sin dagli albori. Impegnato oltreoceano in altri progetti, Amano si limitò a disegnare le illustrazioni promozionali e il famosissimo logo del gioco che, nella singola silhouette della meteora, incarnava praticamente ogni tematica di Final Fantasy VII. L'altro nome è quello di Nobuo Uematsu, che non dovrebbe avere bisogno di presentazioni: ogni fan di Final Fantasy che si rispetti conosce l'immensità di quest'uomo e delle sue musiche. È ironico pensare che fino ad allora Uematsu era praticamente sconosciuto in occidente e che sia stato proprio Final Fantasy VII a consacrarlo a livello internazionale. Uematsu aveva composto per tutti i Final Fantasy precedenti e non poteva che essere la scelta più logica anche per il settimo, rappresentando a tutti gli effetti un principale elemento di continuità. Il compositore opta per il formato MIDI che gli era tanto caro - più veloce da caricare in gioco - e approfitta delle capacità di PlayStation per scrivere brani molto più articolati rispetto al passato. Così facendo, sceglie anche un approccio diverso e piuttosto che usare la musica per definire le scene, fa al contrario e lascia che siano la sceneggiatura e la regia a suggerirgli le note. È grazie a questa soluzione che la colonna sonora di Final Fantasy VII diventa memorabile ma, soprattutto, imprescindibile in ogni momento del gioco.
Letture consigliate
Multiplayer Edizioni ha pubblicato il saggio La leggenda di Final Fantasy VII di Nicolas Courcier e Mehdi El Kanafi, un libro che vi consigliamo assolutamente di leggere se volete saperne di più sullo sviluppo del gioco, sulla trama, sui retroscena e su mille altre curiosità.
Prima del Remake
Final Fantasy VII esce il 31 gennaio 1997 in Giappone, il 17 novembre dello stesso anno in Europa, e se non avesse avuto successo non staremmo qui a scrivere di come è stato sviluppato e di come Tetsuya Nomura stia lavorando da anni al Remake che arriverà sugli scaffali tra poche ore. Il team che lo ha concepito, nel frattempo, si è lentamente smembrato. Hironobu Sakaguchi ha lasciato Square per fondare Mistwalker nel 2004. Yusuke Naora, Kazushige Nojima, Masato Kato e Nobuo Uematsu sono diventati freelance ma hanno continuato a collaborare saltuariamente coi loro ex colleghi e con Square Enix. Anche Tetsuya Takahashi ha lasciato l'azienda per fondare Monolith Soft nel 1999. In Square Enix restano oggi Yoshinori Kitase, che ne è diventato vicepresidente, e Tetsuya Nomura, appunto. La storia di Final Fantasy VII, tuttavia, non è finita con la sua uscita e non ricomincia soltanto col Remake: in mezzo c'è stato di tutto e di più, tra alti e bassi, ma di questo ve ne parleremo nel prossimo speciale.